Le possibilità di finanziamento e quindi di sviluppo della filiera agro-alimentare potrebbero essere ben maggiori se il governo si ricordasse di un decreto atteso ormai da due anni, che permetterebbe l’avvio dei finanziamenti garantiti da pegno non possessorio. Decreto, peraltro, che sarebbe d’aiuto a tutte le pmi, indipendentemente dal settore di appartenenza, ma che per quelle del settore agro-alimentare, pur già favorite sul fronte delle garanzie da fornire alle banche a valere sul magazzino, significherebbe un salto quantico. Se ne è parlato lo scorso 10 aprile in occasione del Caffè di BeBeez su investimenti e finanziamenti nel settore agro-alimentare.
L’istituto del pegno non possessorio prevede infatti che il debitore che dà in pegno un bene mobile destinato all’esercizio dell’impresa (per esempio un macchinario) possa continuare a utilizzarlo nel processo produttivo, mentre nell’ordinamento precedente perdeva l’uso del bene gravato da pegno, che veniva fisicamente consegnato al creditore. Lo spossessamento ha quindi sinora reso difficile, se non impossibile, utilizzare come garanzia i beni che l’imprenditore utilizza nell’ordinaria attività (i macchinari, le merci destinate alla lavorazione e i prodotti), rendendo particolarmente gravoso l’accesso al credito garantito.
Il settore alimentare faceva e fa comunque in parte eccezione, perché da tempo è in vigore una normativa speciale che consente la costituzione della garanzia pignoratizia su alcuni prodotti alimentari senza privare l’imprenditore della loro disponibilità materiale e in deroga alla normativa. Per esempio i prosciutti a denominazione di origine tutelata costituiti in pegno possono rimanere presso il produttore, purché soggetti a marchiatura e previa iscrizione del pegno in appositi registri e dal 2001 l’ambito di applicazione della normativa sui prosciutti è stato estese anche ai prodotti lattiero-caseari.
Tuttavia, questa normativa speciale prevede l’applicazione di limiti stringenti, come il fatto che possono costituire il pegno solo operatori qualificati come produttori ai sensi della normativa sulla tutela della denominazione d’origine e aderenti ai consorzi. Invece il decreto di due anni fa ha introdotto in via generalizzata il pegno mobiliare non possessorio, superando anche i limiti della normativa speciale sui prodotti di origine tutelata, con ciò agevolando la concessione, in qualsiasi forma, di finanziamenti alle imprese.
Carla Telenia Zanon, senior banker dell’origination corporate team di Banco Bpm, in occasione del Caffé di BeBeez ha infatti sottolineato che “la legge varata due anni fa prevede che il pegno non possessorio venga iscritto in apposito registro istituito presso l’Agenzia dell’Entrate, ma quel registro deve essere istituto a sua volta con un apposito decreto ministeriale, di cui oggi ancora non c’è traccia. Il che significa che tutto resta sospeso. Noi come banca, peraltro, siamo già pronti a partire. Abbiamo già predisposto documentazione e procedure interne. Ma non possiamo fare altro che aspettare. Nel frattempo, certo, continuiamo a supportare il settore con gli strumenti a disposizione e puntiamo molto sulla valorizzazione del magazzino. Perché se è vero che le aziende agro-alimentari hanno per definizione un magazzino molto importante, che in stato patrimoniale finisce contabilizzato come debito, in realtà quel magazzino rappresenta un grande valore per le aziende e si può comunque utilizzare come garanzia dei prestiti già oggi”.
Banco Bpm nelle scorse settimane non a caso ha stanziato un miliardo di euro (di cui 800 milioni di euro per il food & beverage) all’inventory loan, cioè al finanziamento, su base secured, del magazzino. Le aziende attive nel settore food & beverage sono infatti tra quelle che meglio si prestano a operazioni di finanziamento che prevedano la garanzia sui prodotti di magazzino. Il settore presenta infatti lunghi cicli di stoccaggio e di lavorazione, in particolare in quegli ambiti in cui l’immobilizzo è parte essenziale della produzione (come per i salumi, vini e formaggi). L’inventory loan si struttura come un credito a medio termine che, nel caso di Banco Bpm, offre la possibilità di finanziare dal 50 al 75% del valore di magazzino, liberando, di fatto, risorse altrimenti non disponibili.
