C’è stato un vero boom di attività per il private equity e il venture capital in Italia nel 2016. I fondi chiusi hanno effettuato investimenti per 8,2 miliardi di euro, un record assoluto, e che segna un aumento del 77% sui 4,6 miliardi del 2015. Di quella cifra, gli operatori internazionali rappresentano ben il 69%. Lo ha calcolato l’Aifi (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt), in collaborazione con PwC Transaction Services, che ieri ha presentato i dati del settore (scarica qui la presentazione), che ha anche registrato un aumento sensibile del taglio medio delle operazioni, che in totale sono state 322 (distribuite su 245 società), cioè il 6% in meno delle 342 operazioni del 2015.
Non a caso, le prime 17 operazioni (large e mega deal) da sole rappresentano più del 74% del mercato (6,08 miliardi). In particolare. si sono contate 6 operazioni con equity versato compreso tra 150 e 300 milioni di euro (large deal) e altre 11 di ammontare superiore ai 300 milioni (mega deal). A livello generale, nel 2016 il taglio medio dell’ammontare investito per singola operazione si è attestato a 25,4 milioni di euro, in crescita significativa rispetto al 2015 (13,5 milioni). Il dato normalizzato, cioè al netto dei large e mega deal realizzati nel corso dell’anno, invece, è stato pari a 7,8 milioni, comunque in aumento dai 7,4 milioni del 2015.
Le 322 operazioni dei fondi registrate da Aifi comprendono anche 128 operazioni condotte da fondi di venture capital, in aumento dalle 122 del 2015 (+5%), che in totale hanno cubato un controvalore di 104 milioni di euro dai 74 milioni del 2015 (+39%). Il totale delle 322 operazioni comprende infine anche 12 deal condotti da fondi infrastrutturali per un controvalore di 942 milioni di euro.
I dati Aifi realtivi alle sole operazioni di private equity sono quindi in linea con quelli pubblicati ieri in via disaggregata da BeBeez, che aveva calcolato per il 2016 circa 130 investimenti dei fondi, comprensivi di operazioni cosiddette di “add on” cioè di acquisizione di aziende tramite società già partecipate (scarica qui la tabella delle operazioni di private equity).
Sul fronte dei disinvestimenti, l’ammontare al costo di acquisto delle partecipazioni, è salito a 3,66 miliardi di euro, in crescita del 26% rispetto dai 2,9 miliardi del 2015, per un totale di 145 cessioni, in calo del 19% dalle 178 operazioni del 2015. Lo strumento più utilizzato per i disinvestimenti, se guardiamo ai volumi, è stata la vendita ad altri operatori di private equity (ovvero il 54% del totale disinvestito), ma se prendiamo a riferimento il numero di operazioni, è stata la vendita a soggetti industriali (37% del numero totale, pari a 54 exit).
Cattive notizie, invece, sul fronte della raccolta del private equity, che si è quasi dimezzata a 1,3 miliardi (-47%) dai 2,49 miliardi del 2015, quando il risultato era stato realizzato grazie al closing di raccolta di alcuni grandi fondi. La componente domestica della raccolta ha rappresentato il 63% del totale (831 milioni), mentre il restante 37% è arrivato dall’estero (432 milioni). I primi investitori sono stati fondi di fondi privati (23%), seguiti dagli investitori individuali e family office (21%) e dagli asset manager (14%).