I tempi di chiusura delle procedure fallimentari ed esecuzioni immobiliare in Italia, si sa, sono in media molto lunghi, ma il trend, almeno sino a fine 2019, era in miglioramento, sebbene la variabilità sia molto elevata, a seconda dei tribunali. Lo ha calcolato Cherry Sea, l’innovativo osservatorio di Cherry Bit, la piattaforma di intelligenza artificiale sviluppata da Cherry srl per la valutazione dei portafogli dei crediti deteriorati fondata lo scorso anno da Giovanni Bossi (si veda altro articolo di BeBeez), che tramite i portali del Ministero della Giustizia ha realizzato un’analisi sui dati relativi a tutti i fallimenti registrati nei 140 tribunali italiani dal 2010 a fine 2019 (si veda qui il comunicato stampa e qui la ricerca completa).
Il tema non è di poco conto se ci si mette nei panni di un investitore specializzato in Npl, che conta sulla chiusura della procedura per poter recuperare il proprio credito. Il tempo di recupero stimato, infatti, impatta non poco sul prezzo di acquisto di un credito quando il tasso di rendimento atteso dall’investimento è elevato, come è nel caso dei fondi specializzati, visto che il valore attuale di quel credito è dato dal valore di recupero atteso scontato al tasso di rendimento atteso. Un’analisi di Cerved e studio legale La Scala condotto nella primavera del 2019 sui dati aggiornati al 2018 aveva evidenziato un tempo di attesa medio di 7 anni e un mese per i tribunali italiani, con un gap andava dai circa 4 anni nei tribunali più efficienti ad oltre 15 anni in quelli più lenti, con la conseguenza che il prezzo di acquisto di 100 euro di crediti poteva oscillare dai 27 euro nei tribunali più efficienti ai soli 5 euro in quelli più lenti.
Tornando alla ricerca di Cherry Bit, questa, per stabilire una classifica dei tribunali più efficienti in termini di tempi di chiusura delle procedure, tra i 20 tribunali più attivi, ha calcolato il tempo necessario per smaltire i procedimenti pendenti alla fine di un dato anno (cosiddetto Disposition Time, DT). Applicando tale parametro al campione, emerge che negli ultimi 5 anni (2015-2019) la media dei venti tribunali in esame è in miglioramento complessivo costante dai 7,97 anni del 2015 ai 5,40 del 2019, evidenziando una tendenza cui fanno eccezione i soli tribunali di Catania e Cagliari, in cui nello stesso periodo si è assistito a un incremento, rispettivamente da 7,6 a 9,3 anni e da 5,5 a 6,3. Nello stesso arco di tempo, i tribunali con il DT medio migliore sono Torino, Bergamo e Milano, con un valore compreso tra i 4 e i 5 anni, mentre i tribunali con tempi più lunghi nello smaltire i pendenti sono Padova, Verona, Catania e Bari, con DT compreso tra i 7 e gli 11 anni.
Se già questa analisi è interessante, ancora più interessante è quella che va a segmentare le fasi delle procedure, per capire in quale momento della procedura i tempi si allungano di più. Dall’analisi risulta evidente per esempio, che sono le prime fasi a essere quelle più problematiche e cioé il momento dell’amministrazione del fallimento e della definizione dello stato passivo e poi quello della liquidazione attivo. Più breve è la fase della ripartizione dell’attivo e ancora di più quella della chiusura del fallimento. Ma anche qui le cose variano molto da tribunale a tribunale. Così, per capirci, a Bari la prima fase dura in media oltre 5 anni e quella della liquidazione dell’attivo oltre 3 anni e poi, per ripartire i soldi recuperati dalla vendita degli asset, ci vuole in media poco meno di un altro anno e mezzo. A Milano, invece, la prima fase dura 2,3 anni, la liquidazione 1,8 anni e la ripartizione dell’attivo solo 0,4 anni. La fase di ripartizione dell’attivo è relativamente lunga anche a Roma (1,32 anni). Quello che emerge però è che ridurre i tempi della fase del riparto dell’attivo risulta molto complicato. Lo si vede molto bene osservando il grafico in pagina relativo ai tempi delle procedure del tribunale di Milano, che si sono ridotti nel complesso negli ultimi 5 anni e hanno visto ridursi in percentuale il peso delle prime due fasi e aumentare invece il peso della terza dal 38% al 45%. Non è un caso, infatti, che il cosiddetto cash-in-court cioé i capitali accumulati presso i conti correnti intestati a procedure concorsuali, abbia raggiunto la quota di circa 10 miliardi di euro. Tutti soldi che dovrebbero essere distribuiti ai creditori quali aziende private, enti pubblici, banche e investitori.
