Dal 1^ al 3 OTTOBRE per Infinito Srl produzioni si è potuto apprezzare 66/67 Un concerto di Alessio Boni e Omar Pedrini con Larry Mancini (voce e basso), Carlo Poddighe (voce, chitarra e tastiere), Stefano Malchiodi (batteria) su testi di Alessio Boni e Nina Verdelli. Un progetto musicale nato dall’unione artistica tra Alessio Boni e Omar Pedrini che firmano il progetto musicale; mentre i testi sono di Alessio Boni e Nina Verdelli. Un viaggio musicale ed emozionale che racconta una generazione in quarant’anni dal 1963 al 2003.
Un susseguirsi in scena di musica, visual, recitato e cantato per coinvolgere il pubblico con lo scopo di trasmettere la poeticità dei testi, resi poi canzoni grazie alla musica.
Brani potenti ed emozionali della storia della musica, letti e cantati in lingua inglese, che dagli anni ‘60 ad oggi hanno composto la colonna sonora della vita di tanti, John Lennon, Lou Reed, Pink Floyd, Simon & Garfunkel, David Bowie, Bob Marley ed altri ancora. Alessio Boni si rivela un animale da palcoscenico che si ispira al teatro canzone e racconta che “lo spettacolo nasce da un’amicizia e da una serie di coincidenze. A dividere me e Omar Pedrini è solo un anno, io sono del 1966, lui del 1967 (da qui il titolo) e un lago”: il lago d’Iseo che separa il bresciano dal bergamasco dove è nato l’attore.
“Non solo, inconsapevolmente io e lui ci siamo scambiati i sogni, io da piccolo avrei voluto fare la rockstar, Omar l’attore. Forse i nostri desideri incompiuti ci hanno dato la spinta per creare questo spettacolo”.
I due amici, cresciuti con gli stessi riferimenti musicali, che in quegli anni erano forti e determinanti nel percorso di crescita, sono entrambi convinti che alcune canzoni siano poesie e possano salvare una vita, come in un passaggio racconta Omar Pedrini quando parla del suo disco d’oro, “Un sole spento”, in un momento difficile che diventa un pensiero di vicinanza a chi soffre dietro le sbarre.
Le canzoni in effetti sono poesie in musica – d’altronde la musica non è che poesia in numero – spesso perdute, perché i testi sono per la maggior parte in inglese e non tutti li comprendono. Lo scopo di questo concertato è raccontare il contesto, spiegare il testo di una canzone, per poi farlo apprezzare appieno con musica e canto con l’augurio che si possa gustare di più. In questo senso il teatro rispetto alla formula del concerto ha un’interattività didascalica, non solo emozionale. Il viaggio parte idealmente dal 1963 per arrivare al 2003 ed è su due binari, Boni legge i testi tradotti in italiano e li racconta, Pedrini canta e suona. Tra le musiche Gaber – che canta lo stesso Boni, con un gioco di inversione – Blowin’ The Wind di Bob Dylan, contro la guerra del Vietnam che l’attore ritiene lo abbia forgiato, nell’impegno civile; e ancora i Supertramp, i Pink Floyd, David Bowie mentre altri sono previsti nel sequel che è già in programma.
Prima tappa del viaggio Bob Dylan con un testo del 1962 e una carriera folgorante da 2 Grammy d’oro al Premio Nobel che non ha ritirato, pubblicato nel 1963, l’anno della marcia di Martin Luther King nella quale pronunciò il celebre slogan “I have a Dream” che diventò un inno per una generazione, di ribellione condita con il sogno di poter cambiare la realtà. Il percorso si conclude con uno dei simboli del teatro canzone che sintetizza i due percorsi dei protagonisti, Boni e Pedrini, Giorgio Gaber di cui nel 2003, poche settimane dopo la sua scomparsa, esce Io non mi sento italiano, un manifesto-testamento critico sull’Italia per gli aspetti grotteschi e sublimi insieme, non un inno antitaliano, ma un testo critico, il cui refrain recita “Non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono”, che si conferma di grande attualità. Con ritmo e tono colloquiale seguiamo la formazione musicale di due ragazzi della fine degli anni Sessanta che è anche quella di una generazione, dal folk rock di Dylan appunto al Simon & Garfunkel del Queens, New York, due ragazzi che diventano un duo nel 1965 mentre impazza il beat del Beatles e raccontano la solitudine nella massa, l’incomunicabilità come in The sound of silence. Non si può dimenticare il fenomeno dei Beatles ma Boni sceglie un brano insolito, il percorso intimistico di John Lennon che dopo mesi di terapia per cancellare i traumi dell’infanzia legati all’abbandono familiare, scrive Mother, quando muore la madre travolta da un poliziotto ubriaco, un grido di dolore.
Personaggio incredibile che unisce in un ossimoro poesia e trasgressione feroce, Lou Reed, ebreo di New York, figlio di un contabile e di una casalinga che a 14 viene sottoposto all’elettroshock perché aveva manifestazioni bisessuali. L’esperienza lo segnerà profondamente ed entrando nella Factory di Andy Warhol ne vedrà di tutti colori come nel pezzo del 1972 in concerto. A metà degli anni Sessanta a Londra nel frattempo si erano costituiti i Pink Floyd che hanno cambiato il rock e di cui abbiamo ascoltato I wish you are here, commovente ballata per il compagno che non c’è più pensando al quale Roger Waters disse che il gruppo senza di lui non sarebbero stati gli stessi ma con lui la musica sarebbe stata impossibile. Ancora una scelta di repertorio originale. Per il “Duca bianco”, David Bowie, artista globale e trasformista, con tante personalità dentro di sé, tanto che foggiò il glam rock, per cadere nell’estremismo politico di destra e nella fascinazione dell’occultismo, Heros, il grido dell’ultimo dei romantici, sorpreso da un bacio sotto il muro di Berlino. Nel 1980 muore Bob Marley, uno dei miti di Alessio Boni, rasta, seguace di un cristianesimo nato in Etiopia legato al pacifismo, per un tumore che lo distrugge già quando nel 1979 scrive Redemption Song. Negli anni Ottanta a Londra nascono e muoiono nello spazio di 5 anni, con un successo cominciato con 11 spettatori in sala e milioni offerti nel giro di qualche anno, gli Smith’s, un nome che nasce dal cognome inglese più comune, perché il gruppo voleva presentarsi come la voce dell’Inghilterra comune. Il successo è legato a quel mix inconfondibile di rock e post punk. Proprio nel 1980 nascono i REM, un invito ai giovani a non mollare mai perché Every body hearts come recita il titolo di una canzone. Nel 2000 gli Oasis spopolano: nel 1995 esce una delle canzoni fiore all’occhiello del gruppo, Wonderwall (o il muro delle meraviglie), disco di platino, scritta da Noel Gallagher, uno dei brani che hanno consacrato il gruppo come leader del movimento Britpop e come una delle più influenti band del palcoscenico europeo.
A cura di Giada Luni