Teatri chiusi, scene aperte. Così il 25 e 26 marzo c’è stata la diretta streaming di The Handmaid’s Tale – Il racconto dell’ancella attraverso il collegamento al sito del Teatro No’hma. Viola Graziosi invita gli spettatori a casa sua, a Roma, dove ha allestito la scena della rappresentazione, dello spettacolo con la regia di Graziano Piazza. “La proposta non è lo spettacolo – tiene a precisare Viola – come potrebbe esserlo? Ma dato che tengo molto a questo testo ho voluto fa un invito a un ‘Teatro libero, senza limiti o preclusioni’.”
Livia Pomodoro, presidente del Teatro No’hma, ha tenuto a precisare che “la cultura non si ferma di fronte alla paura; la cultura non divide, ma unisce e supera ogni tipo di barriera”.
Da qui è nata la spinta a un impegno nuovo per cercare possibilità di comunicazione diverse durante quest’emergenza straordinaria, attraverso ciò che per ora ci rimane: una casa, una macchina da presa, il web, e il tempo.
Italiana, cresciuto in Tunisia, con un’esperienza francese, Viola lavora a trecento sessanta gradi sul femminile, e in questa lettura scenica – che ha dire il vero ritengo molto più di una lettura – riesce a bucare il piccolo schermo di un computer, anzi se possibile concentrando lo sguardo sul suo volto, ci si apre un mondo infinito, come la stanza di Emily Dickinson. Al pari della poetessa americana, la Graziosi ci apre un mondo, quello del femminile, di sofferenza, di manipolazione in una sorta di cyber letteratura dell’inconscio, tremendamente attuale per la situazione di confinamento, nella quale come dice in conclusione ‘abbiamo dimenticato l’amore’ che è il nucleo della vita, che non può essere prodotta alla stregua di un altro bene. D’altronde Viola Graziosi comincia proprio la carriera con un’indagine sul femminile, in circostanze particolari, essendo stata scelta a 17 anni per interpretare Ofelia nell’Amleto di Shakespeare al Teatro Garibaldi di Palermo, per partecipare al progetto triennale Trilogia Shakespeariana che comprende anche Sogno di una notte di mezza estate e Misura per misura.
Lo spettacolo Ancella, che ha debuttato al Napoli Teatro Festival la scorsa estate, è tratto da Il racconto dell’ancella di Margareth Altwood, scritto a metà degli anni Ottanta che, dopo l’elezione di Trump, è tornato alla ribalta per la protesta delle donne.
“Il testo – ci ha raccontato Viola – racconta un mondo discopico dove le donne sono emarginate perché il clima alterato ne ha ridotto la fertilità – e il riferimento è alla qualità dell’aria, a virus che si sono attaccati alla carne – qualità per la quale sono riconosciute nel loro valore dalla società. Le ancelle sono le poche donne fertili, vestite di rosso, una sorta di uteri viventi, le uniche titolate di diritti: sono ingravidate con una cerimonia ad hoc. Le donne blu sono invece le mogli dei generali di questo nuovo stato; quelle verdi le donne attempate, una sorta di addestratrici; poi ci sono le ‘non donne’, quelle non fertili o le omosessuali, rinchiuse in una sorta di campi di concentramento. Il testo utilizza in un’interpretazione distorta alcuni versetti della Bibbia evidenziando come per le ancelle paradossalmente l’istituzione di questo paradigma di pensiero sia giusto. Nel testo si dice anche che le donne che verranno dopo faranno meno fatica perché non desidereranno quello che non si può desiderare mentre molte donne attuali per sopravvivere da vittime si prestano al gioco del carnefice, diventando una sorta di guardiani-carcerieri. Il testo è interessante perché induce ad una riflessione sul senso di responsabilità quale che sia la condizione nella quale ci troviamo.”
