Tratto da ART&LAW: Legal journal on art numero 3-2017.
Premessa:
Parlare del rapporto tra arte e fisco è l’inizio di un viaggio come quello di Otto Lidenbrock al centro della terra. Non una passeggiata: un tragitto in cui sai da dove parti ma non sai dove arrivi. Se arrivi. Come quello di Teseo: riuscire a gettare lo sguardo all’interno di un labirinto dionisiaco di norme, percorsi, prassi e dubbi cercando di uscirne senza venirne risucchiati. Il labirinto è un’opera di Dioniso, archetipo dello scultore, artigiano, artista che costruì una trappola mortale per chi ne era suo malgrado ospite ma anche per chi si trovava a entrarci. Un enigma di difficile soluzione, un conflitto tra uomo e dio che, perdonate il paragone, non ha effetti diversi da quello tra contribuente e legislatore. La normativa fiscale non si occupa specificamente delle opere d’arte in quanto le stesse, di fatto, sono assimilate a qualsiasi altro bene posseduto da un soggetto.
Ai fini della presente trattazione, per meglio comprendere gli
aspetti fiscali e tributari del possesso o della compravendita di opere d’arte, si è ritenuto di identificare e approfondire i tre momenti cruciali che contraddistinguono il rapporto con l’opera e cioè:
1. l’acquisto dell’opera d’arte
2. il possesso e la conservazione dell’opera d’arte da parte del collezionista
3. la cessione dell’opera d’arte a terzi
1) L’acquisto dell’opera d’arte
1.1) Iva
Da un punto di vista fiscale, per l’applicazione dell’Iva, si deve tenere conto della figura del venditore. Le cessioni di opere d’arte, come già accennato, sono soggette ad aliquote Iva differenti:
1. aliquota ordinaria del 22% (25% dal 2018) nei casi in cui le cessioni siano effettuate da soggetti passivi diversi dall’autore dell’opera, suoi eredi o legatari;
2. aliquota ridotta del 10% (11,50% dal 2018) nei casi in cui le cessioni siano effettuate direttamente dall’autore dell’opera, suoi eredi o legatari.
Le cessioni di opere d’arte tra privati non sono invece soggette a Iva, mancandone il presupposto soggettivo per l’applicazione dell’Iva, che prevede che le operazioni siano assoggettabili a imposta
quando compiute da imprese, artisti o professionisti nell’esercizio dell’attività. In caso di importazione dell’opera d’arte l’aliquota Iva applicabile è quella agevolata del 10%, oltre ai dazi doganali. Nel caso in cui l’acquirente sia un imprenditore, occorrerà distinguere se è un mercante d’arte o un soggetto che svolge attività commerciale diversa.
1. Nel primo caso, ovviamente, si deve ritenere che il bene acquistato sia destinato alla futura rivendita: l’Iva seguirà le ordinarie regole previste per le attività di tipo commerciale.
2. Nel secondo caso, l’acquisto dell’opera sarà identificato come “spesa di rappresentanza” in quanto il bene, non destinato alla rivendita o all’utilizzo diretto nel processo produttivo dell’impresa, sarà destinato ad abbellimento dei locali del soggetto acquirente. In questo caso l’Iva sarà totalmente indetraibile da parte dell’acquirente. Confrontando la normativa italiana con quella vigente negli altri paesi dell’Unione europea si nota come tali aliquote siano spesso superiori rispetto a quelle vigenti negli altri stati (con l’eccezione svedese che però non è un diretto concorrente in questo settore), non favorendo così gli investimenti in arte nel nostro paese e limitando lo sviluppo del mercato dell’arte. In particolare, poi, le differenze più forti si riscontrano sulle aliquote applicate alle importazioni. L’Italia applica una imposizione doppia rispetto a Regno Unito e Francia (e questi sì che sono mercati di riferimento) con l’effetto che
qualsiasi collezionista che voglia importare un’opera nel territorio dell’Unione non lo farà certamente in Italia, paese in cui sosterrebbe costi più alti senza alcun giustificato motivo.
