Lettera aperta di otto tra i protagonisti della lirica italiana.


Il resto, seppur importante, fungeva da meravigliosa cornice atta a esaltare ancor di più e meglio il lavoro e l’espressione di noi protagonisti del (bel) canto.
Dalla nascita del melodramma e per quasi tre secoli il direttore d’orchestra e il regista neanche sono esistiti; il primo fece la sua apparizione definitivamente codificata a fine ottocento, nell’ultima fase della produzione verdiana, con Angelo Mariani, per poi divenire figura iconica con Arturo Toscanini.
Per il secondo, invece, si è dovuto addirittura attendere il novecento e l’ultimo dopoguerra, con registi prestati all’opera dal mondo della cinematografia, in primis Luchino Visconti.
Insomma, almeno fino a una ventina d’anni fa l’importanza dell’artista di canto era predominante, mentre oggi addirittura assistiamo alla follia – non si può definire altrimenti – di leggere sulle locandine di una stagione d’opera soltanto i nomi dei direttori e dei registi, senza trovare menzione alcuna del cast vocale. Eppure in un momento di così grande crisi, in cui tanti artisti
italiani non hanno ricevuto sostegno morale ed economico neppure sotto forma di quella esigua somma (solo) annunciata (e non elargita) dal Governo, talune Fondazioni ricorrono – se non rincorrono – ad artisti di nazionalità estera, considerati dall’impersonale mondo del marketing e della comunicazione “Star” (“beati monoculi in terra caecorum…”). E quando ciò si realizza poi in barba ad accordi contrattuali già in essere con grandi cantanti d’opera italiani, che improvvisamente e apparentemente senza spiegazione (ma la spiegazione la si può leggere poche righe più sopra) vengono messi fuori produzione, questo suona come un gesto di grave insensibilità e scarsa correttezza, oltre che di mancato rispetto dei contratti firmati e delle norme vigenti.

Atteggiamenti questi che riportano alla mente la “übris”, la tracotanza degli Dei rappresentata nelle grandi tragedie della Grecia antica (senza offesa per i loro autori dell’azzardato accostamento).
Tanti sono gli aspetti critici che rischiano di aggravarsi irrimediabilmente: dal rapporto più o meno “malato” tra agenzie e direzioni teatrali, alla perdita di professionalità causata dall’incompetenza in campo specificamente musicale della direzione dei teatri, fino all’annosa questione dei contratti artistici- capestro, spesso conditi da clausole ai limiti del vessatorio.

Gli ultimi avvenimenti, oltre a imporlo – ne va della serenità delle scelte -, suggeriscono di fissare un limite ai contratti che ciascuna agenzia può concludere con ciascun Teatro, e ciò al chiaro scopo di evitare monopòli di incerta natura e garantire pluralità di partecipazione.
Le agenzie riconosciute in Italia sono un centinaio, ma si riducono a due/tre quelle pienamente attive che, per di più, vantano una sorta di diritto di prelazione sul conoscere ben prima delle altre le varie programmazioni di talune Fondazioni: e questo non può certo trovare giustificazione nelle diverse qualità dei vari “roster” data l’assenza di star di riferimento come accadeva fino a venti trenta anni or sono.
Non si dovrebbe più assistere alla vendita di pacchetti preconfezionati di artisti di singole agenzie, tecnica adoperata da taluni apparentemente per far risparmiare le martoriate casse dei Teatri, ma che in realtà dissimula ben altri scopi e svilisce la figura professionale di ogni artista (quasi fosse carne umana da trattare).

È appurato come da decine di anni i cachets dei solisti pesino sul bilancio di un teatro non più dell’otto per cento (si veda quanto già riportato dal Corriere della Sera anni or sono, con le dichiarazioni di Mirella Freni e Alfredo Kraus, ed erano tempi in cui artisti di rango ce n’erano a iosa).

La preminenza dell’artista lirico, in ultima analisi, va riconquistata in vista dell’unico e vero scopo che non può che essere quello di servire al massimo grado di professionalità gli alti ideali dell’arte, e rappresentare al meglio sulla
scena gli immortali capolavori che sono patrimonio immateriale dell’umanità, e che oggi, a causa di interessi predatori, faticano molto a farsi apprezzare soltanto nella loro meravigliosa magnificenza. Ma l’arte è immersa nel contesto sociale ed economico in cui essa svolge la sua funzione catartica, e l’artista deve anche accollarsi la responsabilità sociale e morale di vigilare in sua difesa.
Basti pensare all’appellativo abitualmente assegnato ai più grandi artisti lirici, “Star”: “stella”, è una meravigliosa metafora, poiché la stella irradia la sua energia intorno a sé, donando agli astanti nutrimento interiore e meraviglia.
La sua esatta antitesi è il buco nero, che risucchia e divora l’energia, il lavoro e le risorse altrui, lasciando intorno il deserto. Queste due strade sono oggi drammaticamente di fronte a noi, e ciascuno, appunto, è chiamato a fare una scelta di campo che non può più essere procrastinata. E noi, alfieri e servitori a testa alta del comparto in cui operiamo – accollandoci ogni conseguente responsabilità -, stimiamo come sia di impellente u r g e n z a fare breccia nel muro di omertà che circonda i Teatri lirici, facendo pulizia e chiarezza, ripristinando le giuste distanze tra i diversi operatori del settore, garantendo i diritti di partecipazione a tutti i lavoratori, senza invadenze o condizionamenti che stanno decretando la morte di questa magnifica forma di spettacolo (anche per il mancato sostegno morale, ancor prima che finanziario, alle strutture produttive).


Sarebbe cosa che non potremmo mai perdonarci!
Marco Berti, Anna Maria Chiuri, Bruno de Simone, Serena Farnocchia, Massimo Giordano, Amarilli Nizza, Antonino Siragusa, Franco Vassallo (Ritratti in ordine dall’alto)
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