Inaugurata al Mudec – Museo delle Culture di Milano la mostra non autorizzata THE ART OF BANKSY, A Visual Protest, la prima volta di questo autore “misterioso” in un museo pubblico. Una sfida coraggiosa che conferma la vocazione del Mudec e l’importanza del gioco di squadra per organizzare l’esposizione curata dal critico d’arte Gianni Mercurio specializzato in arte americana. La manifestazione è promossa dal Comune di Milano, sponsorizzata dal Gruppo 24 ore che ha un sodalizio con il museo, insieme con Madeinart per l’ideazione la Fondazione Deloitte, il gruppo Koelliker e molti altri come Lavazza Coffee sponsor del museo. Aperta al pubblico dal 21 novembre, resterà aperta fino al 14 aprile 2019 e riunisce circa 80 lavori tra dipinti, prints numerati, corredati di oggetti , fotografie e video e circa 60 copertine di vinili disegnati all’inizio della carriera di questo artista e writer inglese la cui identità rimane tuttora nascosta, è considerato uno dei maggiori esponenti della street art contemporanea. La mostra si inserisce, come ha sottolineato il Direttore del Museo delle Culture Anna Maria Montaldo, nel percorso“Geografie del futuro”, ultima delle tre tappe geografiche di visualizzazione, un modo diverso di esplorare la realtà contemporanea, non solo attraverso i territori, quanto con uno sguardo focalizzato sulle vicende umane. In particolare questo autore, è intervenuto l’Assessore alla cultura del Comune di Milano, Dario Del Corno, ha un’illustrazione spiazzante del rapporto tra l’autonomia del soggetto del artista e lo spazio urbano condiviso. Certamente singolare la sua dichiarazione del superpotere dell’invisibilità, secondo l’Amministratore delegato del Gruppo Koelliker Luca Ronconi, in un mondo nel quale l’apparire è tutto, e la voglia di anonimato, anche se mi pare un modo per utilizzare lo stesso concetto del marketing al contrario. Probabilmente dopo la curiosità per la vicenda, in particolare dopo il famoso quadro della Bambina con il palloncino rosso che si è autodistrutto una volta battuto all’asta, recentemente, che ha portato alla ribalta l’autore, fuori dai confini degli addetti ai lavori e degli appassionati, il mercato – che detta legge soprattutto nell’arte contemporanea – lo sta apprezzando sotto il profilo artistico. In tal senso il Curato ha sottolineato l’importanza di questa mostra che mira a restituirci l’artista e non il personaggio, con uno sguardo critico e lucido che conferma l’approccio critico del Mudec (come già aveva fatto per la mostra su Frida Kahlo la scorsa stagione). Nondimeno lo sforzo organizzativo dell’esposizione ha comportato, come ha sottolineato il presidente della Fondazione Deloitte Paolo Gibello uno sforzo importante. Gianni Mercurio ha sottolineato che lavorare a questa mostra è stato come lavorare con un fantasma che ha avuto il merito di riportare il graffitismo, la street art degli Anni Settanta e Ottanta a New York, allo spirito originario, di protesta e di artisti spontanei, non alfabetizzati, diversamente da quanto è avvenuto successivamente, quando i muri si sono coperti di opere d’arte sofisticate di giovani usciti comunque dalle accademie. Tra l’altro la scelta dell’anonimato ricalca quella originaria del senso del collettivo (a dire il vero non sposata da Banksy, ndr) anche per sfuggire agli sguardi istituzionali. Finora sono già state organizzate diverse mostre su Banksy presso gallerie d’arte e spazi espositivi, ma mai un museo pubblico italiano ha ospitato finora una sua monografica (se si eccettua quella organizzata dall’artista stesso, come al Bristol Museum nel 2009); o comunque in luoghi abbastanza distanti dallo spirito della protesta come in un centro commerciale a Berlino e nel Museo di Roma a Palazzo Cipolla, in un’ex banca. L’esposizione racconta attraverso uno sguardo retrospettivo l’opera e il pensiero di Banksy, con un percorso a suo modo accademico e insolito, ma coerente con la mission di un museo come il MUDEC, quella di fornire a ogni fascia di pubblico le chiavi di lettura per comprendere (e apprezzare) le culture del mondo e i grandi temi della contemporaneità attraverso tutte le arti visive, performative e sonore.
