Le partnership tra banche e startup fintech sinora non hanno dato grandi risultati, ma i due mondi non possono non collaborare, quindi non resta che provare e riprovare. Lo dice il World Fintech Report 2020, stilato da Efma (European Financial Management & Marketing Association) e dalla società di consulenza internazionale in tecnologia e digitale Capgemini (si vedano qui il comunicato stampa e qui il rapporto completo).
Capgemini ha peraltro sviluppato l’Open X Readiness Index, uno strumento di confronto ideato per misurare la disponibilità delle banche a collaborare efficacemente con le startup (su quattro fronti: persone, business, tecnologia e finanza). L’indice rivela che gli istituti di credito più aperti alla collaborazione sono quelli con team dedicati e autonomi, che lavorano con le startup e dimostrano un approccio fail-fast. I più preparati sono anche i primi a investire in tecnologie emergenti e adessere meno dipendenti dai sistemi legacy, rendendo più facile l’integrazione con le fintech.
Quanto alla situazione attuale delle partnership tra banche e fintech, il World Fintech report rivela che:
- solo il 21% delle banche ritiene che i propri sistemi siano abbastanza agili per la collaborazione;
- solo il 6% delle banche ha ottenuto il ROI desiderato dalla partnership;
- il 70% delle fintech non si trova d’accordo con il proprio partner bancario né a livello culturale né a livello organizzativo;
- oltre il 70% delle fintech afferma di essere insoddisfatto dalle barriere di processo degli istituti di credito tradizionali;
- la metà dei dirigenti del settore fintech afferma di non aver trovato il giusto partner per la collaborazione.
Ciò non implica che siano da abbandonare le partnership tra fintech e banche, anzi. Quello della collaborazione tra banche e fintech è un tema che ormai pare irrinunciabile. Lo aveva sottolineato anche l’ultimo studio dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, presentato in occasione del secondo compleanno del Fintech District (si veda altro articolo di BeBeez).
Non a caso il settore finntech è uno dei più caldi in tema di m&a. Il fintech ha infatti catalizzato 135,7 miliardi di dollari di investimenti nel 2019 spalmati su 2.693 operazioni di m&a, private equity e venture capital, cifre entrambe in calo rispetto ai 141 miliardi e a i 3.145 deal del 2018, ma che comunque, dopo quelle del 2018, rappresentano i livelli più alti registrati negli ultimi sei anni. Lo calcola il report periodico di Kpmg ,The Pulse of Fintech (si veda altro articolo di BeBeez).
E gli investitori sono sempre più interessati al settore anche in Italia. Da inizio anno e sino a metà aprile, infatti, le startup e scaleup fintnech italiane o fondate da italiani hanno già incassato round per un totale di quasi 110 milioni di euro, dopo che gli investimenti di venture capital nel settore sono aumentati a 261 milioni di euro nel 2019 dai circa 200 milioni del 2018. Emerge dall’ultimo Report Fintech di BeBeez , disponibile per gli abbonati di BeBeez News Premium (scopri qui come abbonarti a soli 20 euro al mese).
Peraltro la crisi da coronavirus ha reso la necessità di collaborazione tra banche e fintech ancora più urgente. “Negli ultimi due mesi, il mondo è cambiato radicalmente. Le imprese si evolveranno e usciranno dalla crisi di Covid-19 in modi diversi e profondi. Le banche tradizionali avranno sempre più bisogno di maggiore esperienza in ambito digitale grazie all’incremento delle collaborazioni con le fintech. In tre anni, da quando abbiamo avviato questo studio, le fintech sono passate da player disruptive ad attori maturi, nel settore. Quindi ora è fondamentale che le banche tradizionali inizino a prendere in seria considerazione queste realtà, non solo come potenziali concorrenti, ma soprattutto come partner strategici con cui collaborare per riuscire a soddisfare in tempi rapidi le mutevoli aspettative dei consumatori”, ha spiegato Monia Ferrari, Financial Services Director di Capgemini Business Unit Italy.
Anche se collaborare insieme è tutt’altro che semplice. “Una collaborazione efficace richiede maturità, da parte delle persone, del business e anche nei processi. Se per le banche tradizionali il fallimento non è un’opzione, le fintech sono rapide a entrare sul mercato e accettano il rischio di poter fallire. Le inventive bank che mostrano volontà e capacità di collaborare su larga scala e di accelerare l’innovazione, hanno maggiori possibilità di giocare un ruolo centrale all’interno dell’ecosistema Open X, ossia un approccio di piattaforma aperta in cui tutti gli attori di ogni dimensione e settore lavorano insieme”, ha commentato ancora Ferrari. Anche perché “le banche tradizionali si trovano ad attraversare un momento critico. Se non si aprono definitivamente all’Open X, rischiano di perdere totalmente competitività. Per stare al passo con le aspettative dei clienti in continua evoluzione nel mercato odierno, le banche tradizionali devono trasformarsi in inventive bank e collaborare con le fintech più qualificate”, ha aggiunto John Berry, ceo di Efma.
Secondo il rapporto di Efma e Capgemini, per rimanere competitive e attirare i clienti, le banche dovrebbero dare priorità alla trasformazione del middle-and-back-end attraverso partnership con le fintech orientate ai dati e incentrate sul cliente, che in ultima analisi miglioreranno anche il front-end. Sebbene gli investimenti complessivi nello sviluppo di nuove tecnologie informatiche (rispetto alla manutenzione) siano aumentati dal 24% nel 2016 al 33% nel 2019, le operazioni di middle-and-back-end continuano a basarsi su processi aziendali complessi, spesso manuali, che portano a una frammentazione della customer experience (CX). Ecco perché il 50% dei clienti degli istituti di credito lamenta di non avere un rapporto personalizzato con la banca e il 60% di non riuscire ad effettuare pagamenti ad addebito diretto per gli acquisti online.