A Tunisi abbiamo incontrato l’attore Aymen Mabrouk sul set di Harga, film che racconta il dramma dell’immigrazione e inaugura una stagione televisiva di impegno sociale tra Tunisia e Italia, che speriamo di vedere anche sui nostri schermi.
Il primo set dopo il confinamento, un’emozione e il ritorno della fiducia?
“La serie in effetti è stata interrotta a febbraio e sarebbe dovuta andare in onda sul primo canale nazionale tunisino, El-Watania 1, per il Ramadan della scorsa primavera ma tutto è stato sospeso. Ho appena finito di girare Harga, film del regista tunisino Lassâad Oueslati, che probabilmente sarà in onda in inverno o per il prossimo Ramadan nel 2021. Girato idealmente tra le due rive, un terzo in mare, l’ultima parte idealmente in un centro di accoglienza di Palermo; ma dopo l’emergenza sanitaria, abbiamo dovuto limitarci allo scenario tunisino. E’ un film che porta al centro il dramma sociale dell’immigrazione ricordata nel titolo – il termine originario è Ħarqa – che evoca il termine arabo ‘bruciare’, nel senso di bruciare i documenti, quindi varcare le frontiere in modo clandestino e allude anche al naufragio. Sarebbe importante che fosse distribuito anche in Italia”.
Siamo lontani dai feuilleton tipici della stagione del Ramadan, soap opera in salsa araba.
“Da qualche anno in realtà anche nel mese del digiuno e della festa si lascia più spazio in tema di impegno sociale e di attualità. Molti critici, dopo aver visto il teaser, hanno dato parere favorevole per la qualità cinematografica di questa realizzazione di DG PRO, produttore tunisino con El-Watania, girato in tunisino con sottotitoli in italiano ed è un messaggio nuovo nel periodo che vede le riunioni di famiglia e le feste proprio perché affronta il tema soprattutto da parte della sofferenza di chi parte e di chi resta.”
Qual è il tuo personaggio?
“Sono un mediatore culturale italo-tunisino e in un certo senso è la mia storia di tunisino di Tozeur, ormai cittadino italiano, un personaggio ‘cattivo’, e anche questo fa parte del mio destino. Faccio quasi sempre la parte di qualcuno di scomodo, violento o irritante. In questo caso è un uomo razzista, più razzista degli italiani rispetto agli immigrati e non è strano perché svela il complesso di inferiorità in cerca di riscatto. Purtroppo è anche lo specchio della società tunisina dove il razzismo cresce al nord rispetto al sud, ad esempio rispetto alla popolazione nera, indicata come ouašīf, negro. Nel sud del paese le persone si mescolano facilmente, ci sono matrimoni ‘misti’, ma già a Tunisi questo è ben più raro. E’ interessante anche l’aspetto critico che il film mette in luce, cercando di mettere in guardia chi fugge con un sogno spesso ingenuo. Non basta arrivare in Italia per trovare l’Eldorado, senza contare la sofferenza dei genitori che vedono i figli partire sapendo che spesso è un addio”.
Cosa ti piace di questo personaggio disturbante?
“Visto da attore è un ruolo articolato e per me rappresenta una sfida, anche sotto il profilo psicologico, perché c’è qualcosa che mi fa male e per questo lo ritengo una bella esperienza”.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
“Dovrei cominciare a girare a Roma con il regista e critico Mario Sesti, ex direttore del Festival di Taormina, in una produzione cinematografica della quale non ho ancora il titolo e per me è stimolante l’incontro con un nuovo regista. In previsione c’è anche una nuova serie di Netlix per la quale ho già lavorato nel 2017 con una produzione degli Emirati Arabi per I corvi neri, dramma che racconta la vita di reclute uomini e donne, spie sotto copertura, baby cecchini, schiavi e capi in una cellula di un gruppo estremista.”
Hai già lavorato per la televisione e il cinema italiano?
“Tra gli impegni Ragion di Stato di Marco Pontecorvo del 2015 in onda su Rai 1, trasmesso all’indomani dell’attentato a Parigi contro la redazione di Charlie Hebdo ma la mia permanenza in Italia è articolata professionalmente.”
Ci racconti brevemente la tua storia e il tuo percorso?
“Sono nato a Tozeur e ho studiato teatro in Tunisia, all’Istituto Superiore d’Arte Drammatica (ISAD) e poi ho conseguito un Master in arte e comunicazione all’Università americana di Beirut . La vocazione l’ho scoperta presto perché in Tunisia, dove io ho frequentato l’equivalente del liceo scientifico, l’educazione teatrale è obbligatoria e così ho cominciato a scuola con i laboratori teatrali. Dal teatro poi sono passato al cinema e alla tv. Ho lavorato ad esempio a lungo in Italia a Siracusa all’Inda, l’Istituto Nazionale del Dramma Antico, così come in Medioriente. In Italia tra l’altro sono stato a Il Piccolo di Milano all’interno dell’evento del 2012 Racconto della Medina, con il monologo Un messaggio (Risalah), recitato in arabo.”
Cosa ti sembra che manchi in questo momento alla Tunisia nell’ambito dello spettacolo?
“La destabilizzazione politica danneggia anche il mondo culturale e purtroppo mi rendo conto che il fermento culturale del dopo rivoluzione nel 2011 non ha decollato eppure ci sono delle punte di eccellenze. Per due anni sono stato il direttore artistico del Festival TOIFF, Tozeur International Film Festival, che dovrebbe tenersi nella prima settimana di dicembre. Quest’anno il problema è che c’è carenza di prodotto nuovo ma potremmo organizzare delle master class e momenti di incontro tra operatori e con la stampa. In Tunisia esiste il cinema d’autore anche di libello internazionale e siamo presenti in praticamente tutti i festival internazionali così come a livello di teatro c’è anche una certa sperimentazione che si vede ad esempio nel Festival di Avignone in Francia, solo che soffriamo di un pregiudizio a livello generale. Indubbiamente oggi all’interno manca un sistema scolastico di qualità e mentre Bourguiba negli anni Sessanta aveva puntato ad un’ispirazione internazionale ora la Tunisia si è svuotata, non è né carne né pesce e io sono l’ultima generazione fortunata che ha studiato con il vecchio sistema prima della riforma del 1998.”
Trailer: https://www.tekiano.com/2020/06/17/feuilleton-tunisien-harga-de-lassaad-oueslati-le-tournage-reprend-bande-annonce/
a cura di Ilaria Guidantoni