Con un decreto del 13 ottobre scorso, la Corte d’Appello di Bologna ha dichiarato l’incompetenza del Tribunale di Reggio Emilia sulla procedura di concordato del produttore italiano di prosciutti Ferrarini e l’ha trasferita al Tribunale di Bologna (si veda Reggionline).
Il conflitto di competenza era stato sollevato da un ricorso presentato a inizio settembre da una delle due cordate in corsa per rilevare Ferrarini, cioé quella formata da Intesa Sanpaolo e Unicredit, Gruppo Bonterre – Grandi Salumifici Italiani (operatore di riferimento del mercato italiano ed europeo dei salumi di qualità, formaggio Parmigiano-Reggiano, snack e di piatti pronti), O.P.A.S. (la più grande organizzazione di prodotto tra allevatori di suini in Italia) e HP srl (società attiva nel sostegno e nell’innovazione dell’agrifood) (si veda altro articolo di BeBeez).
Dopo il deposito a fine agosto della nuova proposta di concordato da parte della famiglia Ferrarini, il gruppo Pini (già azionista di Ferrarini all’80%) e AMCO presso il Tribunale di Reggio Emilia (si veda altro articolo di BeBeez), la cordata concorrente, che a sua volta aveva depositato al Tribunale di Reggio Emilia una proposta di concordato lo scorso 11 agosto (si veda altro articolo di BeBeez), aveva infatti chiesto che la competenza sulla decisione fosse del Tribunale di Bologna.
Il punto del contendere era che il piano Ferrarini-Pini promette di soddisfare i creditori chirografari al 33% e che la cordata concorrente ritiene che questa percentuale renda inammissibile la proposizione di concordati concorrenti, così come scritto testualmente in una nota diffusa il 1° settembre. La cordata Bonterre accusava quindi Ferrarini-Pini di voler di fatto impedire con dei pretesti il confronto competitivo fra le due proposte e per questo ha voluto spostare la competenza della questione su un altro tribunale.
La Corte d’appello ha quindi dato ragione alla cordata Bonterre-banche su questo punto, mentre ha respinto il ricorso delle due banche su un presunto abuso della strumento concordatario da parte di Ferrarini. Ma i procedimenti giudiziari non finiscono qui. Ricordiamo che la cordata Intesa-Unicredit-Bonterre lo scorso settembre ha anche presentato una denuncia alla Commissione europea contro cordata rivale, a causa della partecipazione a quest’ultima di AMCO (società finanziaria del ministero del Tesoro) la cui presenza costituirebbe, secondo i denuncianti, un aiuto di stato vietato dalla legislazione europea (si veda altro articolo di BeBeez).
A ciò si aggiungono infine i guai giudiziari che incombono sui vertici di Pini in Ungheria. L’ufficio del procuratore generale della contea di Bács-Kiskun, nel sud del Paese, ha infatti chiesto la custodia in carcere per Piero Pini e il figlio Marcello, accusati insieme a un centinaio di altre persone di frode fiscale, riciclaggio e corruzione. In Ungheria i Pini sono proprietari di Hungary Meat, grossa azienda che macella un milione e mezzo di suini all’anno (si veda qui Reggionline).
Ricordiamo che il gruppo Pini aveva rilevato la maggioranza del produttore di prosciutti reggiano Ferrarini nel febbraio 2019 (si veda altro articolo di BeBeez). Il gruppo Pini inoltre aveva messo sul tavolo 10 milioni di euro per ricapitalizzarele società, divenendo l’azionista di maggioranza con l’80% delle quote e aveva poi chiesto al Tribunale l’ammissione alla procedura di concordato con continuità aziendale diretta.
Ferrarini e la controllata Vismara avevano depositato al Tribunale di Reggio Emilia nel luglio 2018 una richiesta di ammissione alla procedura di concordato in bianco (si veda altro articolo di BeBeez). Solo poche settimane prima Ferrarini aveva fatto saltare unilateralmente le trattative esclusive che aveva aperto con Italmobiliare e QuattroR. Allora si erano diffuse voci circa una trattativa parallela con un investitore industriale, che molti avevano individuato in Amadori, ma quest’ultimo aveva seccamente smentito (si veda altro articolo di BeBeez). Successivamente Amadori nel febbraio 2019 si era fatto avanti per acquisire Vismara, ma si era poi ritirato dalla trattativa.
Fondato nel 1956 da Lauro Ferrarini, Ferrarini è oggi tra i leader sul mercato nazionale del prosciutto cotto, sia nel canale della grande distribuzione organizzata, sia in quello del dettaglio tradizionale su tutto il territorio nazionale grazie ad una propria struttura distributiva. Prima azienda italiana a produrre prosciutto cotto senza polifosfati aggiunti, Ferrarini propone in tutto il mondo, oltre al suo prosciutto cotto, i prodotti simbolo dell’italianità: dal prosciutto di Parma alle diverse specialità di salumeria, accompagnate dai prodotti dell’azienda agricola Ferrarini, dalla quale l’attività imprenditoriale ha preso avvio, come il Parmigiano Reggiano Dop, i vini e l’aceto balsamico di Modena e Tradizionale Dop.
Il gruppo Ferrarini era entrato in tensione finanziaria per colpa di un incremento dell’indebitamento dovuto a finanziamenti che Veneto Banca aveva erogato a Ferrarini affinché acquistasse azioni della banca stessa. Il debito in questione ammonta a circa 360 milioni di euro, dei quali 112 milioni milioni in capo alla società operativa e il resto a carico di società agricole e holding varie. Nonostante Ferrarini avesse visto i ricavi fare un vero e proprio salto nel 2017 a 335 milioni, con un ebitda che era salito a 29,5 milioni, quindi, il peso del debito risultava ancora eccessivo. Il debito include 35,5 milioni di euro di minibond quotati all’ExtraMot Pro. Nel dettaglio, si tratta di un bond da 5,5 milioni a scadenza dicembre 2020 con cedola 5,625%, emesso nel dicembre 2016 e sottoscritto dal fondo di minibond di Duemme sgr (gruppo Mediobanca), e di un bond da 30 milioni a scadenza aprile 2020 e cedola 6,375%, emesso nell’aprile 2015.