“La difficoltà a smaltire i fallimenti nei tribunali è un’emergenza cronica del nostro Paese, che oggi si trova a fare i conti con l’altra emergenza, quella sanitaria”, ha commentato Giovanni Bossi, founder di Cherry, che ha aggiunto: “Il rischio concreto è che la pandemia ponga un freno ulteriore allo smaltimento delle procedure, che già era sovraccaricato alla fine dello scorso anno. Velocizzare i tempi e rendere più efficienti le procedure di recupero giudiziale è un obiettivo fondamentale per la ripartenza, per rimettere in circolo nell’economia reale capitali e asset congelati. Si tratta di una partita importante non solo per il mondo della finanza, ma anche per le imprese, sia quelle che hanno difficoltà ad accedere al credito, sia quelle che, a causa della lentezza delle procedure fallimentari, faticano a recuperare i crediti, rischiando a loro volta il fallimento”.
Detto questo, sarà interessante vedere i risultati dell’analisi di Cherry Bit riproposta l’anno prossimo sui dati 2020, che a quel punto rifletteranno quanto accaduto quest’anno durante l’emergenza Covid-19. Ci sono infatti due forze opposte che vanno ad agire sui dati. Da un lato, il Decreto Liquidità ha previsto la sospensione dei procedimenti giudiziari nel periodo tra il 9 marzo e l’11 maggio, mentre dall’altro ha previsto alcune importanti eccezioni. Tali eccezioni includono qualsiasi procedimento in cui un ritardo sia dannoso per le parti, a condizione che una specifica dichiarazione di urgenza venga emessa dal tribunale competente. Proprio in base a questo criterio la scorsa primavera vari tribunali italiani hanno emanato circolari volte ad accelerare il deposito di piani di riparto o meglio la distribuzione del cash in court, tanto che mentre i segmenti quali i consumer NPLs e i crediti ipotecari sono stati colpiti pesantemente nelle attività di recupero a seguito della chiusura temporanea dei tribunali, questo non è accaduto per i crediti chirografari e in particolare quelli in procedura concorsuale, (sul tema si veda qui il commento di Jacopo Di Stefano, ceo di J-Invest).
Tornando all’efficienza dei tribunali italiani, la ricerca di Cherry Sea ha analizzato l’attività dei venti tribunali che nel 2019 hanno gestito il maggior numero di nuovi procedimenti, evidenziando come delle 5.472 pratiche complessivamente aperte nei dodici mesi, il 35% sia stato preso in carico dai soli tribunali di Milano (1.019) e Roma (897), quest’ultimo con un importante scarto rispetto al terzo in graduatoria (Torino, 289). Utilizzando lo stesso campione, emerge come i capoluoghi di Lazio e Lombardia siano anche i tribunali con il maggior numero di procedure pendenti, rispettivamente 5.196 e 5.023 (il terzo è Bari con 2.091, il tribunale con minor numero di procedure è Genova con 748), rappresentanti circa il 30% del totale dei procedimenti che al 31 dicembre 2019 risultano accumulati nei venti tribunali in esame.
Il trend è comunque virtuoso nella maggior parte dei tribunali, visto che è diminuito negli anni il numero di procedure aperte e di conseguenza anche il numero di situazioni pendenti. Il trend migliore lo hanno Torino, Vicenza e Napoli, nei cui tribunali le nuove pratiche aperte si sono ridotte del 37, 20 e 34%, consentendo di alleggerire il carico dei pendenti rispettivamente del 43, 24 e 21%. Si verificano due casi, nei tribunali di Cagliari e Catania, in cui a un aumento del 17 e 15% di aperture di nuove pratiche è conseguito un aumento delle procedure pendenti (rispettivamente del 5 e 1%), mentre i dati più negativi si registrano a Verona, Firenze e Busto Arsizio, dove pur in presenza di una riduzione del numero di pratiche aperte (-1, -11 e -14%), si sono accumulate ulteriori procedure pendenti (con variazioni rispettivamente del 9, 2 e 0,6%).
L’analisi dell’osservatorio di Cherry, inoltre, mette in luce come i livelli di efficienza siano spesso legati a un’insufficiente disponibilità di giudici assegnati alla sezione fallimentare: Milano, per esempio, secondo tribunale in Italia nel 2019 per numero di magistrati delegati a questa tipologia di procedure (10 alla pari di Napoli e dietro a Roma con 12), si è trovato tuttavia a gestire oltre 1.000 nuove pratiche lo scorso anno, per una media di 100 ogni giudice. Tra i venti tribunali con il maggior numero di procedure aperte nel 2019, complessivamente, la media è di 48 nuove pratiche per giudice all’anno. Per quanto riguarda le procedure pendenti, invece, la media è di 288,85 per ogni giudice, con punte di oltre 500 pratiche per giudice nei tribunali di Milano, Cagliari e Firenze.