1.2) Imposte sui redditi
Ai sensi dell’art. 54 del TUIR, il costo d’acquisto o l’importazione degli oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione, può essere considerato alla stregua delle spese di rappresentanza.
Tale previsione normativa esclude del tutto la possibilità di dedurre i costi sostenuti per l’acquisto delle opere attraverso il meccanismo dell’ammortamento, così come previsto per i beni strumentali che concorrono all’esercizio dell’arte e della professione. Di fatto, l’art. 54 comma secondo prevede espressamente che per i beni strumentali per l’esercizio dell’arte o della professione, esclusi gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, sono ammesse in
deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti, per categorie di beni omogenei. Come disposto dal comma quinto dell’art. 54 TUIR, le spese sostenute (effettivamente e idoneamente documentate) per l’acquisto o l’importazione di oggetti di arte, di antiquariato o da collezione, anche se utilizzati come beni strumentali, si considerano spese di rappresentanza, pertanto sono deducibili nei limiti dell’1,5% dei compensi percepiti dall’esercente arti e professioni nel periodo di
imposta. Per quanto riguarda, infine, l’acquisto di un’opera d’arte da parte di titolari di reddito di impresa (esercitata in forma individuale o societaria), la deducibilità del costo deve considerarsi quasi sempre esclusa ai fini delle imposte dirette. L’unica eccezione potrebbe riguardare l’ipotesi di documentare una comprovata inerenza del costo di acquisto dell’opera d’arte rispetto alla produzione del reddito.
2) Il possesso e la conservazione dell’opera d’arte da parte del collezionista
Come già detto in precedenza, la normativa fiscale non tratta in modo specifico le problematiche connesse con le opere d’arte: sarà necessario mutuare le regole ordinarie normalmente applicabili a
qualsiasi altro oggetto d’arredamento o di collezione. Il possesso in Italia, da parte di un privato, di beni, anche di rilevante valore, non comporta alcuna tassazione in quanto non esiste in Italia un’imposta di tipo patrimoniale. La conseguenza diretta di questa impostazione fiscale comportat
la totale indeducibilità di tutti i costi eventualmente sostenuti dal
collezionista privato. In tal senso si deve pensare ai costi di mantenimento, deposito, custodia, restauro, catalogazione o pubblicazione che non trovano alcun riconoscimento diretto o indiretto da parte del legislatore fiscale per le opere che non siano state riconosciute di interesse storico o artistico da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. È necessario invece ribadire che eventuali corrispettivi derivanti dalla cessione di diritti di sfruttamento dell’immagine dell’opera d’arte, dalla sua pubblicazione, utilizzo e/o diffusione nonché dall’esposizione delle opere in mostre o musei, sono imponibili secondo le ordinarie categorie di reddito (definiti redditi diversi) da assoggettarsi all’IRPEF con aliquota progressiva in capo alla persona fisica proprietaria dell’opera d’arte.Il possesso di opere d’arte possedute da collezionisti privati
italiani ma detenute all’estero, comporta l’obbligo di un continuo monitoraggio fiscale attraverso la compilazione del quadro RW nella dichiarazione annuale dei redditi.
L’eventuale omissione di detta segnalazione ai fini del monitoraggio fiscale comporta pesanti sanzioni commisurate al valore del bene non dichiarato. Tale obbligo di monitoraggio non sussiste nell’ipotesi che i beni all’estero siano oggetto di un mandato conferito a un intermediario finanziario italiano abilitato che sia anche obbligato a gestirne gli eventuali flussi finanziari. In questo caso gli adempimenti ai fini del monitoraggio fiscale saranno interamente a suo carico.
3) La cessione dell’opera d’arte a terzi
Nel caso di cessione dell’opera d’arte a terzi, è necessario identificare preventivamente in quale inquadramento fiscale ci si trova a operare in relazione alle diverse caratteristiche del venditore.
