E’ sempre più caldo il tema della ricapitalizzazione delle piccole e medie imprese italiane. Così, dopo aver fatto fronte all’emergenza credit crunch e aver quindi messo mano alla normativa per incentivare il finanziamento delle pmi sul fronte degli strumenti di debito alternativi al canale bancario, ora l’attenzione del governo passa all’equity. Anche se al momento l’unica reale iniziativa in questo senso, cioé l’ACE, nella pratica sta riscontrando una serie di difficoltà di implementazione da parte dei fondi di private equity internazionali.
Di questi temi e di specifici incentivi alle aggregazioni si è parlato lo scorso 15 luglio al webinar di BeBeez dello scorso 15 luglio (disponibile anche su You Tube e su Google+), in occasione del quale si è ricordato (si veda altro articolo di BeBeez) che banchieri, consulenti e avvocati d’affari sono in contatto da tempo con gli uomini del MEF perchè vengano varate delle soluzioni normative che rendano attraenti gli investimenti nel capitale delle aziende e che contemporaneamente favoriscano le aggregazioni d’impresa.
Marco Vozzi, Tax Partner di PwC, e Massimo Antonini, responsabile dipartimento fiscale Chiomenti Studio Legale, relatori al webinar, hanno ricordato infatti che proprio loro nell’autunno del 2013 avevano elaborato per conto di Aifi tre proposte per incentivare le aggregazioni aziendali, che erano state sottoposte al MEF.
La prima è l’affrancamento gratuito dei maggiori valori iscritti in conseguenza di un’aggregazione e la seconda proposta l’ammortamento breve, ai fini fiscali, dell’avviamento (per esempio in 10 anni) invece che in 18 anni come attualmente previsto. La terza proposta riguarda invece una tassazione agevolata per la quota di extrareddito creata successivamente all’aggregazione.
Più nel dettaglio, la prima proposta mira al riconoscimento gratuito, da un punto di vista fiscale, dei maggiori valori contabili (fino a 5 milioni di euro) che scaturiscono da un’operazione aggregativa che vede coinvolte entità non appartenenti al medesimo gruppo. L’effetto immediato di una simile norma dovrebbe essere quello di attribuire all’avente causa un maggior costo periodicamente deducibile (derivante dall’ammortamento dei maggiori valori relativi ai beni materiali e immateriali risultanti dall’operazione di aggregazione) e una minore plusvalenza imponibile nel caso di successiva cessione dei beni “ereditati”.
La seconda proposta mira invece a introdurre una riduzione del periodo di ammortamento (riducendolo da 18 a 10 anni) dei maggiori valori (già riconosciuti fiscalmente ai sensi della prima proposta sopra menzionata) che derivano dalle operazioni di aggregazione tra entità non appartenenti al medesimo gruppo d allocati ad avviamento ovvero a marchi di impresa, e ciò indipendentemente dalla previa imputazione a conto economico.
La terza proposta invece introdurrebbe una novità nell’ordinamento, perché è relativa a una tassazione agevolata per la quota di extrareddito creata successivamente all’aggregazione. Più nel dettaglio, la terza proposta mira a incentivare tutte quelle operazioni di aggregazione (ancorché effettuate tra soggetti appartenenti al medesimo gruppo) che possano definirsi di “successo”, in quanto idonee di fatto alla generazione di un aumento del gettito fiscale. E ciò nei limiti in cui, per effetto dell’operazione di aggregazione, il conto economico dell’entità risultante dall’aggregazione possa mostrare dei “redditi imponibili” maggiori rispetto alla somma dei “redditi imponibili” stand alone delle entità partecipanti all’aggregazione, rilevati ante operazione straordinaria.
Si è in tal caso prevista l’introduzione di un “bonus fiscale” sotto forma di un credito di imposta in misura pari al 50% delle maggiori imposte dovute dal soggetto risultante dalle operazioni di aggregazione.
Detto questo, il problema più urgente da risolvere pare essere quello dell’effettivo utilizzo dell’ACE. L’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 21/E dello scorso 3 giugno ha infatti fornito una serie di precisazioni circa la maggiorazione dell’agevolazione ACE per le società quotate e la trasformazione delle eccedenze Ires in credito d’imposta Irap, entrambe norme introdotte dal decreto 91/2014.
Sempre la stessa Circolare ha anche fornito alcuni ulteriori chiarimenti sulla disciplina antielusiva speciale, precisando che per poter usufruire della detrazione è necessario che ci sia completa trasparenza sull’identità di tutti i nuovi investitori che vanno a sottoscrivere l’aumento di capitale. La circolare, infatti, precisa che la disciplina antielusiva speciale (che quindi comporta la sterilizzazione della base ACE per il conferitario) opera, in ogni caso, se dall’esame della composizione degli investitori (da operare mediante il cosiddetto “look through approach”) emerge la presenza di un investitore estero, anche di minoranza, residente in un Paese non white listed.
E questo non è un problema di facile soluzione, perché i fondi di private equity, in particolare quelli di estrazione internazionale, si trovano spesso ad avere investitori che non vogliono far conoscere la loro identità e che hanno sede in paradisi fiscali. In questo modo, quindi, i fondi, che avrebbero magari volentieri investito più equity in una certa operazione, grazie al fatto che avrebbero potuto usufruire della detrazione, nella pratica decidono di usare invece più leva, a tutto svantaggio dell’obiettivo ultimo del governo di rafforzare patrimonialmente le pmi italiane.