A fine 2015 le pmi italiane che nel 2016 hanno emesso titoli di debito privato erano in media in buone condizioni: su 68 aziende corporate esaminate, poco meno della metà di tali aziende aveva un margine di ebitda superiore al 10%; di queste, una decina aveva un margine compreso tra 10% e 20% e altre otto un margine addirittura superiore al 30%. Altre otto, per contro, avevano un ebitda negativo. Quanto all’indebitamento netto, si contano 27 società con un rapporto tra posizione finanziaria netta ed ebitda inferiore a 3 e altre sette società con un rapporto compresto tra 3 e 4, mentre ci sono sei società che hanno cassa positiva. I dati emergono dall’analisi che MF-Milano Finanza ha chiesto a Leanus di condurre sui bilanci 2015 delle aziende emittenti e che è stata pubblicata lo scorso 18 marzo.
L’analisi completa è consultabile online sul sito di Leanus, digitando “Osservatorio minibond per Milano Finanza” nella casella di ricerca in alto a destra, dopo essersi registrati gratuitamente.
Certo, è importante che la redditività si confermi negli anni successivi, in modo che il peso del nuovo debito non vada a compromettere l’equilibrio finanziario dell’emittente. A questo proposito è interessante l’analisi condotta dall’Osservatorio Minibond del Politecnico di Milano sull’evoluzione dei bilanci delle pmi che hanno emesso minibond negli anni passati.
Ebbene, su un totale di 95 aziende emittenti analizzate ci sono 17 imprese che nell’anno precedente l’emissione mostravano un margine operativo lordo negativo (il 17,9% del campione); per queste imprese la capacità di generare flussi di cassa operativi in grado di remunerare e rimborsare il nuovo debito contratto con i minibond è quindi esclusivamente funzione di un miglioramento prospettico della marginalità, ad esempio grazie agli investimenti da effettuare. Ci sono poi 13 casi (13,7% del totale) di imprese con un rapporto tra oneri finanziari e margine operativo lordo superiore al 50% già prima dell’emissione, destinato quindi a peggiorare dopo l’operazione: si tratta di società potenzialmente ad alto rischio.
Figurano inoltre 12 aziende (12,6%) con rapporto tra oneri finanziari e margine operativo lordo inferiore al 50% prima dell’emissione, ma che poi hanno superato questa soglia considerando almeno le cedole future annuali del minibond: si tratta di imprese che non dovrebbero mostrare rilevanti problemi di solvibilità futura. Infine ecco 53 imprese (55,8%) che, anche considerando gli interessi da riconoscere sul minibond (e senza contare eventualmente la quota capitale annuale da rimborsare), presentano un rapporto tra oneri finanziari e margine operativo lordo inferiore al 50%.
Il quadro dunque è rassicurante ed è confermato dal numero minimo di default che si sono registrati dal 2012, da quando cioè è entrata in vigore la normativa sui minibond, almeno per quanto è possibile ricostruire da fonti pubbliche. Il default hanno riguardato solo Waste Italia, Filca e Grafiche Mazzucchelli; niente a che vedere con le numerose insolvenze sui minibond regirate in Germania e nel Regno Unito.
Da inizio 2017, quindi in meno di tre mesi, le aziende italiane non quotate hanno emesso strumenti di debito privato (private debt) per poco più di 300 milioni di euro, spalmati su 13 diverse emissioni. Questi numeri emergono dal database di BeBeez, che monitora tutte le emissioni pubbliche di private debt, sia quelle quotate su mercati non regolamentati sia quelle non quotate, e sono stati anticipati da MF Milano Finanza lo scorso 18 marzo.
A questi 400 milioni andrebbero per la verità aggiunti i 600 milioni di euro di bond emessi dalla britannica Mercury HoldCo (tramite il veicolo Mercury BondCo), che è la holding di controllo dell’Istituto Centrale delle Banche Popolari (Icbpi), controllata dai fondi Advent International, Bain Capital e Clessidra. E si potrebbero aggiungere anche i 100 milioni del bond subordinato emesso da Banca Farmafactoring, controllata dal fondo Centerbridge e prossima alla quotazione. Così si arriverebbe a superare il miliardo di euro di emissioni in due mesi e mezzo.
Un dato non da poco, se si pensa che in tutto il 2016, secondo quanto calcolato dall’Osservatorio Minibond del Politecnico di Milano, le aziende italiane hanno emesso private debt per un controvalore complessivo di 3,569 miliardi di euro spalmati su 106 emissioni, di cui 89 sino ai 50 milioni di euro (i veri minibond), contro le 85 emissioni e i 1,77 miliardi di euro del 2015 (di cui 1,281 miliardi riferiti a emissioni sino a 50 milioni).
L’Osservatorio sul private debt dell’Aifi in collaborazione con Deloitte ha censito in Italia 21 fondi di private debt attivi, raccolti da 18 operatori, e altri 13 in fase di raccolta, con i fondi che hanno finanziato 19 aziende nel 2014, 33 nel 2015, 35 nel 2016 e già cinque quest’anno, per un totale di 92.