Cresce il venture capital italiano, ma ancora i numeri sono minimi rispetto a quellli dei grandi mercati internazionali sia in termini di capitali investiti sia in termini di rendimenti, anche perché la storia è troppo recente perché siano significativi.
Quel poco che c’è di ufficiale sul tema in Italia lo si ritrova sul fronte delle operazioni nell’ultimo Rapporto del Venture Capital Monitor dell’Università di Castellanzae, presentato la scorsa settimana, e sul fronte delle performance nell’ultimo Rapporto di Kpmg in collaborazione con Aifi (che si basa su un campione di 74 operazioni di disinvestimento condotte dai fondi nel 2015)
Così, a fronte di investimenti dei fondi di venture capital nel mondo nel 2015 per 136 miliardi di dollari, spalmati su 9241 operazioni e a fronte di disinvestimenti per 73 miliardi, con ben 47 miliardi di nuovi capitali raccolti e un Irr a un anno del 20,5% (si veda qui il report di 2016 di Preqin), i venture italiani hanno investito circa 120 milioni di euro l’anno scorso in 77 società, mentre hanno incassato una performance negativa del 17,6% sul portafoglio in termini di Irr lordo aggregato (relativo ai disinvestimenti realizzati nel corso del 2015, indipendentemente dal periodo in cui è stato effettuato l’investimento iniziale) con il 63% di write off.
Un dato, però, quello della performance del venture capital italiano, che negli anni è stato estremamente variabile: nel 2014 l’Irr era stato negativo solo dello 0,8%. E soprattutto, si diceva, si tratta di un dato ancora limito a troppo pochi disinvestimenti per poter essere davvero significativo, visto che perché un fondo di venture possa cogliere il valore del suo investimento in una startup è necessaria in media una permanenza nel capitale di almeno 10 anni, durante i quali il fondo supporta la startup con più aumenti di capitale.
Le performance del venture italiano si confrontano con un Irr del 18% (dal 22% del 2014) per le operazioni di buyout e addirittura del 51,7% per quelle di replacement, che hanno realizzato nel 2015 il più alto rendimento medio negli ultimi cinque anni. In media il private equity e il venture capital italiano nel 2015 ha registrato un Irr del 17,8% con punte però del 61,2% per il migliore quartile.
Quanto ai write-off, in termini di incidenza relativa le operazioni early stage confermano la loro prevalenza (cioé rappresentano il 63% del totale di 16 write off registrati nel 2015 dal 42% nel 2014), mentre in termini di incidenza per cash out sono ovviamente le operazioni di buyout a rappresentare la quota principale (il 74% nel 2015 dal 59% nel 2014).
Andando più nel dettaglio dell’attività dei venture italiani, il 2015 si è chiuso con una crescita dei nuovi investimenti in seed (investimento nella primissima fase di sperimentazione dell’idea di impresa) e startup (investimento per l’avvio dell’attività imprenditoriale), appunto con 77 operazioni dalle 71 operazioni del 2014 e dalle 66 operazioni del 2013 a opera di un numero crescente di operatori, che l’anno scorso è stato di 48 dai 33 del 2014, senza contare peraltro i business angel, che l’anno scorso hanno partecipato a 23 deal spesso in affiancamento ai fondi.
Per quanto riguarda le operazioni di seed capital, l’investimento medio è stato di 0,2 milioni di euro. Nelle operazioni di startup, l’ammontare medio, per il 2015, è stato di 2,0 milioni di euro per acquisire una quota media di partecipazione pari al 33%. Come per gli anni passati, la Lombardia è la regione in cui si concentra il maggior numero di operazioni e che continua a crescere coprendo il 38% del mercato (era il 49% nel 2014). Seguono Piemonte con l’13% e Lazio con il 12% del totale delle operazioni realizzate in Italia. “Si evidenzia, per il secondo anno consecutivo, un incremento del taglio medio dell’investimento. In particolare, si è passati da 1,05 milioni di euro del 2014 a 1,5 milioni di nel 2015”, ha detto Francesco Bollazzi, responsabile dell’Osservatorio VeM, che ha aggiunto: “Il dato è ancora molto lontano da quello rilevato nel 2010, pari a 2,7 milioni di euro, ma il trend appare certamente positivo. Se si focalizza l’attenzione sulle sole operazioni di start up, il dato relativo all’investimento medio si attesta ad 2,0 milioni”.
Dal punto di vista settoriale, l’Ict monopolizza l’interesse degli investitori di venture capital che cresce negli investimenti raggiungendo una quota del 40% (era il 56% nel 2014); in questa categoria si segnala la diffusione di applicazioni web e mobile riconducibili ad app innovative. In aumento il terziario avanzato con il 27% rispetto al 21% del 2014 e il settore della grande distribuzione che arriva al 6% come nell’anno precedente.