Per anni, Laura Owens è stata un’artista apprezzata dagli artisti. Adesso la situazione sta cambiando. Si veda Bloomberg. Sulla parete dei musei di solito ci sono i titoli delle opere, la data, le dimensioni e, spesso, se l’opera è in prestito, il nome del proprietario. Talvolta il proprietario preferisce mantenere l’anonimato, nel qual caso l’opera è citata come facente parte di una collezione privata. Chiunque però si prenda la briga di scorrere le scritte poster accanto alle opere della retrospettiva di metà carriera della Owens presso il Whitney Museum, può facilmente osservare che molti prestatori non si sono fatti problemi nel mostrare il proprio nome. Alcuni nomi sono sconosciuti, altri invece si rivelano molto familiari a chi segue la nomenklatura del jet set internazionale: Martin Eisenberg, co-fondatore di Bed Bath & Beyond, e sua moglie Rebecca hanno prestato tre opere alla mostra; i Ringiers, famiglia di editori svizzeri, è presente con ben cinque opere. Altri dipinti sono stati prestati dal miliardario François Pinault, dal fotografo Mario Testino, e dalla miliardaria della farmaceutica Maja Hoffmann, che ha prestato un’oipera larga 14 piedi oltre ad una serie di 33 piccoli dipinti del 2012. La fondazione del collezionista Peter Brant, al contempo, ha prestato tre opera con suo figlio che ne ha prestata un’altra, senza contarne altre due che risultano citate con la dizione “private collection, courtesy of the Brant Foundation.” Si tratta, come è facile notare di una lista di collezionisti che molti artisti possono soltanto sognarsi. Ma nonostante avesse avuto l’attenzione (e i soldi) di un tale gruppo di acquirenti influenti, Owens, fino a poco fa, era scarsamente conosciuta al di fuori della ristretta cerchia degli insiders dell’arte. “E’ tutto all’interno di una ristretta cerchia di persone,” dice l’esperta Lisa Schiff. “Non tutti i grandi collezionisti si sono interessati delle opera di Laura Owens, ma si è formato un gruppo grande e competente abbastanza.” Ora, grazie a una serie di eventi congiunti di natura critica, istituzionale e commerciale, il gruppo è destinato a diventare molto più grande. Nello scorso ottobre, la Owens è stata oggetto di un luminoso profilo sul New Yorker (“Owens ha intrapreso una direzione nuova e volitiva non esattamente in Avanti ma direi più di lato nella pittura, la mia forma d’arte preferita” ha detto il critico Peter Schjeldahl), e la sua retrospettiva al Whitney è andata incontro a critiche di calibro analogo (la critica del New York Times Roberta Smith nota che il suo lavoro “ha una leggerezza giocosa dell’essere quasi rococò”). Sulla spinta di tutto ciò, un lavoro della Owens, nata nel 1970 è andata all’asta da Sotheby’s nell’asta serale dedicate all’arte contemporanea e postbellica con una stima di 300.000 dollari ed è stata aggiudicata per circa due volte tale valore. “Penso che i suoi lavori valgano ogni singolo penny” ha dichiarato l’esperta Thea Westreich, che ha donato due opera al Whitney museum che sono state incluse nella mostra.” Attualmente, I lavori della Owens su tela si vendono per circa 75.000 dollari se piccole fino a 450.000 per quelle giganti. Tra i due estremi si trovano opere tra i 60 e gli 84 pollici con un costo tra i 250.000 e i 350.000 dollari.