Il 2016 ha visto 97 nuovi investimenti da parte di fondi di private equity in società italiane, in leggero calo dai 108 deal del 2015, con 26 nuovi investimenti annunciati tra ottobre e dicembre dello scorso anno (di cui ben il 58% condotti da operatori esteri), contro i 30 del terzo trimestre 2016 precedente e i 32 del quarto trimestre 2015.
Lo scrive oggi MF Milano Finanza, riportando i dati che emergono dall’ultimo aggiornamento dell’Osservatorio Private Equity Monitor di LIUC – Università Cattaneo, supportato da EOS Investment Management, EY, Fondo Italiano d’Investimento sgr e King&Wood Mallesons. Il Private Equity Monitor Index si è attestato così a quota 217, un valore indicativo di una buona vivacità del mercato, sebbene appunto ben al di sotto dei 267 punti del quarto trimestre del 2015.
Calcolato su base trimestrale a partire dal primo trimestre 2003 (Base 100), il Pem index viene elaborato rapportando il numero di operazioni mappate dal Private Equity Monitor nel corso del trimestre di riferimento, al numero di investimenti realizzati nel trimestre utilizzato come base.
“La fiducia nel mercato del private equity permane stabile anche grazie a performance che gli stessi operatori ritengono superiori ad altre asset class: per quasi il 90% di questi, infatti, le performance del settore sono in linea o superiori alle aspettative”, ha commentato Enrico Silva, responsabile EY del settore Private Equity per l’area mediterranea.
In questo quarto trimestre, i buy out rappresentano il 79% del mercato, mentre le operazioni di expansion si confermano su discreti livelli (21%), dopo la parentesi del 2015 (16% sull’intero anno). Non sono state rilevate operazioni di ristrutturazione aziendale e di mero acquisto di quote dai precedenti azionisti. Si registra, invece, la sempre più significativa presenza di operazioni di add-on, cioè acquisizioni da parte di aziende già in portafoglio (che arrivano a rappresentare ben il 38% del mercato nel quarto trimestre), a conferma dell’importanza dei progetti di aggregazione industriale, che ormai costituiscono in numerosi settori una delle chiavi di creazione di valore di maggior efficacia.
Per quanto concerne la distribuzione geografica, la Lombardia attrae il 31% degli investimenti, seguita dal Veneto e dall’Emilia Romagna entrambe con il 19%. Analizzando, invece, i settori merceologici, prodotti industriali e beni di consumo rappresentano, in sostanziale linea con il passato, il 46% del mercato. Da segnalare, una decisa ricomparsa del comparto Ict (15%).