Lontano dall’idea del lusso che, come racconta la sua origine dal latino luxus allude alla sovrabbondanza, all’eccesso, nemici dell’eleganza, Salvatore Madonna, Amministratore Delegato del Design Hotel Plaza e De Russie sulla passeggiata di Viareggio – parte della catena Relais& Chateaux – e dell’Hotel Byron a Forte dei Marmi, ha unito le sue passioni in uno stesso luogo: l’arte contemporanea, la cucina e il vino per raccontare con un orizzonte internazionale il territorio. Lo abbiamo incontrato nel salotto antistante il ristorante Lunasia, una stella Michelin, all’interno dell’albergo.
Com’è nata quest’avventura?
“Ho ristrutturato l’albergo con un progetto iniziato nel novembre 2018 e durato un anno e mezzo, passando da un hotel a quattro stelle a un hotel a cinque stelle, riducendo il numero delle camere, da 55 a 42 per renderle più spaziose; spostando il ristorante dall’ultimo piano sulla terrazza al pian terreno e ricavando lo spazio così per due suite Penthouse pensate soprattutto per i clienti dei grandi cantieri costruttori di yacht a Viareggio, abituati a vivere spazi privati di grande comfort e ampiezza. Sembra una scelta strana lasciare una vista a trecentosessanta gradi dalle Apuane alla passeggiata a mare, ma è stato il tentativo di superare la difficoltà, soprattutto italiana, di entrare in un hotel per andare al ristorante, prendendo un ascensore e dovendolo in qualche modo cercare. Oggi invece il Lunasia ha un’entrata dedicata e si può accedere direttamente dalla strada”.
Un ristorante stellato in un hotel fa cultura, soprattutto se in linea con il concept dell’insieme dove l’arte richiama il cibo e viceversa, senza mai trascurare l’elemento dell’acqua e del mare.
Cominciamo dai colori, come nasce la scelta?
“Dal mio gusto certamente e da quello che ho visto in giro per il mondo nei miei viaggi. Il verde petrolio è stato il mio punto di partenza unito ad un verde acido che lo accompagnasse e allo stesso tempo inserisse un elemento di rottura. Il grigio di fondo è il colore che meglio accompagna l’arte e che richiama il territorio e il cardoso della zona.”
Come ha immaginato l’albergo nella sua nuova veste?
“Come una casa nel quale l’architetto abita idealmente con me e come un coach, nel tempo, tira fuori quello che ho dentro. Per questo il Plaza di oggi è diverso da un anno fa e ha ancora spazi vuoti da riempire, con opere che possono sostituirne altre, proprio come una casa che difficilmente all’inaugurazione è chiavi in mano. Sullo sfondo le mie passioni, l’arte contemporanea, in particolare la fotografia, il cibo e il vino, senza mai dimenticare l’acqua e il territorio che ci circonda, creando un corto circuito tra i vari elementi che si richiamano l’un l’altro.” Così anche nello spazio ristorante possiamo mangiare ammirando due fotografie di Nino Migliori, ispirate al cibo, perché, come ha sottolineato Claudio Composti, gallerista e curatore del progetto artistico dell’hotel, “il bello trasformato in diverse forme è sempre arte: design, cibo, vino o fotografia sono tutte espressioni di cultura ed un ristorante stellato si riconosce anche non solo dal gusto, ma anche dalla vista e da ciò che ci circonda mentre ceniamo e come viene presentato il piatto, con l’idea di generare e vivere una sinestesia. Questo non solo dà ai clienti la possibilità di fruire di un servizio ulteriore come una piccola mostra fotografica, che nutre l’anima, ma apre anche alla città un luogo da vivere pur non essendo clienti”.
Che tipo di scelta è stata fatta per la cucina?
“Quella di offrire una esperienza gastronomica a tutto tondo che parta da questo territorio per incontrare la Toscana, con un affaccio sull’orizzonte più ampio. Non è una cucina immediata, ma di studio della materia prima e di ricerca storica, valorizzando ad esempio il riso rosso di Massarosa o la trota della Garfagnana e diventando memoria di tradizioni perse. E’una cucina di contenuti, ludica ed esplorativa che vuol essere multisensoriale”.
Anche sui vini avete mantenuto lo stesso registro?
“Rispetto al Byron dove si possono trovare i grandi produttori internazionali, prevalentemente francesi, qui ci si è concentrati sulle vie del vino della Toscana con alcune scelte anche dotate di minor referenze come la provincia di Pisa o di Lucca. L’idea è quella di fidelizzare la clientela anche con una scelta economica ‘temperata’, perché non si viene al Lunasia solo per gustare i piatti ma come un luogo di incontro, dove si vede arte e si compie un piccolo viaggio”.
Ci siamo spinti in cucina attraversando la zona con il tavolo sociale e il privé, l’unico chef table della Toscana con vista sulla cucina, regno dello chef Luca Landi, originario di Bagni di Lucca al quale abbiamo chiesto di raccontarci la sua scelta.
“L’idea è di rappresentare in modo creativo il territorio e in modo personalizzato, partendo dalla mia storia e dalle mie origini. Mi sono formato nella zona dell’Appennino, che cerco di valorizzare in dialogo con la dimensione marina. Qui si cucina la proteina, pesce o carne generalmente, condita con il mondo vegetale che ‘gli balla intorno’, dalle erbe aromatiche, a quelle silvestri, ai fiori, limitando le spezie, più tipiche del Mediterraneo del sud; insieme al mondo dei cereali. Caratterizza il Lunasia la pasta fresca, il gelato che abbiamo introdotto nel mondo del salato e la panificazione, insieme ad alcuni prodotti della tradizione locale, come il farro della Garfagnana che ha una diffusione circoscritta perché ha una resa non alta e richiede ambienti umidi ma ventilati per evitare l’attecchimento della muffe.”
Se la sua cucina fosse una musica cosa suonerebbe?
“Vivaldi per i suoi toni allegri sempre protesi verso l’altro e molto riconoscibili per la personalità. Non basta cucinare bene; bisogna saper replicare e ogni volta in modo nuovo. Io non parto da un ricettario ma dalla ricostruzione artistica con una rilettura e reinterpretazione della storia locale, insieme ad un’attenzione alla tecnica.”
a cura di Ilaria Guidantoni