Infatti lo stesso può essere:
1. persona fisica privata
2. lavoratore autonomo (in ambito diverso dal mondo dell’arte)
3. soggetto esercente attività d’impresa (in forma societaria o
come associazione, fondazione o Trust)
3.1) Persona fisica privata
L’eventuale plusvalenza derivante dalla cessione di un’opera d’arte è esente da tassazione in analogia con tutte le altre plusvalenze realizzate a seguito della cessione di ogni altro bene utilizzato
nell’ambito della sua sfera personale. È utile ricordare che l’esenzione di cui sopra, viene meno nel
momento in cui venga riscontrata una attività di tipo “commerciale”, ancorché non prevalente, non organizzata e saltuaria. Il confine tra l’attività ordinaria di compravendita tipica del collezionista privato e l’attività di tipo “commerciale” è estremamente sottile e dipende da molte variabili induttive comprovanti lo spirito imprenditoriale dell’attività svolta in contrapposizione allo spirito
occasionale e non speculativo del privato. Ove fosse disconosciuto il carattere personale dell’attività del collezionista, la plusvalenza da cessione del bene rientrerebbe tra i redditi diversi.
3.2) Lavoratore autonomo (in ambito diverso dal mondo dell’arte) La normativa fiscale stabilisce espressamente che le plusvalenze realizzate mediante cessione di “oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione” anche se utilizzati come beni strumentali, sono escluse da imposizioni.
Al contrario di quanto avviene per la disciplina del reddito d’impresa, la disciplina fiscale relativa al reddito di lavoro autonomo, così come disciplinata dall’art. 53 e ss. del TUIR, prevede specifiche
disposizioni concernenti l’acquisto e la cessione di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione (per oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione, la giurisprudenza fa riferimento a quanto individuato nella Tabella allegata all’art. 36 comma primo del D.L. 41 del 23 febbraio 1995).
L’art. 54 comma primo del TUIR disciplina il reddito di lavoro autonomo stabilendo quali sono i fattori che concorrono alla sua determinazione e in particolare prevede che il reddito derivante
dall’esercizio di arti e professioni sia costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione. L’art. 54 comma primo bis, però, dispone espressamente che, per i contribuenti esercitanti arti e professioni, le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalle cessioni di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione non concorrano alla formazione del reddito di lavoro autonomo quando realizzate mediante cessione a titolo oneroso o derivanti da un risarcimento, anche in forma assicurativa, per
la perdita o il danneggiamento dei beni e quando riferite a beni che vengono destinati al consumo personale o familiare o siano comunque estranei alla professione esercitata. È utile ricordare che l’esenzione di cui sopra, viene meno nel momento in cui venga riscontrata una attività di tipo “commerciale”, ancorché non prevalente, non organizzata e saltuaria.
3.3) Soggetto esercente attività d’impresa (in forma societaria o come associazione, fondazione o Trust). La plusvalenza derivante dalla cessione di opere d’arte da parte di
soggetti esercenti attività di impresa, sarà in ogni caso imponibile ai fini fiscali.
Donazione e successione
Le norme vigenti in Italia (D.lgs. 346/1990 e D.L. 262/2006) in materia di imposte sulle successioni prevedono che il patrimonio devoluto agli eredi all’atto del decesso sia assoggettato a tassazione con aliquote variabili in funzione del grado di parentela esistente tra il defunto e gli eredi. In altri termini, l’asse ereditario è assoggettato alle seguenti aliquote:
1. 4% sul valore complessivo dei beni ereditati che eccede la franchigia di 1.000.000 di euro (per ogni erede) se gli eredi sono il coniuge o i parenti in linea retta;
2. 6% dello stesso valore che eccede la franchigia di 100.000 euro (sempre per ogni erede) se gli eredi sono fratelli e sorelle;
3. 6% dello stesso valore ma senza nessuna franchigia se gli eredi sono altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta o affini in linea collaterale fino al terzo grado;
4. 8% dello stesso valore, anche in questo caso senza nessuna franchigia, se gli eredi sono soggetti diversi dai precedenti.
