A Pisa fino al 9 maggio 2021 (è stata aperta il 20 gennaio, dopo che è saltata l’apertura del 7 novembre scorso) è allestita De Chirico e la Metafisica che racconta l’opera del Pictor Optimus in un lungo viaggio attraverso immagini e parole, una navigazione fatta di partenze e ritorni lungo l’arco del Novecento lasciando tracce profonde ancora recepibili.
La mostra permette di conoscere de Chirico grazie a una serie di chiavi di lettura che possono aprire il sipario sui suoi enigmi e permettere di percorrere il suo magnifico labirinto, oltre la scoperta della collezione personale dell’artista ovvero i “de Chirico di de Chirico”, fulcro di questa mostra. Grazie al supporto delle più prestigiose istituzioni nazionali, come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, la Pinacoteca di Brera, il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto e non solo, e con la collaborazione della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, il progetto presenta a Palazzo Blu una serie di assoluti capolavori, capaci di testimoniare l’evoluzione della ricerca di Giorgio de Chirico e di mostrare l’evoluzione della breve ma straordinaria stagione metafisica tramite i suoi esponenti più illustri.
La mostra in scena a Palazzo Blu, permette di conoscere de Chirico grazie a una serie di chiavi di lettura che possono aprire il sipario sui suoi enigmi e permettere di percorrere il suo magnifico labirinto, oltre la scoperta della collezione personale dell’Artista ovvero i “de Chirico di de Chirico”, fulcro di questa mostra.
Vi sono alcune opere del fratello, Alberto Savinio, una grande opera di Mario Sironi, un’opera di Filippo De Pisis e altri grandi autori del Novecento che hanno per varie vie e vicende intrecciato la propria opera con quella del Maestro. Anche per chi ha visto già delle personali di De Chirico e molte sue opere resta un’esposizione interessante.
L’allestimento tortuoso segue il percorso articolato dell’artista e ci guida in un labirinto complesso. La mostra si articola in sette sezioni: Una sola moltitudine: gli Autoritratti, Prologo, La metafisica e i suoi ritorni, Il “classicismo” e l’espansione della Metafisica, La Seconda Metafisica, Dal “realismo” al “barocco”, La Neometafisica. Il focus sull’autore riunendo tutti i rivoli della sua molteplice ispirazione permette di coglierne l’inquietudine, il lato straniante, surreale, estroso, dietro il rigore metafisico, che porta in sé la traccia geometrica del Cubismo. Emerge una dimensione onirica forse non abbastanza valutata in De Chirico che questa mostra svela.
Una sola moltitudine: gli autoritratti
La mostra ripercorre tutta la carriera di de Chirico e, pur dedicando un posto d’onore ai temi e alle icone della Metafisica, non tralascia né gli esordi böckliniani, né le stagioni ‘classiche’, ‘barocche’, neometafisiche. Un suo giovane autoritratto segna l’inizio del percorso.
Ripercorrendo il ciclico riaffiorare di temi e soggetti cari all’artista (gli autoritratti, le piazze d’Italia, i manichini, i bagni misteriosi…) appare chiaro come anche la sottovalutata attività artistica successiva agli anni Venti abbia dato origine ad autentici capolavori.
La mostra apre sugli autoritratti: de Chirico ne realizzerà più di cento, tutti uguali e tutti diversi. In questi dipinti e nelle diverse maschere che li contraddistinguono possiamo individuare la vera chiave di volta per accostarci alla sua opera.
Così come muta la figura dell’artista in tutti gli autoritratti introduttivi della mostra, e nel celebre autoritratto nudo del 1945 che simbolicamente la chiude, così il suo stile pittorico, spiazzando continuamente gran parte della critica, non cesserà mai di evolversi e di perfezionarsi.