Il Museo delle Culture rifletterà insieme ai visitatori sul tema della disciplina geografia, cercando di capire quali tipi di “geografie” definiranno i confini della nostra conoscenza del mondo nel futuro, in un mondo che riduce sempre più gli spazi grazie alla tecnologia, e dove i luoghi e i non-luoghi da esplorare diventano sempre più complessi e elusivi. In particolare, con Banksy la relazione con la geografia e il paesaggio si connotano di tratti assolutamente “sociali”: la relazione con il paesaggio umano nel quale Banksy si esprime, spesso in zone di conflitto, dove anche la politica e le istituzioni faticano ad arrivare, l’attitudine sperimentale, la teoria della “psicogeografia” di matrice situazionista, secondo cui lo spazio di azione dell’artista è il territorio. In linea con i principi di fruizione delle opere dell’artista non sono presenti in mostra suoi lavori sottratti illegittimamente da spazi pubblici, ma solo opere di collezionisti privati di provenienza certificata. Percorrendo la mostra si comincia dai “movimenti” che hanno utilizzato una forma di protesta visiva attraverso la fusione di parole e immagini e con un’attitudine all’azione, a cui Banksy fa riferimento esplicitamente per modalità espressive: dal movimento situazionista degli anni ’50 e ’60, con il quale Banksy condivide l’attitudine sperimentale e l’attenzione sulle realtà urbane, alle forme di comunicazione ideate e praticate dall’Atelier Populaire, il collettivo di studenti che nel maggio del 1968 diffuse attraverso centinaia di manifesti i temi della protesta sui muri di Parigi; fino ad arrivare ai lavori dei writers e dei graffitisti di New York degli anni ’70 e ’80, multiculturali e illegali per vocazione e dal forte senso di appartenenza comunitaria. Come gli street artist della sua generazione Banksy accentua il contenuto dei messaggi politici e sociali in maniera esplicita, spostando il messaggio dalla forma al contenuto. Questi aspetti vengono fatti emergere come fondanti dell’arte di Banksy nel corpus di opere presentate in mostra, che saranno suddivise per generi e temi, come ad esempio l’idea e la pratica della serialità e della riproducibilità dei lavori riferiti a Warhol, tra i quali i ritratti di Kate Moss o le serie “Tesco”, in cui utilizza il marchio della grande catena di distribuzione britannica alla maniera di Campbell’s Soup, o del détournement, in cui Banksy interviene su copie di opere esistenti e spesso universalmente conosciute, con l’inserimento però di alcuni elementi stranianti che ne modificano il significato. Una speciale sezione video racconta al pubblico i murales che Banksy ha realizzato in diversi luoghi del mondo, tuttora esistenti o scomparsi, evidenziando così quanto il Genius loci sia un aspetto fondamentale nel suo lavoro: molti lavori nascono infatti anche semplicemente in funzione dei e per i luoghi in cui sono realizzati. Il messaggio di Banksy e la sua arte si manifestano come un’esplicita e mordace provocazione nei confronti dell’arroganza dell’establishment e del potere, del conformismo, della guerra, del consumismo. In tal senso i suoi ratti ne sono un emblema, protagonisti certo involontari, sono odiati, disprezzati ma possono mettere in ginocchio un’intera società e non si può non ricordare La Peste di Camus, venuta dalle fogne. Come ha spiegato Shepard Fairey, famoso street artist americano: “le sue opere sono piene di immagini metaforiche che trascendono le barriere linguistiche. Le immagini sono divertenti e brillanti, eppure talmente semplici e accessibili: anche se i bambini di sei anni non hanno la minima idea di che cosa sia un conflitto culturale, non avranno alcun problema a riconoscere che c’è qualcosa che non quadra quando vedono la Monna Lisa che impugna un lanciafiamme.” In occasione della mostra dedicata a Banksy, il Nuseo invita gli artisti milanesi ad esprimere la propria personale Visual Protest a partire dal 27 novembre prossimo fino al 15 gennaio 2019: circa 660 manifesti della dimensione 140X200 centimetri saranno affissi a Milano, con un’affissione di 220 manifesti a rotazione ogni 15 giorni, senza censure: solo un’indicazione Free art space.
A cura di Giada Luni