Viola, la sola in scena nella diretta che abbiamo visto, è un’ancella, vestita di rosso, un colore che non ha mai sentito suo, con una cuffietta bianca dalle alette laterali che la protegge, o meglio la dovrebbe proteggere, sottraendola allo sguardo altrui ma anche limitandone la vista, isolandola. Le associazioni che si possono trarre con la situazione attuale di confinamento sono impressionanti anche se il testo riunisce molte suggestioni e riflessioni sull’interiorità, sulla manipolazione sessuale delle donne in termini sociali e storici, evidenziando una regressione della società. Impressionante è l’evocazione della madre che si è battuta per i propri diritti, che ha scelto come e quando avere un figlio, che ha deciso di rinunciare ad un uomo. Nel testo non c’è giudizio, c’è soltanto l’accento posto sulla libertà o meno.
Il racconto inizia con una sorta di prologo in un futuro che purtroppo sa di presente dove le donne hanno perso il potere e Viola ci avverte che quello che ci dirà non è solo una storia
Storia raccontata ma qualcosa che è anche nella sua testa, che non può scrivere perché le è impedito scrivere; in ogni caso anche se fosse solo una storia immaginata, ha bisogno di rivolgersi a qualcuno come in una lettera. In effetti il bisogno di comunicazione, il pensiero di poter essere ascoltati, ci fa sentire vivi e umani. L’ancella però sa che nessuno la potrà ascoltare. La scena che si è descritta su un fondale nero è quella di un’ex palestra dove sono accampate ‘prigioniere’ le donne, un ricovero dal quale è permesso uscire solo per una passeggiata in quello che era il campo di calcio ora protetto da una grande rete e per fare la spesa, a due a due, perché ognuna sia il controllore dell’altra, la spia. E’ impressionante l’affinità con i decreti restrittivi di questi giorni. Anche i contatti fisici sono vietati e nella notte le ancelle di nascosto allungano le mani per avvicinarsi e leggere il nome dell’altra in modalità labiale.
Una riflessione colpisce, quella sulla libertà, nella duplice accezione di “libertà di” che è anarchia o “libertà da” nella modalità vigente. Una delle guardiane, chiamata zia Lidia, dice che la società che rappresenta il passato rischiava di morire proprio per la troppa libertà di scelta. Così alle donne confinate non è neppure permesso di leggere.
In questo scenario si sentono suoni striduli, metallici, voci che sembrano sirene e echi confusi di bisbiglii, insieme ad un silenzio assordante. L’evocazione dell’atmosfera è possente proprio per la delicatezza della figura di Viola, pacata, sommessa non rassegnata. Non si ribella ma mantiene vigile la propria coscienza, non cede e forse nemmeno subisce, perché le resta la dignità interiore. L’interpretazione è grave, posata, a tratti sussurrati, senza cedere alla rabbia e per questo ci conquista, ci entra dentro e sedimenta. La scena agghiacciante è quella della fecondazione, che non può essere nemmeno dichiarato uno stupro perché, dice l’ancella, “Non sta succedendo nulla che io non abbia sottoscritto”, ma ci chiediamo se avesse un’alternativa. Le gravidanze devono essere portate avanti obbligatoriamente ma le possibilità sono una su quattro. Nel testo c’è una speranza, la nascita di Angela, che è come un mazzo di fiori, che può essere allattata per un periodo la madre, la quale sarà poi sottoposta nuovamente all’esperimento. La vita resta più forte di tutto e quello che colpisce è che l’ancella è schiava ma non potrà mai venir dichiarata una ‘non-donna’ e in questo riconoscimento sembra esserci la via per la salvezza.
Ben congeniata anche nei tempi la lettura scenica mantiene il rigore della rappresentazione e, nel congedo, fa cadere la barriera tra il palcoscenico e la platea, in quel rivolgersi a noi spettatori che siamo sì digitali ma non virtuali, che siamo in diretta e la stiamo guardando e ascoltando per davvero.
a cura di Giada Luni