Prologo
Nella più antica opera di de Chirico, Lotta di Centauri (1909), possiamo vedere secondo la critica un duplice omaggio: alla propria terra natale, la Tessaglia, mitica patria di quegli esseri favolosi; e ad Arnold Böcklin, evocatore di atmosfere incantate e spettrali. Di una composizione del pittore svizzero di analogo tema vengono riprese quasi alla lettera attitudini e posture.
Nel Ritratto della madre (1911), opera splendida, ieratica, la figura inquadrata in una finestra rappresenta una soluzione più volte praticata, evocando, con questa apertura su uno spazio indefinito, un senso di indeterminatezza e di mistero, che conferisce così al quadro un “maggiore valore metafisico”.
Anche in un genere realistico come il ritratto de Chirico inserisce un dettaglio che allude a un’apparizione enigmatica della realtà. Era quanto aveva provato egli stesso l’anno precedente, quando in un pomeriggio d’autunno, in Piazza Santa Croce a Firenze, in uno stato di alterazione della sensibilità, le cose gli appaiono in una luce inedita e arcana, come se venissero viste per la prima volta. Era la rivelazione della Metafisica.
La metafisica e i suoi ritorni
La pittura metafisica di de Chirico occupa un posto centrale nel panorama artistico europeo della prima metà del XX secolo. Trasferitosi a Parigi nel 1911, l’artista inaugurerà la famosa serie delle piazze d’Italia.
Nei successivi dipinti l’artista renderà più evidente la deflagrazione del sistema prospettico, nasceranno i primi manichini: Il trovatore, Ettore e Andromaca e capolavori come Le chant d’amour, L’enigme de la fatalité (di cui sono presenti in mostra alcune fedeli repliche più tarde).
Rispetto a quelle di altri movimenti delle avanguardie artistiche, le opere dei pittori metafisici che successivamente si ispireranno alle intuizioni di de Chirico si caratterizzano per ordine e chiarezza compositiva. La potenza evocativa dell’enigma metafisico è legata a una sorta di rivelazione nella quale il mondo ci appare completamente ‘altro’, pur rimanendo sé stesso. Non casualmente de Chirico sosterrà la necessità di ‘scoprire il demone in ogni cosa’, Carrà parlerà di ‘realtà fermata’, de Pisis di mistero delle cose e Savinio, con un ossimoro, di ‘naturalismo spettrale’.
Il “classicismo” e l’espansione della Metafisica
Nel dopoguerra, sulla scena culturale italiana, si avverte un’esigenza d’ordine e di restaurazione, che induce gli artisti a ispirarsi alle fonti più autentiche e originarie del patrimonio artistico nazionale. Mentre a Parigi i suoi quadri raccolgono il plauso dei Surrealisti, anche de Chirico, in Italia, avverte la necessità di ripartire da un rinnovato studio dei maestri rinascimentali, calando le atmosfere metafisiche in nuove rivisitazioni. E mentre mette a punto in una nutrita serie di scritti le premesse teoriche della pittura metafisica, nei suoi dipinti sottopone questa pittura a un bagno di classicismo, cercando di mantenere il senso dell’enigma e del mistero in nuove composizioni ora desunte dall’esempio dei protagonisti della storia dell’arte del passato.
Uno dei risultati più significativi di questo periodo è Lucrezia, un’opera del 1921 ma datata e firmata 1922, in cui l’artista, come è stato notato, fonde e risolve, in una sorta di straordinario collage pittorico, numerose fonti di ispirazione, dalle statue classiche a Dürer.
La Seconda Metafisica
Nella seconda metà degli anni Venti de Chirico, ritornato a Parigi, rinnova i temi della Metafisica traducendoli in visioni più nostalgiche e al tempo stesso più ironiche e leggere ed è la sezione della Neo Metafisica, presente al primo piano dell’esposizione, un’altra sala che riunisce diversi capolavori.
