Doccia fredda per chi si occupa di ristrutturazioni aziendali. Dal 1° gennaio 2016 il Fisco interverrà in maniera pesante nelle operazioni in cui investitori finanziari acquistano dalle banche crediti a sconto legati ad aziende in tensione finanziaria, per poi convertirli in capitale e contribuire a riequilibrarne la situazione patrimoniale. A meno che queste operazioni non avvengano nell’ambito di una procedura regolata dalla Legge Fallimentare.
MF Milano Finanza in edicola da sabato 17 ottobre spiega che la norma in questione è contenuta nell’articolo 13 del decreto legislativo numero 147 dello scorso 14 settembre sulle misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 settembre ed entrato in vigore il 7 ottobre.
A segnalare la norma incriminata è Roberto Spada, partner dello studio Spadacini, uno dei più noti studi di commercialisti milanesi e molto attivo in operazioni di private equity e ristrutturazioni aziendali, che spiega che il tema in questione è quello delle sopravvenienze attive che si creano nel bilancio di un’azienda quando un debito viene cancellato.
“Quando il socio di un’azienda, tipicamente un fondo di private equity, acquista un credito verso un’azienda presente nel portafoglio di un soggetto terzo, tipicamente una banca finanziatrice dell’azienda, e il socio investitore decide poi di rinunciare a quel credito, l’azienda ne ha ovviamente un beneficio”, spiega Spada, che aggiunge. “Questo tipo di operazione di solito avviene quando il credito in questione è di difficile esigibilità e cioè quando l’azienda si trova in situazione di crisi finanziaria. In tal caso il credito viene di solito acquisito dall’investitore con un forte sconto sul valore nominale e la differenza tra il nominale e il prezzo di acquisto costituisce appunto la sopravvenienza attiva. Quest’ultima può essere semplicemente inscritta a conto economico oppure, se la rinuncia del credito avviene tramite la trasformazione del credito in capitale, la trasformazione del debito in equity viene registrata in stato patrimoniale”.
Oggi e sino a fine anno la sopravvenienza attiva non è tassata, così come è detassata la variazione positiva di patrimonio netto derivante dalla conversione del debito in equity. ma appunto a partire dal 1° gennaio le cose cambieranno e sia la sopravvenienza attiva sia la variazione positiva di patrimonio netto concorreranno alla costituzione del reddito d’impresa e quindi verranno tassate al 27,5%.
Questo significa che, se un’azienda fa fatica a pagare dipendenti e fornitori e perciò un socio decide di intervenire e di comprare a sconto, diciamo per 1 milione di euro, i debiti in portafoglio alle banche per un nominale di 10 milioni e convertirli in capitale, l’azienda dovrebbe pagare in imposte il 27,5% sui 9 milioni di differenza, cioè ben 2,475 milioni di euro.
E se è vero che, come fa notare Stefano VIsalli di Oxy Capital, “la conversione di credito in capitale viene quasi sempre effettuata per ripianare le perdite della società ex articoli 2446 o 2447 del codice civile” e quindi il quel caso “le sopravvenienze sono fiscalmente neutre”, è anche vero che gli imprenditori preferiscono invece utilizzare quelle perdite per nettizzare redditi imponibili derivati dall’operatività aziendale ristrutturata.
Tutto questo è vero se l’operazione di cui si parla avviene al di fuori di una procedura regolata dalla Legge Fallimentare. La norma, infatti, spiega ancora Spada. “dice chiaramente che non vengono considerate sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio o di procedure estere equivalenti, previste in Stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni o anche in caso di concordato di risanamento, di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis della legge Fallimentare o di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67 della stessa legge”.
Ma il fatto è che si vanno a complicare notevolmente tutte le operazioni di ristrutturazione che potrebbero essere messe in piedi senza ricorso a una procedura. Non a caso, Il mercato paventava un’evoluzione a proprio sfavore della normativa fiscale in tema di acquisto di crediti a sconto e per questo, spiegano a MF-Milano Finanza banche e fondi di private equity specializzati in ristrutturazioni aziendali, gli investitori si sono sempre più organizzati con accordi con gli istituti di credito nell’ambito delle strutture previste dagli articoli 67 e 182-bis della legge Fallimentare, anche perché, al di fuori della procedura, c’è sempre il rischio di revocatoria.
Visalli conferma: «Per vari motivi, anche di responsabilità degli amministratori e degli investitori, è meglio che tutto avvenga sotto l’ombrello di una procedura”. E Enrico Ceccato di Orlando Italy aggiunge: “Gran parte di queste operazioni si fanno solo ricorrendo all’articolo 67 o 182 bis della legge Fallimentare e quindi il problema è meno grave di quello che sembra”, ma sottolinea che “il tren di queste norme è drammatico”.
Da parte sua Spada, però, fa presente che i casi che sino a oggi si chiudevano al di fuori dalle procedure erano in realtà molti più di quanto non si pensi,”soprattutto tra le pmi, quando il debito è quasi tutto in mano a una sola banca e quindi risulta più facile per un socio investitore accordarsi con l’istituto di credito e salvare l’azienda senza dover ricorrere a una procedura. In queste situazioni infatti i rischi di una revocatoria sono bassi e la procedura comunque comporta costi aggiuntivi elevati”.
Ma perché il legislatore ha fatto una simile mossa? Spada risponde: “Secondo me è una contropartita alla norma introdotta prima dell’estate tesa a incentivare lo smobilizzo dei crediti in sofferenza delle banche, permettendo così agli istituti di credito di ammortizzare nell’anno della cessione dei crediti le perdite eventualmente cumulate per aver venduto a sconto sul valore di bilancio (si veda altro articolo di BeBeez). Si tratta di una norma necessaria, ma non avremmo mai immaginato che il minore costo per le banche si sarebbe tradotto in maggiore costo per le aziende. In questo modo si va nella direzione opposta a quella che il governo ha dichiarato. O, meglio, si favorisce sì lo smobilizzo delle sofferenze e degli altri crediti deteriorati delle banche, ma non si favorisce il salvataggio delle imprese che ancora potrebbero evitare di ricorrere a una procedura”.