Con il solstizio d’estate è partita la nuova avventura di Filippo Di Bartola, già titolare di due ristoranti a Pietrasanta, a Forte dei Marmi, una scommessa che ha segnato il ritorno del gusto della villeggiatura e la riscoperta dello stile italiano a tavola, con emozioni dosate per offrire in un momento difficile qualità e semplicità nel segno della rassicurazione. Lo spazio del nuovo locale è stato disegnato pensando a una nuova idea di relazionalità e al bisogno di bellezza dove gusto e arte giocano insieme.
Ci vuole coraggio per affrontare una stagione piena di incognite aprendo un nuovo spazio. Com’è nata quest’avventura?
“L’opportunità è nata durante il confinamento, periodo nel quale non mi sono mai fermato, con l’attività delle consegne a domicilio, notando che dalla zona di Forte dei Marmi c’era molta richiesta. Questo locale, il Pesce Palla, nella zona residenziale di Roma Imperiale lo avevo già notato anni fa e ho incontrato il proprietario il 2 giugno scorso; quando ho saputo che forse non sarebbe stato riaperto, si è avviato un dialogo. Ho ricevuto la proposta di ‘provarlo’ fino a ottobre per poi decidere se continuare l’avventura. In 20 giorni ho organizzato il progetto. Io vengo da qui, è qui che ho cominciato a lavorare e ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto chiudere il cerchio tornando a Forte dei Marmi e ho colto la sfida.”
Com’è andata l’estate?
“Al di sopra delle aspettative per la riconnessione con il territorio e con la clientela italiana storica che non vedevo da tempo. E’ stato bello ritrovare l’energia e la cultura della villeggiatura, uno stile tutto italiano. Quest’anno sono tornati in Versilia quelli che negli Anni Ottanta chiamavamo “I signori” e il territorio ha risposto bene, offrendo un servizio adeguato ai tempi e rispondendo alla richiesta di un divertimento più colto, che ha accontentato però anche i giovani che nelle estati precedenti si riversavano in posti come Ibiza o Formentera.”
La cultura di un luogo storico ha saputo coniugare il piacere della vacanza, lo stile, riportando l’attenzione sull’arte in primis, con la capacità di far girare l’economia.
Qual è il tuo punto di vista?
“La cifra culturale non ha bisogno di effetti speciali che sono più funzionali al richiamo dello straniero, in sintonia forse con il mio modo di lavorare, che cerca anche di rassicurare il cliente in termini culinari. Certo una domanda di turismo straniero è mancata economicamente alla Versilia soprattutto per quanto riguarda gli alberghi. Io ho recuperato quella trasformazione che avevo vissuto agli inizi della mia carriera tra gli Anni Ottanta contrassegnati ancora dalla villeggiatura lunga agli Anni Novanta e il gusto dell’eleganza moderna con un grande ritorno alla cucina nelle ville e un rinnovato dialogo con il cliente, lontano per fortuna dallo schema ‘pago, pretendo’ di alcuni anni addietro.”
L’atmosfera di questo spazio, Filippo, ha il sapore vintage dell’immaginario cinematografico degli Anni Sessanta con i colori verde acqua e grigio tortora, un richiamo al passato, a un’atmosfera familiare.
“Ho ereditato il locale e sono intervenuto poco, un po’ sul tovagliato giocando con questi toni neutri, freddi in linea con il gusto di oggi, portando qualche vecchio tavolo, ormai per me una sorta di portafortuna, e dividendo lo spazio per creare situazioni personalizzate, approfittando della necessità del distanziamento. Ho creato un angolo più rustico con le sedie di legno impagliate, spazi più contemporanei con il legno e i divanetti grigio, e ancora atmosfere retrò più familiari con le sedie verde acqua e l’intreccio in plastica.”
L’arte ti accompagna sempre, qui ridotta a piccoli interventi, particolari a metà strada tra l’elemento decorativo e l’opera artistica. Che progetti hai?
“A Pietrasanta vorrei sviluppare il tema dell’arte non solo come percorso espositivo ma come uno spazio laboratorio da vivere mentre qui sento che non è essenziale però qualcosa vorrei pensare.”
Dal punto di vista della cucina qual è la cifra caratterizzante?
“Ho pensato il menu in dieci giorni, facendo i conti con un’organizzazione del lavoro più difficile per le nuove norme sanitarie, così ho asciugato la proposta, semplificandola e recuperando l’idea della trattoria di qualità, in linea con quella che c’era qui originariamente, Alba Rosa. Mi sono orientato maggiormente verso una proposta di pesce dato che ora la spesa diventa ancora più legata al quotidiano. A Forte dei Marmi c’era uno spazio da occupare in termini di qualità e semplicità, rispettivamente, nel segno della raffinatezza e dell’essenzialità. Mentre a Pietrasanta, città d’arte, chi viene è già predisposto alla sperimentazione, all’estro; qui ho voluto riproporre i piatti della tradizione scomparsi, così mi piacerebbe pensare alla polenta e ai bolliti per la stagione autunno-inverno, mentre non ho messo in carta piatti di crudo di pesce o scampi.”
Quali sono stai i piatti simbolo di questa estate 2020 alla tua tavola che ci raccontano i desideri degli italiani in Versilia?
“A Pietrasanta il Pesce al sale, ma anche la zuppa di moscardini, piatti dal sapore tipicamente italiano; a Forte dei Marmi la Parmigiana di melanzane, ma anche il Cacciucco alla viareggina in una versione ingentilita senza spine; ma anche la pizza nel forno a legna, che poi lavora la notte, una volta spento, per cuocere i fagioli, è stata molto richiesta, perché è un cibo che evoca amicizia, evasione, allegria e insieme famiglia, un piatto rassicurante.”
Il gusto nella tavola e nell’arte evoca emozioni che dopo i mesi di confinamento parlano di condivisione.
“Credo che sia necessario ripensare gli spazi a cominciare da quelli dei centri delle città d’arte che da decenni sono rivolti e disegnati a misura di turisti; forse con uno sbilanciamento eccessivo. Ora dobbiamo chiederci a chi rivolgerci e rispettare lo stile di un luogo è un invito a far fronte alle emergenze trovando le energie all’interno dei nostri spazi.”
Se Filippo fosse una canzone quale sarebbe il titolo?
“Dimmi quando tu verrai…”, intona pensando a Quando, quando, quando, il grande successo internazionale di Tony Renis al Festival di Sanremo del 1962, pur non avendo vinto la gara.
Se fosse un libro?
“I leoni di Sicilia di Stefania Auci che ho letto durante il confinamento, la prima parte della storia della famiglia Florio dove ho ritrovato delle assonanze storiche con questo periodo per la situazione di emergenza e la capacità di reinventarsi nell’attività.”
E se fosse un’opera d’arte, che in Versilia non può mancare?
“Vorrei fosse un’opera di Kan Yasuda perché questo scultore giapponese, nato a Bibai nell’isola di Hokkaido nel 1945, diplomatosi all’accademia a Tokyo, ha aperto un laboratorio a Pietrasanta dove produce le sue opere, unendo la ricerca e l’Oriente alla nostra tradizione nella lavorazione del marmo e soprattutto perché inserisce i propri lavori nei giardini e nei boschi e in questo momento c’è bisogno di ristabilire un dialogo con la natura”.
a cura di Ilaria Guidantoni