Gli anglosassoni lo chiamano approccio blendend funding ed è la strada che per forza di cose anche le nostre amministrazioni pubbliche dovranno imboccare sempre più spesso, se vorranno finanziare la crescita economica del Paese, dati gli strettissimi vincoli di bilancio con i quali si trovano a convivere.
Ne parlano in maniera approfondita Marco Nicolai e Walter Tortorella nel loro libro Finanziare la crescita. Chi ci mette le risorse?, edito da Rubbettino, che sarà presentato domani 14 settembre alla Camera (scarica qui il programma).
Nicolai oggi a MF Milano Finanza spiega che il concetto è mettere insieme risorse pubbliche e risorse private, andando oltre i classici schemi di PPP cioè di private-public partnership adottati a volte nelle strutture di project finance. L’idea è anche quella di pensare in maniera integrata, mettere insieme le esigenze e i progetti di più amministrazioni locali per raggiungere dimensioni per le quali l’utilizzo di nuovi strumenti di finanziamento possa essere economicamente vantaggioso. Il tutto sulla base di una programmazione pluriennale.
Dei segnali che le cose si possono fare anche in Italia già ci sono. Così Nicolai ricorda che per esempio Torino è stata scelta come sede per le olimpiadi invernali ed è stata eletta città del design 2015 dall’Unesco; o che Genova è stata in grado di attrae in maniera efficace risorse comunitarie con il progetto Celsius, volto a individuare sistemi innovativi per sfruttare il sistema di distribuzione del gas naturale industriale per migliorare la performance energetica del distretto nel suo complesso. Infine Nicolai ricorca anche Napoli è stata in grado di innovare finanziariamente ispirandosi ai social bond con Banca Prossima (gruppo Intesa Sanpaolo) che ha lanciato Tris.
L’operazione Tris (Titolo di Riduzione di Spesa pubblica) risale a inizio 2015: il titolo è stato emesso per finanziare la costruzione di un impianto per lo smaltimento dei rifiuti umidi a Napoli (quartiere Scampia) ed è finalizzato all’abbattimento dei costi della lavorazione dei rifiuti, alla riduzione dell’impatto ambientale e alla creazione di posti di lavoro.
Ma certo siamo veramente ancora agli albori di queste strategie. Aggiunge infatti Nicolai: “In Italia siamo ancora lontani da un modello sistemico che programma a medio termine con una visione strategica e businessplan adeguati, che si basa sulla costruzione di un dossier finanziario in grado di attrare risorse secondo una logica blended, coivolgendo cioé i capitali privati e tutti gli attori interessati”.
Proprio in tema di social bond (o social impact bond) l’esperienza anglosassone cui ispirarsi è molto ricca. Si tratta di titoli finanziari promossi da intermediari specializzati per finanziare servizi pubblici, il cui rimborso è subordinato al raggiungimento di obiettivi sociali programmati. L’intermediario finanziario raccoglie i finanziamenti necessari da investitori terzi e finanzia i gestori del servizio, i quali attraverso la propria attività sono in grado di generare nelle casse del settore pubblico risparmi significativi che andranno in tutto o in parte a remunerare e rimborsare il capitale prestato e dove il conseguimento dell’obiettivo sociale viene certificato da un valutatore indipendente. A dispetto del nome, quindi, il social impact bond non è quindi un titolo obbligazionario in senso stretto, perché non assicura una cedola periodica prestabilita e nemmeno la restituzione del capitale a scadenza, bensì paga un rendimento che varia a seconda della performance conseguita dal progetto. Per contro, il Tris di Banca Prossima è stato strutturato come un bond che, grazie alla garanzia di Banca Prossima, promette il rimborso del capitale a scadenza (si veda il comunicato stampa di Nomisma).
Il Rapporto Italiano della Social Impact Investment Task Force istituita in ambito G8 stima che la dimensione del mercato dell’impact investing in Italia nel 2020 sarà pari di poco meno di 30 miliardi di euro.