Gli azionisti di Banca Farmafactoring «stanno vagliando diverse alternative strategiche in relazione alla loro partecipazione nella Banca, tra cui la possibile quotazione delle azioni di BFF presso la Borsa Italiana». Lo ha scritto ieri la banca chiaro e tondo nella nota con cui ieri ha comunicato i dati del bilancio 2014 (scarica qui il comunicato stampa), confermando le voci che si rincorrono ormai da mesi (si veda altro articolo di BeBeez).
La banca italiana leader nel mercato dei crediti sanitari, che opera nella gestione e nello smobilizzo del credito verso le Aziende Sanitarie Locali, degli ospedali e della Pubblica Amministrazione è guidata dall’amministratore delegto Massimiliano Belingheri e controllata dal 2006 al 92% dal fondo Apax Partners tramite FF Holding. E’ partecipata, tra gli altri, anche da Bracco, Mediolanum Farmaceutici e Merck Serono Molteni.
Lo scorso settembre Apax aveva conferito mandato a Morgan Stanley perché ragionasse sulla classica opzione cosiddetta di “dual track” ossia la quotazione in Borsa oppure la cessione a terzi. Morgan Stanley è lo stesso advisor che Apax ha utilizzato nel giugno 2014 come sole underwriter a lead manager dell’emissione di 300 milioni di euro di bond di Farmafactoring (si veda altro articolo di BeBeez).
Se l’opzione Borsa divenisse la strada più concreta da percorrere, nei mesi scorsi sono circolati i nomi delle banche che potrebbero assistere Farmafactoring nel ruolo di global coordinator, tra queste, oltre alla stessa Morgan Stanley, si fa il nome di Mediobanca, Bnp Paribas, Credit Suisse e Deutsche Bank. Interessati a subentrare ad Apax nel capitale di Farmafactoring, però, ci sarebbero parecchi fondi, come Backstone, Cinven, CVC, Lone Star e Permira.
La banca si presenta all’appuntamento con la Borsa o con nuovi soci con numeri in netto miglioramento. Il 2014, infatti, si è chiuso con un margine di intermediazione di ben 218 milioni dai 108 milioni del 2013, a seguito dell’adozione di una più sofisticata metodologia di calcolo della stima del tasso di recupero degli interessi di mora che verranno incassati in futuro, che ha portato il tasso di recupero stimato al 40% dell’ammontare complessivo. In ogni caso, anche al netto del provento significativo dovuto al cambio di stima, il margine sarebbe risultato in crescita a 117,4 milioni. L’esercizio si è così chiuso con un utile netto di 124,3 milioni (dai 48,9 milioni del 2013) e agli azionisti sarà distribuito un dividendo di 48,45 milioni (dai 46,4 milioni del 2013).