Al Museo Archeologico Regionale, MAR, di Aosta è allestita dal 26 ottobre una mostra dedicata al piemontese Carlo Fornara e il Divisionismo, che rimarrà aperta fino al 15 marzo 2020, a cura di Annie-Paule Quinsac, diretta da Daria Jorioz e organizzata dall’Assessorato del Turismo Sport Commercio Agricoltura e Beni culturali della Regione autonoma Valle d’Aosta, personale ricca con 80 opere tra dipinti e disegni di grande livello, seppure con qualche limite di allestimento. La soluzione un po’ fredda con le opere montate direttamente sugli spazi bianchi, forse troppo ampi o meglio dispersivi per seguire il percorso pur ricco e qualche difetto di illuminazione, in parte giustificato dalla necessità di calibrare la luce per la conservazione delle opere. Il tema però non è l’intensità.
Carlo Fornara – nato in un’umile famiglia contadina a Prestinone nella Val Vigezzo nel 1871 e morto nel 1968 – sta riacquistando il ruolo di primo piano che ebbe nell’arte italiana ed europea a cavallo tra Otto e Novecento e la grande monografica aostana lo evidenzia al di là di ogni dubbio, sciogliendo riserve e preconcetti, nati dalla percezione di questo artista nella veste riduttiva di erede e imitatore di Giovanni Segantini, del quale certamente ripercorse le orme. Formatosi come ritrattista professionale – la mostra si apre con l’Autoritratto – alla Scuola Rossetti Valentini di Santa Maria Maggiore, la prima parte dell’esposizione mostra una pittura di buona fattura forse un po’ datata nel gusto anche se rivelatrice di grande attenzione per l’introspezione ben oltre il ritratto. La serie dei paesaggi, con qualche nota naïf, manifesta una raffinatezza nel tocco e nell’uso del colore certamente piacevole. E’ però nel solco di Segantini che Fornara sviluppa la propria arte nel senso più nobile anche se la citazione è ben presente e riconoscibile. Alla pennellata di unisce l’ispirazione e la linea del Simbolismo che attraversò la cultura europea in quegli anni una delle cui declinazioni fu la Secessione viennese. In mostra opere di grande eleganza, che colpiscono per l’uso del colore e della luce, apprezzabili soprattutto nel prendere distanza dal quadro, che ricorda per certi aspetti anche la lezione impressionista.
È esposta anche una cospicua sezione di opere su carta, per offrire una visione più ampia della grafica, con chine, anteriori al 1900, e disegni che consente di illustrare la storia di un artista convinto che il disegno fosse il nerbo del dipinto e che, lungo tutto l’arco di una lunga vita, è rimasto instancabile disegnatore.
Gli anni Novanta dell’Ottocento furono per lui stagione formativa sotto la guida del maestro Carlo Cavalli, erede spirituale del marsigliese Adolphe Monticelli. “Anni anche di personale affermazione, quando, fatti propri gli impasti monticelliani, Fornara elabora un linguaggio luminista di pittura materica a spatola e pennellate a effetto smalto”, annota la curatrice Annie-Paule Quinsac. Questa maniera fu poi rivoluzionata quando Fornara fu l’assistente di Segantini nell’estate 1898, imparando profondamente la lezione del grande maestro che doveva scomparire tredici mesi più tardi, ma questo non spiega, almeno non da solo, né la sua adesione al Divisionismo né l’evoluzione del suo complesso e originale percorso di artista. Non a caso, l’esposizione di Aosta giunge a completamento delle celebrazioni per il cinquantenario dalla morte di Fornara, aperte lo scorso settembre a Milano con una selezione degli autoritratti e proseguite nella storica Casa de Rodis a Domodossola. Le manifestazioni hanno offerto già l’occasione per una rilettura dell’artista alla luce delle radici della sua pittura, il suo mondo vigezzino in primis, poi il Divisionismo, per concludere con la posizione in bilico negli scenari del Novecento. La mostra, prima rassegna monografica in Valle d’Aosta dedicata al pittore consolida le conclusioni sin qui acquisite, focalizzata sui due decenni cruciali della parabola di Fornara, l’ultimo dell’Ottocento e il primo del Novecento ed esamina la stagione più intensa della sua produzione, in parallelo alla genesi e all’apice del Divisionismo in Italia. Il periodo simbolista di Fornara, oltre al capolavoro L’Aquilone, è qui rappresentato da La leggenda alpina e da due studi a olio testimoni dell’evolversi dell’immagine, mentre nella sezione dei disegni, alcuni fogli di grande formato, quali quello per il Manifesto stradale del Sempione e Allegoria dei monti, raccontano di un’esperienza che più tardi l’autore preferì occultare.
