Dopo una trattativa esclusiva con la conglomerata cinese Fosun, finita in nulla, ieri è stata annunciata a sorpresa l’acquisizione di La Perla da parte di Sapinda Holding, veicolo di investimento che fa capo al finanziere tedesco Lars Windhorst, che acquisirà la totalità delle azioni di La Perla Global Management (UK) Limited, appunto la holding controllante del gruppo leader globale nel settore della lingerie di alta gamma.
Fondata nel 1954 da Ada Masotti, conta oggi 150 negozi monomarca in tutto il mondo e flagship stores nelle principali città metropolitane in America, Europa, Middle-East e Asia. Con il suo headquarter a Londra, La Perla impiega oltre 1.500 persone in tutto il mondo.
La Perla era controllata dall’imprenditore Silvio Scaglia, tramite il suo veicolo di investimento Pacific Global Management. Windhorst ha commentato: “Silvio Scaglia e il suo team hanno svolto un eccellente lavoro di sviluppo dell’attività in un settore che continua a dimostrare un’enorme potenziale di crescita. Siamo pronti a investire ulteriormente, a migliorare la posizione finanziaria dell’azienda perseguendo la strategia di crescita intrapresa sino a oggi”.
La Perla è stata guidata e controllata dal figlio della fondatrice, Alberto Masotti, sino all’ottobre del 2008, quando fu venduta a JH Partners, un private equity con sede a San Francisco e focalizzato sugli investimenti in aziende di servizi e marchi di lusso. Il gruppo però entrò in crisi e nel 2013 fu acquistato da Scaglia all’asta organizzata dal tribunale fallimentare di Bologna per 69 milioni di euro.
Scaglia ha poi rilanciato l’azienda, investendo nel complesso ben 350 milioni di euro. Tuttavia il gruppo non ha ancora raggiunto il breakeven e, a fronte di circa 150 milioni di euro di ricavi, perde ancora 80-100 milioni.
In un’intervista al Corriere della Sera lo scorso agosto Scaglia, oltre a smentire le voci di vendita imminente, a proposito dei risultati economici, diceva che “stanno arrivando. Il pareggio ci sarà a 220 milioni di ricavi, ci vogliono ancora un paio di anni. Per ora la società perde ancora diverse decine di milioni per i grandi investimenti ma il potenziale è enorme. Questa è una nicchia non presidiata dai big del lusso”.
La scelta dell’acquirente da parte di Scaglia ha lasciato perplessi in molti, visto che, come anche riferito ieri dal Financial Times , il finanziere in question è piuttosto chiacchierato. In particolare, Windhorst è fallito più volte e la rete di scatole utilizzata per i vari investimenti gli ha più volte creato problemi con la giustizia. Negli ultimi due anni l’FT calcola che il finanziere sia stato impegnato in battaglie legali con i propri investitori per un valore complessivo di oltre 220 milioni di dollari. Tra gli investitori di Sapinda Invest si dice ci siano grandi nomi della finanza mondiale, come Fidelity, ma anche come Generali, che nel gennaio 2017 avrebbe trovato una transazione per chiudere una questione con Sapinda con un rimborso di 25 milioni di euro (si veda Law360). Infine va ricordato che l’anno scorso Deloitte ha abbandonato l’incarico di revisione per il suo veicolo di investimento lussemburghese, sostenendo che aveva fornito documenti chiaramente falsi a proposito della sua posizione finanziaria.