L’ultima generazione felice di Aleco alias Alessandro Carletti Orsini, uscito il 12 gennaio scorso, è la storia di Sabina raccontata da Alessandro, alla sua prima prova da autore, dopo anni di impegno nella promozione di cantautori, che per altro continua.
Una traccia musicale fresca, controcorrente con la musica urlata e la rabbia dei testi rap, la voglia di provocare e di ‘spaccare’. In Aleco aleggia l’eco della tradizione cantautorale italiana e anche della canzonetta, la voglia di guardare avanti, nonostante tutto.
Lo abbiamo incontrato per farci raccontare come sia nata la sua voglia di mettersi in gioco in prima linea.
Cosa significa il titolo?
“Il titolo è emblematico. Sono convinto che per molti versi la spensieratezza della generazione attuale non sia paragonabile alla mia degli anni che furono.
Spesso ci bastava veramente poco, anche solo alzare gli occhi al cielo, ora invece hanno tutti la gobba. Mi fa piacere che molte persone si siano riconosciute nelle parole del testo.”
A cosa risponde la scelta di uno pseudonimo e cosa significa?
“ALECO è il sunto, o crasi che dir si voglia, del mio nome e cognome che effettivamente sarebbero stati troppo lunghi da ricordare. ALECO è semplice, immediato e poi sono io solo un po’ più corto.”
Ci racconti la Storia di Sabina.
“Tutto è come sospeso nel tempo. Sarebbe bello pensare ad un pallone arancione, ad una corsa in bicicletta sperando che quei giorni non finiscano mai, è come tutto sospeso nel tempo. Le generazioni passano, sono felici, sono immortali.
Sabina si trova a vivere e ricordare questa immortalità con una tale leggerezza da non rendersene conto, mai. O forse sì, a distanza di anni se ne rende conto e si bea di tutto ciò che è stato, della bellezza di tutto ciò che è stato, ma che è pronta a vivere anche successivamente. Ed è per questo che basta una bicicletta, basta mettersi d’accordo per incontrarsi, basta veramente poco per mettersi d’accordo.
E così una serie di ragazzi vive in maniera davvero spensierata tutto ciò che accade, senza problemi, né preoccupazioni. È una generazione felice, forse l’ultima. Ma basta poco a volte per far sì che tutto accada di nuovo, anche quando ci si rituffa nella realtà quotidiana. Appuntamenti per cena che vengono travisati, obbligati, spiegati, attesi e disattesi, ma Sabina sa che basta poco per rendere tutto bello. Basta un pizzico di sogno, da non tramutare in realtà, per accorgersi che arrivare vicino alla concretizzazione di un sogno forse è davvero più bello che realizzare il sogno.
Ma passa un altro anno, il sole splende di nuovo, il pallone ha cambiato colore, o forse no, e alla radio passano diverse canzoni che sappiamo riconoscere, ma non del tutto…e allora improvvisiamo. Si improvvisa perché è stupendo essere spensierati, improvvisare la vita, goderla appieno.
E per viverla pienamente c’è anche bisogno di cantare, di guardarsi negli occhi, di capire che il mondo reale di quel momento è il mondo sempre desiderato e mai dimenticato. Basterebbe anche poco per sognare di essere qualcuno che è impossibile essere, qualcuno che possa parlare con Nettuno per spiegargli che le distanze andrebbero annullate, possibilmente anche placando le maree. Sabina sa di essere dall’altra parte del mare, ma sa di avere tanti angeli al suo fianco che possono farla sentire importante e serena. Non tutti gli angeli però riescono a parlare con lei, ma lei capisce ugualmente, guarda, impara, continua a sognare. Ed è proprio in quel momento che pensa di scappare, di scappare da qualcosa o da qualcuno, scappare perché non viene più considerata. L’amore vince sempre, o perlomeno dovrebbe, e, anche se tentenna, porta con sé quell’immenso magnetismo capace di riavvicinare un qualcosa che credevamo perso.
Sabina torna quasi ogni sera, suda, si sbraccia, ma è proprio quella voglia di tornare che rende il percorso meno intricato di quello che si possa pensare. Qui, mentre la luna fa uno sforzo immenso prima di sparire definitivamente per qualche ora, rinasce la vita. Cambiano le ottiche, le prospettive, le generazioni con tutti gli sbagli che potranno e dovranno fare, alle quali, con l’esperienza maturata in sette punti, dovrà per forza di cose, spiegare come un piede si mette davanti all’altro, come si canta, come si balla, come ci si mette d’accordo per incontrarsi tante volte e tornare ogni anno ad essere la generazione più felice che ci sia. Sabina trova qualcosa di nuovo, insegna qualcosa di nuovo, ma a volte perde anche se stessa acquisendo la consapevolezza che il tempo è ingannatore. Il tempo inganna, vince sempre, il tempo non è un alleato, è sempre un nemico, se si parla di vita vissuta. Allora tutto ciò che rimane è un pallone, una bicicletta, il sole, un incontro e il tempo fermato in ogni singolo attimo che ricordiamo, più sono i bei ricordi, meno il tempo è nemico.”
Chi è Sabina e da dove viene l’ispirazione?
“Io sono Sabina…. Chi avrà il piacere (piacere mio ovviamente) di ascoltare l’album, alla traccia numero 7 troverà quella che probabilmente secondo me è la canzone non più importante del disco, ma forse la più carica di significato. E lì c’è Sabina a corollario del testo.”
I testi sono tuoi? E la musica come nasce?
“I testi sono tutti miei, assieme alla musica, gli arrangiamenti tutti di Andy Micarelli che ha saputo trasformare le mie idee alla perfezione. Quindi le composizioni sono diventate effettivamente di ALECO-Micarelli.”
Pensi che L’ultima generazione felice resterà figlio unico?
“Chissà, potrebbe diventare un fratello maggiore. Sta di fatto che non ho voluto pubblicare l’album su nessuno store digitale come ad esempio Itunes e Spotify, solo disco fisico (il libretto contiene anche tutti i testi e la storia di Sabina) con distribuzione nazionale. Un’eccezione.”
Dieci tracce, dieci capitoli di un lungo racconto, quasi un diario intimo, un cantato in prosa, o forse una parola che si fa musica, dal sapore della quotidianità. Sono sentimenti semplici, forse più ricordi, soprattutto ascoltati adesso, ricordi che possano essere anche presenti ma che citano un mondo di sentimenti universali, dal sapore di anni passati nei quali c’è ancora una vena di ingenuità e di sogno, che un po’ si sono persi. Per la composizione timbrica e la varietà del ritmo, come una tavolozza che si esercita sui vari colori e diverse tonalità, seguendo il ritmo e le sfumature della vita, ricorda i tempi migliori di molti cantautori anche se la citazione sembra sempre sminuire l’autore. Al contrario chi lavora nel mondo della musica assorbe suggestioni, reinventandole e, come in questo caso, rilanciando la canzone e la canzonetta un po’ lasciata da parte. Anche nei pezzi più rap come Ma che bella l’estate, c’è sempre qualcosa di antico che ci riporta alla filastrocca e a una tradizione diversa. Un timbro lirico brillante, dove la malinconia è sempre stemperata. Al centro il calore della parola, curata, senza abbandonarsi agli ammiccamenti ma a una poesia semplice, fatta di nomi e il fondo musicale è semplice, pulito, armonico.
a cura di Ilaria Guidantoni