Tra il 1894 e il 1895, a Lione Fornara si avvicina alla corrente pittorica del neoimpressionismo, che si manifesta nell’opera En plein air, rifiutata nel 1897 dalla terza Biennale di Brera, ma apprezzata da Giuseppe Pellizza da Volpedo e Giovanni Segantini, due dei maggiori esponenti della corrente divisionista.
Chiusa la parentesi simbolista, il primo decennio del Novecento è segnato da una ricerca di obiettività verso la natura, spoglia dell’espressionismo che aveva dominato le stagioni tra la fine dell’apprendistato vigezzino e la maturazione divisionista che, con l’opera citata En plein air, anticipa di alcuni mesi l’incontro con Segantini.
E’ del 1899 la sua partecipazione alla terza Esposizione internazionale d’arte di Venezia. Entrato in contatto con Alberto Grubicy de Dragon, titolare della Galleria Grubicy e fratello del promotore del divisionismo a livello europeo, il mercante d’arte e pittore lui stesso Vittore Grubicy de Dragon, fu molto apprezzato da entrambi e messo in contatto con Segantini, che volle il giovane artista come suo assistente, per l’Esposizione di Parigi del 1900. Grazie al patrocinio dei Grubicy, Fornara fu presente alle maggiori esposizioni pittoriche nazionali ed internazionali di quegli anni. Gradualmente, l’adesione alla scuola divisionista iniziò ad indebolirsi intorno agli anni venti, quando l’artista iniziò una sua ricerca pittorica con uno stile del tutto personale.
Sono anni dedicati alla sua terra, fonte iconografica primaria, la Val Vigezzo, a cui prova a ridare volto in una sintesi di lente elaborazioni che nasce, come in Angelo Morbelli, da scatti fotografici e numerosi studi, come nel caso dell’opera Il grano saraceno in fiore. Rare sono le esplorazioni di Fornara fuori dal proprio mondo. La trilogia di Valle Maggia, nella vicina Svizzera, frutto del soggiorno del 1908, testimonia una ricerca mirata a un assoluto naturalismo, in cui le modifiche tecniche apprese da Segantini sono mirate a una visione realista che per nulla rimanda al panteismo del maestro.
A partire dal 1922, scelse la sua amata Val Vigezzo, dove continuò a dipingere sino alla morte avvenuta nel 1968.
Come si evidenzia dal breve carteggio con Pellizza da Volpedo e dalle lettere di Morbelli, Carlo Fornara, malgrado anagraficamente più giovane, fu un Divisionista della prima ora. La sua tecnica rivela un’empirica divisione del tono, anteriore al fondamentale incontro con Segantini per il Panorama di Saint-Moritz. Dopo di che, l’uso dei colori puri o semi-puri e delle pennellate giustapposte si arricchisce con la pratica segantiniana dell’aggiunta di metalli, oro e argento fusi all’impasto fresco, per ottenere barlumi che accentrino la luminosità dell’ambiente. La mostra ambisce a far comprendere tale evoluzione operativa e il legame con l’iconografia che la giustifica. Sempre a proposito dello studio sulla tecnica e sul modus operandi di Fornara, la mostra segna un passo avanti anche dal punto di vista delle indagini scientifiche: il complesso modus di Fornara era infatti rimasto unico fra quelli dei colleghi divisionisti a non essere stato oggetto di una diagnostica completa, sino ad oggi. Grazie alla collaborazione e al sostegno della Direzione Artistica di Banca Patrimoni Sella & C., che da circa due anni porta avanti un progetto di studio diagnostico di artisti italiani fra il XVI e il XIX secolo, la mostra di Aosta ha dato l’occasione per l’analisi di cinque opere chiave: Le lavandaie, une delle opere più belle in mostra, L’Aquilone, Chiara pace, Luce e ombre, Fine d’autunno in Valle Maggia. Il rilevamento dei dati diagnostici è stato affidato a Thierry Radelet, esperto di fama internazionale, e i risultati sono presentati in un apposito apparato del catalogo della mostra, che vuole così essere anche il punto di partenza per futuri approfondimenti scientifici e studi comparativi. Completa il catalogo bilingue in italiano e francese, ricco anche di una bella fotografia, un contributo di Filippo Timo che indaga e ricostruisce la storia della partecipazione di Carlo Fornara alla Biennale di Venezia, anche grazie al reperimento di materiali d’archivio inediti, pubblicato da Silvana Editoriale.
a cura di Ilaria Guidantoni