Un film di Armando Iannucci con Dev Patel, Tilda Swinton, Hugh Laurie, Ben Whishaw – l’anteprima stampa il 6 ottobre a Milano – dal 16 ottobre al cinema che regala un film sorprendente, da sorpresa: all’inizio qualcosa lascia attoniti, soprattutto la scelta di un’interpretazione decontestualizzata, politicamente corretta, un po’ forzata, un effetto straniante. Il protagonista è scuro di pelle interpretato, per altro in modo impeccabile, dall’attore rivelatosi con Millionaire, anche se la madre e la zia sono tipicamente inglesi. Una sorta di inversione di senso, politicamente corretta, per cui un compagni di studi ha una mamma meticcia essendo evidentemente chiaro e senza relazione con il colore della pelle. Nella prima parte del film soprattutto ci si chiede se c’è qualcosa della storia che non ricordiamo. Dall’immaginazione del regista candidato all’Oscar Armando Iannucci, l’adattamento di uno dei romanzi più amati di Charles Dickens. Un racconto della vita del personaggio letterario, dalla sua giovinezza fino all’età adulta, narrato in uno stile ironico, tipico del regista, per certi aspetti grottesco, u nfilo esagerato, forse con il doppiaggio non altrettanto godibile. Il film diventa anche un viaggio sociale attraverso l’Inghilterra del XIX secolo seguendo il destino a zig-zag del suo eroe.
La vita straordinaria di David Copperfield offre indubbiamente una rilettura inedita del celebre romanzo dickensiano, attraverso lo stile ironico anche grazie a un cast corale di attori teatrali e cinematografici provenienti da tutto il mondo: nei panni di David Copperfield troviamo l’attore candidato all’Oscar Dev Patel, acclamato protagonista di The Millionaire e Lion – La strada verso casa, affiancato dalla pluripremiata star Tilda Swinton, da Hugh Laurie, indimenticabile protagonista della serie tv “Dr. House” e da Ben Whishaw (Profumo – Storia di un assassino e volto noto della saga 007 in Spectre e Skyfall).
Interpretazioni convincenti qualche volta appena sopra le righe che conferiscono al film una tridimensionalità quasi teatrale. Straordinario il lavoro scenografico di ambientazione e sui costumi, ricco con alcuni inserti pop, ben dosati, appena ironici che modernizzano l’idea di un film in costume. Definizione per altro semplicistica per il film. Ben costruito con un intreccio rocambolesco che non perde il filo in una serie di rimandi concatenati, fino a riscriversi nelle memorie del protagonista che diventano un libro e con il libro da cui parte il film si chiude il cerchio. Il cast tecnico del film comprende anche il direttore della fotografia Zac Nicholson (Les Misérables), la scenografa Cristina Casali (Morto Stalin, se ne fa un altro), i montatori Mick Audsley (Assassinio sull’Orient Express) e Peter Lambert (Morto Stalin, se ne fa un altro), i costumisti Suzie Harman (Pokémon: Detective Pikachu) e Robert Worley (Grand Budapest Hotel) e la truccatrice e acconciatrice Karen Hartley-Thomas (la miniserie televisiva targata Showtime Patrick Melrose), mentre le musiche sono composte da Christopher Willis (Morto Stalin, se ne fa un altro) e il cast è stato selezionato da Sarah Crowe (Morto Stalin, se ne fa un altro).
Il regista, non nuovo al lavoro su Dickens, ha voluto sottolinearne il lato che ritiene divertente creando un’opera titanica, eterogenea, complessa, e a suo parere moderna proprio perché non ingessata. Tra l’altro una delle difficoltà maggiori è stata, trovare la chiave per ricreare l’era vittoriana in tre contesti completamente diversi: Casali sostiene che le scene ambientate a Londra dovevano dare il senso di una città “affaccendata e sporca”, mentre Dover doveva avere un’atmosfera più “costiera” e Canterbury doveva essere “piuttosto signorile”. Dietro il film uno studio approfondito di ricerca di luoghi e di ambientazioni che ha richiesto non poco lavoro.
a cura di Ilaria Guidantoni