Nella “seconda Metafisica” appaiono immagini misteriose di oggetti e luoghi decontestualizzati, come accade con i Mobili in una valle e con i Paesaggi nella stanza, dove il pittore costruisce il senso di un nuovo enigma giocando negli scambi tra esterno e interno, mentre con il ciclo dei gladiatori e degli archeologi assistiamo a una inedita rivisitazione dei suoi manichini.
Risale a questi anni la controversia con i Surrealisti, i quali, se avevano dapprima ravvisato in de Chirico il loro precursore, non accettano i risultati delle sue nuove ricerche. In ogni caso la critica non esita a sanzionare la rilevanza internazionale di de Chirico e ad accostare il suo nome accanto a quello di Picasso come protagonista assoluto dell’arte del XX secolo
Dal “realismo” al “barocco”
All’inizio degli anni Trenta de Chirico cerca di nuovo ispirazione nel museo rivisitando la storia dell’arte. Da un lato continua a operare variazioni su temi stilistici dei decenni precedenti, ma dall’altro si appassiona sempre di più allo studio della tradizione pittorica antica e al culto della “grande pittura”. Ecco allora apparire il ciclo dei nudi femminili tra i quali spicca la Bagnante coricata (Il riposo di Alcmena), proveniente come molte opere dalla Galleria d’Arte Contemporanea di Roma. E’ Massimo Bontempelli il primo a parlare di Barocco.
Un altro genere che coltiva particolarmente in questi anni è la natura morta, o meglio, secondo la terminologia da lui usata la “vita silente”. Intanto esce un altro straordinario ciclo “d’invenzione”: I bagni misteriosi, molto suggestivo.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, prosegue, pur nella precarietà e nell’angoscia per le sorti dell’Europa, le sue ricerche. Esegue il famoso Autoritratto nudo, «che è forse la pittura più completa – dice nell’edizione delle Memorie del 1945 – che io abbia eseguita finora», secondo la critiva.
La Neometafisica
E’ l’ultima fase dell’opera di de Chirico che va dalla fine degli anni Sessanta alla sua morte nel 1978, un momento di grande vitalità in cui l’artista ha riletto e interpretato la pittura metafisica giovanile contaminandola con l’immenso apparato iconografico delle sue opere degli anni Venti e Trenta per ottenere nuovi risultati.
Negli ultimi anni di vita de Chirico riapre pertanto le sue prospettive, ribaltandole verso un punto di intersezione atemporale in cui i suoi personaggi e i loro oggetti, le squadre lignee e le scatole che contengono altri quadri si aprono in un gioco infinito che ripercorre tutto il suo tempo esistenziale e artistico, illuminando alcuni misteri e ricomponendone altri. Interessanti i disegni con una testa di cavallo composta da un puzzle di architetture, o soli, come motivi decorativi, posti su cavalletti all’interno delle stanze. L’astrazione consente anche un rovesciamento delle prospettive logiche e la metafisica si fonde con un surrealismo giocoso e a tratti inquietante.
In questo contesto di nuovi e felici enigmi incontriamo dunque i nuovi interni metafisici: gli archeologi e i manichini umanizzati, i bagni misteriosi, i gladiatori, i trofei, i soli gialli e neri, i ritorni del cavaliere al castello avito, Orfeo Trovatore stanco, Ulisse che rema nella sua stanza, fino alle stanze che si aprono sulle nuove visioni di Venezia e New York.
Prima di lasciare il Palazzo Blu non dimenticate una visita alla collezione permanente, una piccola antologia dai fondi oro del Trecento, passando attraverso i secoli successivi, per pittori come Orazio Gentileschi o il settecentesco volterrano, poi morto a Pisa, Giovanni Battista Tempesti. Interessante la collezione di Carmi e soprattutto di Ottavio Simoneschi, nobile collezionista del primo Novecento: sono raccolti mobili di pregio, una bella stanza adibita a libreria con il fondo dei suoi libri e la quadreria che ci conduce fino al Novecento di Galileo Chini con un suo paravento e due vasi di qualità.