Tali aliquote si applicano all’intero asse ereditario, ovvero l’insieme dei beni e dei diritti che “cadono” in successione, salvo alcune previsioni specifiche. L’articolo 9 del D.lgs. 346/90 prevede tuttavia che si considerino compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un
importo pari al 10% del valore dell’asse ereditario netto (ovvero quello eccedente le eventuali franchigie applicabili), anche se non dichiarati all’atto della successione. Per presunzione le opere d’arte, anche se non indicate nella dichiarazione di successione, sono soggette all’imposta sulle
successioni solo per importo pari al 10% del valore dell’asse ereditario netto. Ne consegue un vantaggio di carattere fiscale nel caso in cui il loro valore di mercato sia notevolmente superiore, in
tal modo, verrebbero, se non quasi del tutto, largamente esentate da imposizione. È tuttavia importante notare che la forfetizzazione al 10% trova applicazione solo qualora le opere siano detenute in abitazioni private, escludendo così dall’agevolazione le collezioni custodite in caveaux, depositi, ecc.
Diritto di seguito
Il diritto di seguito è il diritto dell’autore di un’opera d’arte di beneficiare dell’incremento del valore dell’opera d’arte per ogni vendita successiva alla prima (quella tra artista e mercante).
Il diritto di seguito è dovuto unicamente in relazione alle vendite successive alla prima, cui partecipi, come venditore, acquirente o intermediario, un professionista del mercato dell’arte.
Il compenso è irrinunciabile dall’artista ed è posto a carico del venditore. Il diritto di seguito è un diritto inalienabile e successorio, spetterà agli eredi in caso di morte dell’autore. È tutelato dalla legge per tutta la vita dell’autore e per 70 anni dopo la sua morte ed è calcolato sul prezzo di vendita, al netto dell’imposta, in base all’applicazione di percentuali differenziate per scaglione che qui di seguito si riportano:
1. 4% per la parte del prezzo di vendita fino a 50.000,00 euro;
2. 3% per la parte del prezzo di vendita compresa tra 50.000,01
e 200.000,00 euro;
3. 1% per la parte del prezzo di vendita compresa tra 200.000,01
e 350.000,00 euro;
4. 0,5% per la parte del prezzo di vendita compresa tra 350.000,01
e 500.000,00 euro;
5. 0,25% per la parte del prezzo di vendita superiore a 500.000,00
euro.
L’ente preposto alla riscossione del diritto di seguito per conto di tutti gli artisti, anche se non associati all’ente stesso, è la SIAE.
Art Bonus
Il D.L. 31 maggio 2014 n. 83 ha introdotto un regime fiscale agevolato sotto forma di credito d’imposta, il c.d. Art Bonus, in favore delle persone fisiche e giuridiche che effettuano erogazioni
liberali in denaro per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici. La finalità è quella di favorire e potenziare il sostegno del mecenatismo e delle liberalità al fondamentale compito della Repubblica di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.
Per usufruire del credito di imposta, le erogazioni liberali devono essere effettuate esclusivamente in denaro e perseguire i seguenti scopi:
1. interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici;
2. sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica (come espressamente precisato negli atti parlamentari: musei, biblioteche, archivi, aree e parchi archeologici);
3. sostegno delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione;
4. realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti, delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo. È prevista la possibilità, per coloro che effettuano delle erogazioni
liberali in denaro di beneficiare di un credito di imposta pari al 65% delle erogazioni effettuate.
Il bonus è riconosciuto alle persone fisiche e agli enti non commerciali nei limiti del 15% del reddito imponibile mentre per i titolari di reddito d’impresa nei limiti del 5% dei ricavi annuali e
deve essere ripartito in tre quote annuali di pari importo.