Arte per immagini. Interviste a dodici grandi artisti del nostro tempo – 13 maggio 2021

20 €

Autore: Anna Maria Santoro

Casa editrice: Carabba

Anno di pubblicazione: 2021

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Descrizione prodotto

Dodici interviste, tanti anni di lavoro, innumerevoli viaggi per offrire uno spaccato della pittura figurativa italiana dal secondo dopoguerra a oggi attraverso le vite di alcuni dei suoi protagonisti, individuati grazie al supporto di Alfredo Paglione.

Claudio Bonichi, Ennio Calabria, Bruno Caruso, Armando De Stefano, Omar Galliani, Carlo Guarienti, Franco Mulas, Romano Notari, Ruggero Savinio, Giuliano Vangi, Piero Vignozzi, Giuseppe Zigaina

Tra le novità editoriali della Casa editrice Carabba si segnala il volume “Arte per immagini. Interviste a dodici grandi artisti del nostro tempo” di Anna Maria Santoro, con prefazione di Elena Pontiggia, postfazione di Gabriele Simongini e apparato bio-bibliografico a cura di Valentina Cocco.

Il libro offre uno spaccato della pittura figurativa italiana dal secondo dopoguerra a oggi attraverso le interviste ad alcuni dei suoi protagonisti – Claudio Bonichi, Ennio Calabria, Bruno Caruso, Armando De Stefano, Omar Galliani, Carlo Guarienti, Franco Mulas, Romano Notari, Ruggero Savinio, Giuliano Vangi, Piero Vignozzi, Giuseppe Zigaina – individuati grazie al supporto del gallerista e mecenate Alfredo Paglione, che nella sua storica Galleria Trentadue di Milano ha seguito e trattato quasi tutti gli artisti intervistati. Esito di tanti anni di lavoro e di innumerevoli viaggi attraverso Friuli Venezia Giulia, Toscana, Marche, Umbria, Lazio e Campania, affrontati da Anna Maria Santoro tra il 2012 e il 2019 per incontrare gli artisti nei loro studi, il volume riporta i dodici racconti di vita all’interno delle complesse dinamiche sociali, antropologiche e storiche che hanno caratterizzato il panorama culturale italiano del XX secolo: la guerra, la diatriba su astratto e figurativo, le scoperte di fisica quantistica, il Sessantotto, l’intervento degli Stati Uniti nel mercato dell’arte, la chiusura dei manicomi. Nel testo-intervista non vengono riportate le domande: la narrazione si sviluppa in un continuum, che comprende anche la descrizione degli atelier e dei luoghi in cui gli artisti hanno lavorato e vissuto, in una sintesi di immagini paesaggistiche, o di cronaca, che evocano le atmosfere e gli stilemi delle loro opere. L’ultima biografia, dedicata ad Omar Galliani, è stata invece tratteggiata a partire da uno scambio epistolare.

Abbiamo raggiunto Anna Maria Santoro, laureata in Filosofia con una tesi di ricerca in Storia dell’arte medievale - ha insegnato Filosofia e Scienze umane nei licei - giornalista pubblicista per comprendere innanzi tutto come nasca l'idea di questo libro.

“Da un incontro con Alfredo Paglione conosciuto all’inaugurazione di una mostra nell’estate del 2004, dal titolo “Arte per immagini”, lo stesso titolo che oggi è stato dato al libro. Lui gallerista e mecenate, io con l’ossessione delle interviste. La mostra vedeva in esposizione centouno opere che Paglione, insieme alla moglie Teresita Olivares, aveva donato alla Pinacoteca Barbella di Chieti.

Da allora, è iniziata con lui una frequentazione che, sebbene sporadica e legata soprattutto agli eventi espositivi e di mecenatismo di cui era ed è tuttora promotore, ci ha consentito di conversare d’arte e, in particolare, di artisti e scrittori da lui ospitati nella sua storica Galleria Trentadue a Milano dal 1963 al 2000, e di pianificare, nel tempo, dodici interviste da me iniziate nel 2012.”