Anche “Crédit Agricole Italia, infatti, grazie al suo forte radicamento in Emilia Romagna ha una lunga esperienza nel settore, modella prodotti ad hoc per le aziende clienti che hanno un magazzino importante, che nel settore sono per definizione quelle che producono stagionati”, ha detto Gianluca Pagano, responsabile finanza d’Impresa del gruppo in Italia, intervenendo al Caffè. E ha aggiunto: “A questi produttori serve smobilizzare capitale circolante con elasticità in certi periodi dell’anno e quindi è lì che noi li possiamo aiutare”. Peraltro il gruppo bancario francese è presente nel settore anche con un proprio fondo. Amundi sgr di recente ha lanciato il fondo Cbus, proprio specializzato nel finanziamento del magazzino di imprese del settore agroalimentare, ha ricordato ancora Pagano. Il fondo, che ha target massimo di raccolta di 150 milioni, lo scorso novembre aveva annunciato un primo closing a 60 milioni e sottoscriverà obbligazioni di imprese agroalimentari italiane assistite da garanzie reali (si veda altro articolo di BeBeez).
Il settore è molto effervescente anche in tema di m&a, perché è ancora molto frammentato. “Le valutazioni in Italia non sono state mai molto elevate, proprio perché le aziende erano molto piccole e disorganizzate, ma ora il grande interesse che c’è per il food italiano da parte degli investitori internazionali le sta gradualmente spingendo al rialzo. La valorizzazione cresce anche con il crescere delle dimensioni delle aziende, man mano che il settore si consolida e nuovi capitali portano anche a sviluppare il business in maniera organizza”, hanno detto Pierluca Antolini e Andrea Bertoncello, gestori del fondo Italia Taste of Italy, di Dea Capital Alternative Funds sgr, anche loro al Caffè, che hanno anche spiegato come l’intervento del fondo in una catena come La Piadineria abbia potuto in pochi anni accelerare lo sviluppo della società, aumentando il numero dei punti vendita in Italia e all’estero ed efficientando organizzazione e processi, tanto da moltiplicare il capitale investito di oltre 12 volte al momento dell’exit a favore del fondo Permira, che ha rilevato la società lo scorso dicembre, per una valutazione di circa 250 milioni di euro, a fronte di ricavi stimati per il 2017 a quota 60 milioni e un ebitda di 20 milioni, con Idea Taste of Italy che ha però reinvestito per una minoranza, anche a questi valori, perché, hanno aggiunto Antolini e Bertoncello, “il potenziale di crescita è ancora molto elevato”.
In particolare, poi, come riferito da MF Milano Finanza lo scorso sabato 20 aprile, ci sono sottosettori più ricchi di altri, come quello dell’healthy food. In un suo studio a livello globale, l’advisor Oaklins Arietti ha calcolato che le valutazioni in termini di multipli di ebitda delle società quotate healthy food negli ultimi tre anni sono rimasti in media nel range delle 10-15 volte, con picchi a oltre 20 volte per le società produttrici di cibi e bevande bio (organic food) e minimi attorno alle 8-9 volte per i retailer specializzati. Marco Vismara, Head of Oaklins’ Food & Beverage Group, ha precisato che ”in media le società italiane del settore hanno ancora valutazioni più basse di queste medie globali, in particolare le aziende non quotate, che sono in genere di dimensioni anche piuttosto piccole. Tuttavia, va sottolineato che le medie globali risultano distorte dalle altissime valutazioni che hanno colossi internazionali che vanno ben oltre le 20 volte”. La dimensione del business , infatti, ha sempre un peso importante. Ha aggiunto Vismara: “Le aziende italiane del settore healthy food hanno registrato un ebitda margin medio del 9,6% nel 2016 contro uno del 6,6% per l’intero comparto del food&beverage sotto i 400 milioni di euro di ricavi, ma se si guarda alle prime 200 aziende italiane per livello di fatturato attive nel settore del food & beverage, l’ebitda margin medio è del 13,7%”.