Emanuela Bosone, in arte Manupuma, cantautrice milanese, è indaffaratissima con la scrittura, in un momento denso, difficile quanto prezioso per un artista, proprio per le tante sensazioni e le occasioni di riflessioni.
Cominciamo dal passato prossimo. Ci racconti il tuo progetto musicale recente?
Nucleare, scritto con il pianista e compositore Michele Ranauro, è un brano che avevo nel cassetto da qualche anno. A febbraio avevo incontrato Arisa, alla quale mi lega una conoscenza da molti anni e una reciproca stima e avevamo già realizzato insieme dei provini per due brani e pensavamo in realtà di cominciare da un altro testo, più allegro, in vista della primavera. Poi l’incantesimo si è rotto. E’ arrivato il confinamento e abbiamo saputo che la Fondazione Rava stava per partire con una campagna per ampliare i padiglioni della maternità all’Ospedale Sacco e alla Mangiagalli di Milano e così abbiamo proposto il brano che è piaciuto. Sono molto contenta di questo progetto anche perché si sono unite due voci femminili per la vita.
Quest’autunno che orizzonte si prospetta?
Purtroppo è tutto fermo e l’impossibilità di promuovere, presentare e suonare ha bloccato ogni uscita così mi dedico alla scrittura con la chitarra e il pianoforte.
In quale direzione stai lavorando?
Sullo sforzo di scrivere qualcosa di intimo, tipico della scrittura femminile, in modo che diventi fruibile per tutti, in grado di dare un messaggio universale. E’ uno sforzo duro ma importante anche perché in un momento di dolore la musica dev’essere in grado di operare una catarsi. Non è un momento di frivolezza e certamente non di gioia ma occorre trovare la leggerezza per dire qualcosa di toccante. In fondo se ripenso a un poeta come Bob Dylan, i suoi successi più grandi che la gente continua ad ascoltare sono legati alla guerra del Vietnam. Sto rileggendo Juke box all’idrogeno di Allen Ginsberg ad esempio.
Cosa stai ritrovando o trovando in questo testo?
Innanzi tutto sto ritrovando la ragione per la quale faccio questo mestiere. Tutto è cominciato all’Accademia di Brera, dove mi sono iscritta dopo il Liceo artistico, con l’indirizzo in scenografia e ho incontrato Naira Gonzales, la più giovane allieva di Eugenio Barba, che mi ha aperto un mondo e mi ha fatto capire che io dovevo lavorare con la voce. In quel tempo sono stata folgorata da uno degli ultimi spettacoli del Living Theatre, realizzato a Brera per le nostre aule. Ho deciso così di seguire un laboratorio di teatro e il testo sul quale abbiamo lavorato era appunto il testo di Ginsberg che tra l’altro era stato molto utilizzato con una lettura legata al ritmo del jazz, un incontro singolare tra note e parole. In quella linea ho trovato e sto ripercorrendo la mia strada nella scrittura musicale.
La tua vocazione musicale parte quindi dalla parola e da un lavoro sul linguaggio del corpo. Ci racconti brevemente il tuo percorso?
Ho fatto un po’ di tentativi e nel 2009 a Musicultura ho presentato il brano Charleston che è arrivato in finale e ha vinto come migliore interpretazione; da lì è nata la collaborazione con Discografica Universal con la quale nel 2014 ho pubblicato il mio primo album Manupuma, con il brano omonimo utilizzato poi per la promozione di un profumo di Moschino.
Come nasce il nome d’arte Manupuma?
Sono stata tre mesi a Roma e ho lavorato con Michael Margotta dell’Actors studio nel quale era previsto di associare un personaggio da interpretare che in quel caso eravamo noi stessi alle caratteristiche di un animale e così andammo allo zoo di Roma. Io fui colpita dal puma e scelsi questa dicitura che nella prima parte richiamava il mio nome in forma di diminuitivo.
La tua scelta discografica poi è andata nella direzione delle etichette indipendenti…
Ricordo ancora il giorno che firmai il contratto discografico con Universal, per me è stata un’esperienza incredibile, molto importante, direi fondamentale; la mia scelta verso etichette più piccole, è stato un percorso naturale, non penso di essere destinata ai grandi numeri, perché ho sempre cercato di trovare una cifra stilistica mia, personale, usando linguaggi spesso sperimentali e di ricerca, amo la musica jazz, e ancora oggi sto cercando la mia strada, la poesia in versi recitata su un beat, una mia “ossessione” ,tentativo che ho fatto nel mio primo album, con il brano Los Angeles, suoni, rumori, parole. Sono grata a tutto quello che mi è capitato e a tutte le persone che ho incontrato nel mio percorso fino a qui.
Se dovessi raccontarti in breve cosa diresti?Sono nata a Milano in una famiglia con un’inclinazione artistica: mia madre è stata stilista per Fiorucci, mio padre disegnava tessuti e mia sorella è scenografa. Genitori Anni Settanta che mi hanno lasciato molta libertà e regalato sogni per cui ho faticato a trovare una strada; ci ho messo più tempo di altri.
Un’opportunità per quasi tutti che leggi come una criticità?
Per una come me forse infantile, ipersensibile, che sono diventata adulta ora forse la disciplina sarebbe stata preziosa. Avevo l’argento vivo addosso, una gran voglia di viaggiare, di comunicare con le persone, e alle persone, ho vissuto tra l’altro un periodo a Los Angeles – curiosa, ho provato a fare tanti mestieri dietro le quinte e poi ho trovato la musica con la sua voglia e necessità di fare gruppo e io sono una che lavora bene in squadra. Oggi mi divido tra la scrittura musicale, la scrittura di brani per altri interpreti, le lezioni di canto, facendo anche da coach.
a cura di Ilaria Guidantoni