Da sempre la filosofia si è interrogata sul bello, sul suo valore e sul ruolo dell'arte: cosa emerge da queste conversazioni?

“Dalle conversazioni emerge una sotterranea e persistente sensazione di precarietà della vita, ma anche un’energia vitale, non cosciente, pur nella consapevolezza di dare un senso al proprio esistere: Noi divoriamo il tempo, il tempo passa e il nostro transito sulla terra aumenta di velocità. Ma in questo flusso potente e naturale, l’Arte ha una capacità, che è quella di autorappresentarsi ponendo, chi vi si immerge, al di sopra del rapporto spazio-temporale. Ed è in questa sfera, metafisica, che i filosofi hanno indagato, spesso coniugandone i canoni, oggettivi, a diverse categorie, di perfezione, di simmetria, persuasione ecc. Nel 1950 Heidegger scriveva che l’opera d’arte è “il porsi in opera della Verità”, non è la semplice riproduzione della realtà esistente né della sua essenza universale; per cui “il tempio greco non riproduce nulla, semplicemente si erge”. Ancor prima, nel 1757, Burke aveva sostenuto il primato del sublime sul bello così, ad esempio, la natura nei suoi aspetti, come un mare in burrasca o un vulcano in eruzione, produce l’emozione più forte che l'animo sia capace di sentire: “è un'emozione non generata dalla contemplazione del fatto in sé, ma dalla consapevolezza della distanza insuperabile che separa il soggetto dall'oggetto". Tutto questo emerge nelle conversazioni con gli artisti, ma a patto di distruggere l’apparenza esterna per guardare alle parole dal di dentro, perché un discorso può avere più gradi di comprensione. Cito solo due esempi, lasciando al lettore la libertà di afferrarne il senso, non con la ragione. Ennio Calabria: «Quando un artista dipinge un funerale, entra proprio in rapporto con la morte e prima ancora che venga dichiarato il tema del funerale tu senti che sta parlando della morte». Claudio Bonichi: «Non bisogna essere esperti per comprendere un’opera. Guardandola, ti cattura».”

La critica d'arte si sviluppa fortemente nel Novecento: qual è esattamente il suo ruolo e il rapporto con gli artisti? Il critico d'arte infatti è una figura complessa, studioso, giornalista, scrittore, talora collezionista.

“Il critico d’arte è una figura complessa: Non a caso, le etimologie ci svelano i significati autentici delle parole: se cum plexum vuol dire “con nodi, intrecciato”, ebbene, io sono davvero “complessa” ma, superando il gioco di parole, sicuramente non sono un critico d’arte.

Benché Freud abbia auspicato un collegamento tra filosofia psicanalisi e arte, e i grandi nomi della psicanalisi, da Freud stesso a Lacan, siano stati medici, la critica d’arte ha esiliato troppo spesso i risultati delle indagini nel campo delle neuroscienze. Penso, ad esempio, agli studi di Giacomo Rizzolatti nel secolo scorso. Così, al chiedersi del perché ci piaccia un’opera, o che cosa rappresenti o presenti, penso che le possibili risposte di un critico d’arte si possano cercare nell’insieme di discipline che siano coerentemente allineate. Ma tutto questo presuppone anche una “levitazione” che isoli i pregiudizi, e sia disposta ad accettare anche incoerenze, apparenti, tra opera e artista, che di fatto emergono negli incontri e nei rapporti umani.”

Qual è il suo punto di vista sulla critica, sul mecenatismo e sulle gallerie, in relazione ai compiti e ruoli che hanno nel mondo dell'arte?

