A Legnago, in provincia di Verona, nello spazio espositivo di Giorgio Ferrarin è di scena la mostra Paolo Masi Pittura, vibrazione e segno. 60 anni di ordinata casualità a cura di Matteo Galbiati. Dedicata a un maestro indiscusso nel panorama italiano, capace di consegnare all’attualità del presente il senso di una liricità in cui il binomio segno-colore oltrepassa il limite confinato del quadro, sconfinando nella tridimensionalità del cartone.
La collaborazione tra l’artista e la galleria è consolidata, nello spirito di questo spazio che vuol essere un riferimento istituzionale, prima che commerciale, un luogo di incontro e di approfondimento nel segno dell’arte. Con lo stesso spirito era nata la mostra pubblica presso il Palazzo del Monferrato di Alessandria (III evento collaterale della Biennale d’Arte di Alessandria Omnia II Edizione 2020) e del relativo tour virtuale proposto la scorsa primavera durante il confinamento.
L’esposizione si configura come una concisa antologica, che attraverso opere selezionate riassume l’intero percorso dell’artista, a partire dalla fine degli anni Cinquanta sino alle più recenti ricerche, documentate attraverso alcuni lavori inediti. L’esposizione riunisce un’antologia ampia per formati, periodi di realizzazioni, tecniche espressive evidenziando come l’artista condensi negli interventi sul cartone che lascia riconoscibile, anzi spesso porta alla luce, una miriade di sperimentazioni. Dall’uso del colore, agli interventi tridimensionali, alla valorizzazione della trama del materiale.
“L’esperienza di Paolo Masi”, scrive Matteo Galbiati, “costituisce un’importante testimonianza che lo colloca nel pieno del dibattito artistico che ha connotato il panorama italiano, e non solo, a partire dalla fine degli anni Cinquanta e che ha messo in forte discussione, se non vera e propria crisi fondante, la pittura. Masi ricorre, senza mai tradirlo, al mezzo pittorico come strumento ancora efficace nel pronunciamento originario e perdurante nella sua attualità rinnovata e rinnovabile, essenziale nel definire un complesso meccanismo di relazioni con chi osserva.
L’artista dipinge con quel senso di orgogliosa e sentita responsabilità che itera la pittura nel tempo e nello spazio del vivere; la sua astrazione non è speculazione artefatta, ma sempre presenza di memorie ed è, per questo, capace di far affiorare deduzioni e intuizioni che consolidano il patto tra nuova conoscenza ed esperienza vissuta, tra immaginazione creativa e sensazioni pregresse. L’esercizio cromatico viene esperito con un rinnovamento costante di tecniche, gestualità e modalità risolutive, in cui il fare, per questa prolificità concettuale e concreta, si determina ed esplicita nella forma di un’inestricabile matassa di relazioni le quali, acquisite dalle prolifiche manifestazioni della sua essenza diffusa, sanno naturalmente trasferirsi all’altro. Masi, in definitiva, salva la pittura modificandola continuamente; lasciandosi stupire accetta il senso di una libertà d’azione che diviene salvifica. Nell’opera dell’artista fiorentino comprendiamo che la radice e l’essenza del suo rinnovamento e della sua messa in discussione costante è il cercare la verità del reale, nel coglierne le indicazioni come metafore di una possibile trasfigurazione dell’immagine del dipinto semplicemente respirando appieno il vivere del mondo”.
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Paolo Masi nasce a Firenze nel 1933, dove vive e lavora. Dopo aver elaborato negli anni Cinquanta e Sessanta un’attività articolata, complessa e diversificata, si avvicina alle contestuali esperienze analitico-riduttive, scomponendo e riorganizzando sul pavimento e contro le pareti aste di alluminio, specchi, fili o piccole stecche di plexiglas colorato, che estendono anche alla terza dimensione la ritmicità dello “spazio-colore”. La fase successiva coincide con il ritorno alla bidimensionalità attraverso il progetto “Rilevamenti esterni – conferme interne” (1974-76), elaborazione che egli sviluppa all’esterno e all’interno del suo studio con le Tessiture (tela grezza cucita) e i Cartoni da imballaggio, dove utilizza per la prima volta adesivi trasparenti e coprenti, facendo emergere la struttura interna del materiale. Partecipa alla Biennale di Venezia (1978); alla XI Quadriennale romana (1986); alle mostre Kunstlerbücher di Francoforte e Erweiterte Fotographie Wiener Secession di Vienna (1980); alla mostra parigina sul libro d’artista (Centre Georges Pompidou, 1985), ad Arte in Toscana 1945-2000 (Palazzo Strozzi a Firenze e Palazzo Fabroni a Pistoia, nel 2002) e alla mostra Pittura Analitica. I percorsi italiani 1970-1980 (Museo della Permanente, Milano, 2007). Le opere successive sono i Contenitori di forma colore”, le Serialità e nuovamente i Cartoni (superfici di vario tipo: legno, tela, carta), sulle quali l’artista interviene con una complessa operazione pittorica. La serie di plexiglas Trasparenze, iniziata nel 2000, dipinta con la tecnica della vernice spray, permette all’artista di operare una nuova definizione dello spazio attraverso “sollecitazioni cinetico-cromatiche” di luci e ombre.
a cura di Ilaria Guidantoni