Corsi e ricorsi della storia dalla quale evidentemente non si impara nulla. Per questo d’altronde la realtà supera la fantasia, come racconta la mostra “popoli in movimento”, il cui sotto titolo recita appunto Quando gli immigrati eravamo noi, inaugurata al Consiglio Regionale della Toscana, a Palazzo Pegaso a Firenze. La mostra fotografica mette insieme con una sorta di quadri sinottici le immagini del fotografo Francesco Malavolta e quelle di repertorio dell’archivio della Fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana di Lucca. Un viaggio in parallelo, colore e bianco e nero; oggi e ieri; dal sud e dell’oriente del Mediterraneo verso l’Europa e dalla sponda nord verso il sud o l’America.
Impressionante la somiglianza delle foto di ieri con quelle di oggi, la stessa restituzione di emozioni, dolori, smarrimento, persone con lo sguardo perso nel vuoto, che annaspano cercando all’orizzonte una luce, infagottate, strette in abiti laceri e pochi ricordi personali; donne con il capo coperto, foulard che si possono quasi sovrapporre, e bambini stretti; controlli che sembrano ispezioni di prigionieri.
La Fondazione Paolo Cresci – presieduta da Alessandro Bianchini – per la storia dell’emigrazione italiana di Lucca mira a dare continuità alla tematica divenendo un punto di riferimento per questa tematica la cui attualità cresce di giorno in giorno e l’ambizione è di trasformare in una mostra stabile l’esposizione “Lunga la scia di un’elica” che qualche anno fa al Palazzo Ducale della città toscana aveva riscosso molto successo.
L’attenzione del Consiglio Regionale è forte sul tema e, come ha sottolineato il presidente Eugenio Giani, l’italiano è un viaggiatore da sempre, un migrante, non un colonizzatore di indole e dovrebbe recuperare l’idea di Pericle di non cacciare lo straniero ma accoglierlo, con il suo bagaglio di storia anche se questo ha certamente un impatto, talora pesante, come lo hanno avuto tanti emigranti italiani altrove.
La mostra è nata da un’idea del Circolo Fotocine Garfagnana, presieduto da Pietro Guidugli, che aveva premiato Malavolta e ha pensato ad un collegamento con l’emigrazione a cavallo tra Otto e Novecento fino al 1971, coprotagonista indiscusso il mare, via di libertà e luogo di mistero e di incubi. Sono interessanti i testi, di Pietro Luigi Biagioni, che è riuscito a far dialogare episodi, immagini e storie del passato con il presente.
Peccato manchino le immagini. Solo manifesti senza stampe che non rendono giustizia all’impegno sul campo e in prima linea di un fotogiornalista che da vent’anni racconta e documenta flussi migratori dallo Stretto di Gibilterra e le enclave di Ceuta e Melilla, a Lampedusa, alla Grecia e Turchia, fino alla cosiddetta “rotta balcanica”. Lo sguardo è sempre sul particolare, o meglio sulla singola storia, che racconta una persona prima di un fatto cercando di sottrarre all’anonimato il dolore. Tra i tanti scatti un bacio con le labbra che appena si sfiorano tra un uomo e una donna siriana dopo aver rasentato la tragedia; mentre agli inizi del secolo XX a Ellis Island un uomo e una donna, con un bambino in mezzo, che punta il dito verso la statua della Libertà, guardano al futuro che li attende.
Grazie a Giada Luni