E’ stato un primo semestre deludente quello del private capital italiano, almeno in termini di capitali raccolti e investiti. Anche se i fondi hanno lavorato, perché in termini di numero di operazioni i primi sei mesi dell’anno sono in linea con quelli del 2016. Lo ha calcolato AIFI, in collaborazione con PwC, che ieri hanno presentato i dati del settore (scarica qui la presentazione di AIFI).
“Teoricamente le premesse perché il mercato del private capital attraesse capitali e quindi li investisse c’erano e ci sono tutte”, ha detto il presidente di AIFI, Innocenzo Cipolletta, facendo l’elenco: “C’è liquidità degli investitori, c’è risparmio accumulato dai privati, le aziende italiane sono in generale in un miglior stato di salute rispetto a qualche anno fa e hanno necessità di investire. Inoltre il governo ha fatto la sua parte e ha introdotto nuove norme di stimolo agli investimenti in venture capital e startup, norme che favoriscono l’investimento del risparmio in economia reale (Pir), a loro volta corrette per tenere conto anche della possibilità per i Pir di investire in private debt”. Tuttavia, ha sottolineato Cipolletta, “proprio il fenomeno Pir alla fine sembra aver giocato contro, perché sinora tutto questo denaro si è riversato più sulla Borsa che sulla finanza alternativa. Tuttavia ritengo che, vista la prospettiva di crescita dei tassi di interesse, saranno in molti gli investitori istituzionali che preferiranno spostarsi sul non quotato, per non vedersi ridurre il valore degli asset in portafoglio. Mi aspetto quindi un 2018 con numeri ben migliori”.
Tornando ai numeri, infatti, come ha indicato il direttore generale di AIFI, Anna Gervasoni, lasciano un po’ a desiderare. Sul fronte della raccolta dei fondi di private equity, è vero che il primo semestre ha visto i fondi italiani toccare quota 1,195 miliardi di euro contro gli 1,313 miliardi dell’intero 2016, ma ben 711 milioni di questa nuova raccolta sono da ascriversi al solo fondo QuattroR, sponsorizzato dalla Cdp, che ha annunciato il primo closing (si veda altro articolo di BeBeez), quindi si tratta di un dato poco indicativo dell’effettiva capacità dei fondi italiani di attrarre investimenti. In ogni caso, considerando i 453 milioni di raccolta, al netto di quella di QR, c’è da segnalare che ben il 48% proviene da investitori individuali e family office, in linea con quanto sta accadendo in Francia, dove però il totale della raccolta è stato di ben 8,1 miliardi di euro (in Spagna, invece, siamo in linea con ‘Italia, a quota 1,1 miliardi). Da fondi pensione e casse di previdenza, invece, ai fondi italiani è arrivato soltanto il 12% della raccolta indipendente non istituzionale.
Quanto agli investimenti dei fondi, si sono limitati a 1,915 miliardi distribuiti su 139 operazioni, di cui ben 915 milioni relativi a large e mega deal, contro i 4,9 miliardi e le 138 operazioni del primo semestre 2016, di cui 4,09 miliardi rappresentavano large e mega deal. Escludendo, quindi, le operazioni più grandi, che appunto quest’anno sono state molto poche, il mercato tipico del private equity italiano è cresciuto del 10% per numero di operazioni e del 24% per ammontare, ma in ogni caso si tratta di numeri molto piccoli, se si pensa che in Francia nel periodo si sono investiti quasi 6,4 miliardi di euro e in Spagna 3,05 miliardi. Da segnalare poi i fondi di venture capital hanno lavorato parecchio, con ben 65 operazioni nel semestre contro le 50 del primo semestre 2016, anche se in termini di valore il numero è sempre molto piccolo: 43 milioni contro 35. Infine va sottolineato che si sono registrati write off soltanto per un numero pari all’8% delle società in portafoglio, per la maggior parte startup.
Sul fronte del private debt, i fondi italiani hanno raccolto solo 282 milioni nei primi sei mesi dell’anno, contro 358 milioni nei primi sei mesi 2016. Da sottolineare, poi, che il 53% di quella raccolta è stata a vantaggio di un unico soggetto, il Fondo Strategico del Trentino Alto Adige, che ha annunciato lo scorso febbraio il closing definitivo a 230 milioni. Un altro 24% della raccolta è invece da ascriversi all’intervento di fondi pensione e casse di previdenza, che quindi hanno investito nell’asset class nonostante manchi ancora un incentivo fiscale in relazione all’investimento dei fondi pensione in private debt (si veda altro articolo di BeBeez).
L’anno scorso, peraltro, è stato un anno molto buono per i fondi di debito italiani, perché il fondo di fondi di Fondo Italiano d’Investimento sgr ha distribuito capitali a parecchi team di gestione, mentre quest’anno la disponibilità di quel fondo è terminata. In totale il Fondo Italiano ha investito in nove fondi di private debt gestito, per un ammontare complessivamente impegnato di circa 265 milioni.
Sul fronte degli investimenti, i fondi di debito hanno lavorato molto più che nel primo semestre 2016,c on 198 milioni di euro investiti contro 71 milioni, distribuiti su 29 operazioni contro le 13 operazioni l’anno prima. Il secondo semestre del 2016, però, era stato molto più ricco, con 52 operazioni e 309 milioni investiti.