di Stefania Peveraro
direttore di BeBeez
founder di EdiBeez srl
Cari lettori,
la pubblicazione di questo nuovo numero di BeBeez Magazine arriva a una settimana di distanza dal concitato weekend che ha tenuto con il fiato sospeso l’intera finanza mondiale per i potenziali effetti sistemici che si sarebbero potuti innescare. Stiamo parlando ovviamente della Silicon Valley Bank, sul cui default sono già stati scritti migliaia di articoli, per cui non vi voglio tediare oltre. Dell’intervento del Tesoro Usa a garanzia delle linee di credito dei clienti e della vendita della branch UK a HSBC ormai sappiamo e ci conforta, così come è notizia di venerdì 17 marzo il fatto che la controllante di SVB abbia chiesto di accedere alla procedura del Chapter 11 di protezione dai creditori per gestire il suo debito da 3,3 miliardi di dollari.
Ma a parte il destino della banca, quello che interessa sottolineare qui è che il portafoglio prestiti della banca, che ammontava a ben 73,6 miliardi di dollari a fine 2022, tutti erogati a startup e scaleup, ora fa gola ai colossi americani del private credit e quindi ad Apollo Global Management, Ares Management, Blackstone, Carlyle e KKR, secondo quanto riferito nei giorni scorsi da Bloomberg, i quali hanno ovviamente fiutato l’affare perché potranno portarsi a casa a sconto dei crediti buoni verso alcune delle aziende più innovative del pianeta e diventare di colpo i nuovi big del venture debt, con i crediti acquisiti che a quel punto potrebbero diventare logico collateral di mega-operazioni di cartolarizzazione CLO (Collateralized loan obligation), così come già normalmente accade per i crediti verso aziende corporate in portafoglio agli stessi fondi.
L’asset class del venture debt è ben nota agli investitori negli Usa, con operazioni che, secondo Pitchbook, hanno totalizzato i 31,2 miliardi di dollari nel 2022, così come nel 2021 e in aumento dai 29,2 miliardi del 2020. E’ chiaro, quindi, che se le startup clienti di SVB non avessero potuto più prelevare i soldi depositati sui loro conti e/o utilizzare le linee di credito accordate, l’effetto domino sull’ecosistema sarebbe stato deflagrante.
In Italia, dove anche il venture capital è ancora poco sviluppato, sebbene in crescita a ritmo esponenziale, quella del venture debt è ovviamente una asset class molto di nicchia, ma inizia a conquistarsi il suo spazio perché per i fondatori è ovviamente una soluzione che non li diluisce nella cap table. Spesso per esempio si ricorre allo strumento del bond convertendo. In ogni caso un effetto SVB sarebbe davvero al di là da venire, ma in ogni caso l’avvertimento c’è stato. Il mondo venture-backed non è un’isola, ma una parte importante delle nostre economie.
In questo numero, a proposito di ecosistema dell’innovazione, trovate un’intervista a Luigi Capello e Marco Gay, rispettivamente ceo e presidente esecutivo di LVenture e Digital Magics, che una settimana fa hanno annunciato il progetto di integrazione tra le loro due holding di investimento di venture capital quotate a Piazza Affari. E trovate anche un piccolo focus sugli investimenti di crowd e venture capitalist nel settore dell’healty food. L’inchiesta di copertina è invece il seguito dell’inchiesta di BeBeez Magazine del 4 marzo. Fermo restando che il settore degli investimenti e della gestione dei crediti deteriorati si sta spostando sempre più sugli UTP e sta diventando sempre più competitivo, come faranno i servicer a mantenere i margini di redditività che sinora erano stati molto ricchi?
Buona lettura!
Scarica qui il pdf del magazine
Sfoglia qui il pdf del magazine