I multipli di valutazione delle operazioni di private equity e multipli di leva sono tornati ai livelli pre-crisi in Italia, spinti da un minimo di ripresa economica e dalla normativa che ha reso conveniente l’emissione di bond da parte di società non quotate. Lo calcola Value Partners, che ha condotto uno studio sul mercato del private equity degli ultimi dieci anni in Italia, curato dal partner Alberto Calvo e dal senior finance specialist Andrea Pappalardo e anticipato lo scorso sabato 2 dicembre da MF Milano Finanza (scarica qui il report di Value Partners).
in media i fondi oggi riescono a spuntare pacchetti di debito complessivamente pari a 5-5,5 volte l’ebitda della società target, composti in genere per la maggior parte da finanziamenti senior a 7 anni con rimborso del capitale a scadenza (bullet) e con soglie finanziarie da rispettare nel tempo molto lasche (covenant lite). In genere questi finanziamenti sono accompagnati da linee di credito revolving che hanno la stessa scadenza. Per deal su società che hanno ebitda superiori ai 50 milioni al pacchetto di finanziamento a medio-lungo temine è spesso preferita l’emissione di bond.
Negli anni tra il 2003 e il 2008 si era assistito a un vero e proprio boom di finanziamenti a supporto di operazioni di leveraged buyout, con multipli di leva che avevano raggiunto livelli davvero alti, tra le 6,5 e le 7 volte l’ebitda (4,5-5 volte per le imprese più piccole). Venivano previste, infatti, molto spesso strutture complesse, con prestiti multi-tranche, debito mezzanino o note di tipo PIK (con capitalizzazione degli interessi a scadenza). Ma la crisi del 2008 ha ovviamente ridimensionato questo trend e ora, pur avendo visto risalire i multipli di leva rispetto ai minimi segnati nel 2012 (3,5-4 volte l’ebitda) ci si è appunto fermati ben sotto i livelli del 2007.
Quello che invece è tornato ai livelli del 2007 è il multiplo medio di valutazione delle operazioni di private equity. Secondo quanto calcolato dal rapporto annuale dell’Osservatorio Private Equity Monitor (Pem) dell’Università di Castellanza, la società media oggetto di investimento da parte dei fondi l’anno scorso aveva una valutazione di 81,5 milioni di euro, pari a un multiplo mediano di 7,9 volte l’ebitda, in crescita rispetto al 2015, quando il medesimo multiplo era stato di 7,6 volte, già a sua volta in aumento dalle 7,1 volte calcolate per il 2014 (si veda altro articolo di BeBeez). Si tratta di un multiplo che rappresenta il valore massimo degli ultimi 11 anni. Se si considerano le sole operazioni di buyout il multiplo scende a 7,4 volte, ma si tratta comunque di un dato in crescita dalle 6,8 volte del 2012 e quasi in linea con le 7,5 volte del 2007.
Peraltro, ricorda lo studio di Value Partners, tra il 2007 e il 2012 si era registrato un calo chiaro dei multipli di valutazione perché era diminuito il numero degli investitori interessati a comprare aziende italiane, mentre ora siamo tornati appunto sui livelli del 2007. E questo perché gli investitori interessati alle pmi italiane sono molti di più. Oltre ai fondi di private equity italiani e internazionali, infatti, ci sono i club deal di investitori privati, le Spac e anche il mercato Aim, che con le valutazioni in crescita grazie alla grande liquidità che si sta riversando da parte dei Piani individuali di risparmio (Pir), esercita oggi un’attrattività molto maggiore sulle imprese di quanto non facesse prima dell’entra in vigore della normativa sui Pir.