Le banche possono fissare i tassi di interesse e commissioni in autonomia e l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) non intende “esercitare poteri di indirizzo, di intervento o di controllo in merito alle attività svolte dai propri associati, né possiede banche dati relative ai rapporti bancari intrattenuti con la clientela”. Lo ha precisato ieri il direttore generale dell’ABI Giovanni Sabatini in un’audizione alla commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario (si vedano qui il video e qui il testo completo del suo intervento).
Sabatini ha premesso che l’ABI e i suoi organi associativi “si astengono dall’assumere o promuovere ogni decisione, anche di natura non vincolante, che abbia l’obiettivo di influenzare le condotte economiche delle imprese associate, falsando in tal modo la concorrenza” e che quando la normativa si presta a più interpretazioni che possono incidere sulle scelte degli associati, l’associazione lascia autonomia alle singole imprese a sciogliere i dubbi sui comportamenti da attuare.
Quindi, ha detto Sabatini, “nell’applicazione della disciplina recata dai DL n. 18 e n. 23 in punto di tassi e commissioni, l’Associazione non ha svolto, né poteva farlo, alcun ruolo. La misura dei tassi di interesse e delle commissioni è stata quindi fissata dalle singole banche attenendosi alle indicazioni presenti nel testo dei provvedimenti e, laddove questo aspetto non fosse esplicitamente normato, la determinazioni sono state assunta dai singoli operatori, che sono imprese tra loro in piena concorrenza, nell’esercizio della loro libertà di impresa e autonomia contrattuale”. In soldoni, significa che l’ABI non intende intervenire in alcun modo sulla questione dei tassi d’interesse dei prestiti garantiti dallo Stato introdotti dal Decreto Liquidità.
A proposito dei prestiti coperti con garanzia al 100% dal Fondo di garanzia pmi, quelli da un massimo di 25 mila euro, Sabatini ha ricordato che il Decreto Liquidità, prima della sua conversione in legge prevedeva che il tasso di interesse praticato dal soggetto finanziatore dovesse tener conto della copertura dei soli costi di istruttoria e di gestione dell’operazione, e comunque non potesse essere superiore al tasso di Rendistato con durata residua da 4 anni e 7 mesi a 6 anni e 6 mesi, maggiorato della differenza tra il Credit default Swap (CDS) banche a 5 anni e il Credit Default Swap sul Debito dello Stato Italiano (CDS ITA) a 5 anni e maggiorato dello 0,20%, dove il Rendistato è un tasso d’interesse calcolato mensilmente dalla Banca d’Italia e rappresenta la media del rendimento dei titoli di stato a cedola fissa per vita residua.
Sabatini ha poi segnalato che “la legge di conversione del DL Liquidità (si veda altro articolo di BeBeez, ndr) ha modificato i criteri del predetto tasso massimo, prevedendo che questo sia pari al Rendistato con durata analoga al finanziamento, maggiorato dello 0,20% eliminando il riferimento al differenziale tra il CDS banche e il CDS ITA a 5 anni“.
BeBeez aveva calcolato per quei prestiti lo scorso aprile un tasso d’interesse pari all’1,98% all’ann0, cioé 495 euro all’anno per 6 anni. Il che in assoluto non è certo tanto, ma visto si tratta di prestiti garantiti dallo Stato dovrebbero teoricamente pagare quanto paga lo Stato per la medesima scadenza. Il 13 aprile il rendimento dei Btp a 6 anni era dell’1,154% (si veda altro articolo di BeBeez). Peraltro, poi, non è scritto da nessuna parte che si debba trattare di prestiti a tasso fisso, per cui alcune banche hanno iniziato a ragionare sulla possibilità di ricalcolare ogni mese il tasso applicato sulla base delle indicazioni del Decreto Liquidità.
Tenuto quindi conto che la conversione del Decreto in legge ha modificato i criteri del tetto massimo del tasso da applicare, oggi quel tasso dovrebbe essere al massimo pari all’1,459%, dato che il Rendistato a maggio per la scadenza considerata era dell’1,259%.