“Sulla critica d’arte, ovviamente con eccezioni che sono state e sono per me punti di riferimento e modelli da seguire, mi viene in mente uno scherzo di Franco Mulas che così ha raccontato durante il nostro incontro nel 2014: «Alla GAM a Roma, a una mostra su Carrà, era ora di chiudere e cominciammo a scendere. E scendendo, ripassando per la mostra di Giulio Paolini al piano sottostante, dissi ad alcuni amici: “Parliamo della grata dell’aria condizionata come se fosse un’opera di Paolini”; e così facemmo, a voce alta, e man mano si è creato un capannello. Nessuno ha detto: “Ma siete scemi? È la grata dell’aria condizionata! Non è un’pera d’arte!” Questo dimostra come i media e i critici, di un certo tipo, possano riuscire a influenzare la gente, succube di quello che il sistema dell’arte dice”».”

Il tema della conversazione apre uno spazio importante di dialogo, oggi spesso sacrificato dal monologo, esasperato dai social e dall'intervista al più, se non da una scrittura sull'altro che non interroga l'altro. Cosa ne pensa?

“I modi possibili di comunicare sono tanti e ciascuno di noi, in qualunque dialogo sia coinvolto, dovrebbe mettersi principalmente in ascolto. Non c’è niente di più bello che stare zitti mentre l’altro parla, in un silenzio che tuttavia non coinvolge solo il suono delle voci ma anche e soprattutto la propria voce interiore, il proprio pensare.

Stare in silenzio è una vittoria. Stare in silenzio e ascoltare anche i silenzi è una vittoria. Ascoltare anche quando si legge, è una vittoria.

L’ascolto rinnova gli affetti.”

C'è una conversazione in particolare sulla quale vuole soffermarsi?

“Ci sono frasi che mi hanno accompagnata per giorni, e continuano ad accompagnarmi perché esprimono tristezza, disperazione e bellezza insieme. Come dimenticare il bisbiglio di Bruno Caruso alla soglia degli ottantasei anni: «Mi sto arrendendo. Ho troppe cose da fare e troppo poco tempo perché non so quanto me ne resta»; oppure la paura della morte di Piero Vignozzi e la sua risolutezza quando parla d’arte: «Posso raccontare come dipingo, ma è difficile da spiegare, è come parlare di un racconto di Tolstòj, bisogna leggerlo». O Zigaina e il riferimento a Jung, “il tuo nome è la tua essenza”, da un’antica credenza del “Nomen omen” secondo cui il destino degli uomini è segnato dal modo di essere chiamati nel giorno del battesimo. E poi De Stefano e l’indimenticabile battibecco con la governante che nel frattempo si faceva il Segno della Croce, una due tre volte, e di nuovo una due tre volte. E Notari: «Io ho avuto un grande dono: nascere e dipingere». O Guarienti: «La mia mamma è morta che avevo quattro anni, quindi di piacevole da raccontare sulla mia infanzia c’è ben poco!» E poi Vangi che va d’accordo con gli operai «perché è gente che lavora da mattina a sera». E come dimenticare la lieve esitazione nella voce quando Ruggero Savinio ricorda suo padre e suo zio de Chirico? O, ancora, i momenti gioviali trascorsi con loro a tavola o per le stanze dei loro studi? E le telefonate? O gli auguri di compleanno?

Non posso che ringraziarli. Li ho incontrati tra il 2012 e il 2019 per scrivere questo libro e ho scoperto, nei racconti complicati delle loro vite, la mia vita e i dettagli della Vita.”

Mi ha colpita l'idea che la figura di Omar Galliani, che ho incontrato e intervistato qualche giorno fa alla Galleria Tornabuoni di Firenze, emerga da una corrispondenza. Oggi è un genere desueto che fino a metà del Novecento invece ha rivelato molti aspetti degli artisti. Ci racconta com'è nato questo capitolo?

“È avvenuto tutto per caso: ci siamo sentiti per telefono varie volte senza riuscire incontrarci; Galliani era impegnato in una mostra a Londra finché a una mia email, alla quale avevo allegato un elenco di possibili domande solo al fine di programmare al meglio l’incontro nel suo studio a Montecchio Emilia, l’artista ha risposto in modo talmente chiaro e puntuale da indurmi a pubblicare tutto, senza più chiedergli d’incontrarci.”

 

a cura di Ilaria Guidantoni

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