Giorgio De Chirico visto da vicino
Giorgio de Chirico nasce a Volo, in Grecia, il 10 luglio 1888 da genitori di cittadinanza italiana. Frequenta il Politecnico di Atene dal 1903 al 1906. Nel settembre 1906 si trasferisce a Monaco insieme alla madre e al fratello e frequenta l’Accademia di Belle Arti. Nel marzo del 1910 si trasferisce a Firenze con la madre e il fratello Andrea. de Chirico ha la sua “rivelazione metafisica” in Piazza Santa Croce a Firenze ove realizza i suoi primi dipinti metafisici: L’énigme de l’oracle e L’énigme d‘un après-midi d’automne e L’énigme de l’heure. Nel 1911 con la madre raggiunge il fratello a Parigi dove svilupperà il tema delle piazze d’Italia, ispirato dall’architettura Torinese e dagli insegnamenti della filosofia nietzschiana. Nel marzo 1913 espone tre dipinti al Salon des Indépendants dov’è notato da Picasso e Apollinaire. Con quest’ultimo inizierà una collaborazione e un’amicizia che durerà nel tempo.
Nel 1914, grazie all’interessamento di Apollinaire, conosce il suo primo mercante: Paul Guillaume. Nel 1915 inizia il ciclo di opere caratterizzato dai “manichini”. Nel maggio dello stesso anno si presenta alle autorità militari di Firenze e viene trasferito a Ferrara. Qui inizia a dipingere i primi interni metafisici. Tra il 1917 e il 1918 realizza anche le sue opere più note: Il grande metafisico, Ettore e Andromaca, Il Trovatore e Le muse inquietanti (1918). Continua ad avere contatti con l’ambiente parigino e a inviare le sue opere a Paul Guillaume. Si trasferisce a Roma il primo gennaio 1919. A febbraio ha luogo la sua prima mostra personale alla Casa d’Arte Bragaglia. De Chirico riscopre l’arte dei grandi artisti nei musei e inizia a fare copie delle opere dei maestri italiani del Rinascimento, tra cui Raffaello e Michelangelo. Nel 1924 a Roma conosce la sua prima moglie Raissa Gourevitch Krol. Alla fine del 1925 si stabilisce nuovamente a Parigi. I protagonisti dei suoi dipinti sono gli archeologi, i cavalli in riva al mare, i trofei, i paesaggi nella stanza, i mobili nella valle e i gladiatori. I surrealisti criticano duramente le sue più recenti opere. La frattura con il gruppo è ormai totale e destinata ad aggravarsi negli anni successivi.
Nel 1929, l’Éditions du Carrefour di Pierre Lévy pubblica Hebdomeros, le peintre et son génie chez l’écrivain. Nel 1930 il matrimonio con Raissa volge al termine. Nel medesimo anno incontra la sua seconda moglie Isabella Pakszwer Far che gli resta accanto fino alla morte. Parte per New York nell’agosto 1936, torna in Italia all’inizio di gennaio 1938. Negli anni Quaranta inizia a lavorare a una serie di sculture in terracotta e nel 1941 illustra l’Apocalisse di San Giovanni. Nel corso della Biennale di Venezia del 1948, Francesco Arcangeli organizza un’esposizione in cui il premio per la pittura metafisica viene assegnato a Giorgio Morandi e nel gruppo di opere esposte figura anche “un formidabile falso”. Nel 1950, in polemica con la precedente Biennale, organizza nella sede della Società Canottieri Bucintoro di Venezia una “Antibiennale”. Nel 1952 sposa Isabella. Il 5 maggio muore suo fratello Alberto Savinio. A partire dalla fine degli anni Sessanta riprende i soggetti metafisici per trasporli in contesti gioiosi e pieni di colore: la Neometafisica. Il 20 novembre 1978 muore, dal 1992 le sue spoglie riposano a Roma nella chiesa di San Francesco a Ripa.
a cura di Ilaria Guidantoni