Inaugura a Ferragosto nella piazza del Duomo di Pietrasanta, in Versilia, in provincia di Lucca, la mostra Teatri Photopastel che espone 7 opere di Patrizia Mussa, filosofa della fotografia, a cura di Claudio Composti di MC2Gallery in collaborazione con Paola Sosio Contemporary Art di Milano, dedicata all’architettura italiana del teatro con interventi di colore.
Abbiamo raggiunto Patrizia Mussa, torinese che vive e lavora nel capoluogo piemontese, chiedendole Come nasce l’idea di questa mostra?
“Da una collaborazione del nuovo spazio dedicato alla fotografia d’autore di Claudio Composti con la mia galleria milanese di riferimento in Italia, per esporre l’ultima serie dei miei lavori che unisce il colore alla stampa delle immagini di architettura teatrale. La mostra si è tenuta già a Parigi dove si è conclusa a fine giugno alla Galleria di Valérie-Anne Giscard d’Estaing al Marais, Boutique Galerie Photo 12 – dov’era stata aperta a febbraio chiusa appena una settimana dopo per il confinamento e riaperta a metà maggio – e a Pietrasanta ci sarà un’immagine inedita per l’Italia, il teatro della Reggia di Caserta, sul quale ho lavorato lo scorso anno insieme al San Carlo di Napoli, anche se l’immagine di quest’ultimo come le altre opere sono state esposte la scorsa primavera alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino.”
Cosa racconta la mostra?
“In sette opere, due di grande formato (un metro per un metro e trenta) e cinque di medio formato, in realtà piccolo per questo tipo di lavoro, i teatri d’Italia sui quali ho cominciato a lavorare all’inizio degli anni Duemila per una pubblicazione sui teatri nazionali appunto. Poi ho seguito il restauro del Teatro alla Scala di Milano, realizzando la prima serie con una sorta di reportage. Dal 2016 ho cominciato a intervenire con il colore sulle stampe”.
Come nasce questo tipo di intervento e perché proprio la scelta dei pastelli?
“Il colore in realtà è intervenuto in un progetto su foto di viaggio legate soprattutto alle architetture di Yemen, Afganistan ed Etiopia, selezionato per la Biennale di Parigi dedicata al Moyen Orient e dislocata tra l’Institut du Monde Arabe, la Maison de la Photographie e alcune gallerie, dov’è stato esposto nell’autunno del 2019 proprio alla galleria del Marais che poi è divenuta la realtà con la quale lavoro in esclusiva in Francia. Per l’occasione ho ripreso i miei scatti intervenendo con il colore, elemento di riflessione e di attualizzazione del materiale che avevo perché avvertivo il bisogno di restituire un’immagine dello Yemen in particolare, paese che ho amato molto, lontano dagli scenari di guerra e di epidemie che il telegiornale propone come l’unica visione di quella terra. Ho scelto di effettuare scansioni particolari per desaturare il colore e poi intervenire con cromie, un gesto per me sempre essenziale.”
La tua fotografia è fortemente legata all’architettura, com’è maturata questa scelta?
“L’occasione è stata professionale e in particolare sono stata un collaboratore fisso di AD France e del Gruppo Taschen, maturando un’esperienza che mi ha consentito naturalmente di passare alla foto autoriale anche se in realtà ho avuto una passione da sempre per l’architettura tanto che avrei voluto iscrivermi all’università per seguire questo percorso. A Torino erano però anni caldi e decisi di iscrivermi a Filosofia dove ho studiato con Nicola Abbagnano, Gianni Vattimo e Luigi Pareyson, insomma nomi di spicco della riflessione italiana, per poi seguire dei corsi di antropologia. In tal senso voglio tornare sul tema del colore per dire che esso rappresenta per me una riflessione emozionale sul mio vissuto e sulla storia e ritengo importante intervenire a più riprese su un lavoro perché il tempo sedimenta e costruisce una visione. Questa è l’eredità dei miei studi e della mia formazione con la fotografia analogica. Adopero sia pastelli sia acquarelli come nel lavoro sullo Yemen con stampe lavorate con matite colorate e acquarelli appunto. E’ la posa lunga che mi affascina e grazie all’esperienza in una casa di produzione cinematografica a Milano che è stata la mia scuola fotografica, ho capito che il mondo dell’architettura, dei grandi spazi e della stratificazione storica era il mio mondo, molto più ad esempio dello still life. Con l’architettura viaggio nel tempo alla ricerca della fondazione”.
L’archetipo è in fondo quello che unisce l’architettura che costruisce la casa dell’io dove la filosofia disegna la costruzione interiore dell’io.
Ci racconti brevemente la tua storia e in particolare il tuo viaggio in Francia che sembra un luogo per te fondamentale?
“Sono nata a Torino, città nella quale vivo e dove, come accennato, ho studiato Filosofia all’Università degli Studi dedicandomi alla fotografia fin dagli anni alla facoltà, perché la fotografia ha accompagnato tutta la mia vita. Ho cominciato giovane a collaborare con una rivista che si occupava della coppa di sci del mondo perché ero appassionata di sci e così mi sono fatta le ossa sulla fotografia che poi mi ha accompagnata nei miei numerosi viaggi. Altra tappa fondamentale è stata la Milano degli anni d’oro della pubblicità. In Francia sono approdata per seguire dei corsi di antropologia alla Sorbona e mi sono innamorata di Parigi e anche della visione della fotografia in un paese molto avanti rispetto a noi da questo punto di vista.”
a cura di Ilaria Guidantoni