Tempi duri per gli operatori italiani di private equity e venture capital più piccoli. Ora che anche le disposizioni di normativa regolamentare relative alla direttiva Ue AIFM (sui gestori di fondi di investimento alternativi, i cosiddetti FIA) sono state varate da Banca d’Italia, Consob e Ministero dell’Economia e delle Finanze, infatti, è chiaro che, da un lato, le investment company dovranno cambiare pelle e si troveranno all’improvviso a far pagare più tasse ai propri investitori e che dall’altro lato le sgr più piccole si troveranno ad avere un problema ad andare all’estero a fare raccolta di capitali, se non avranno deciso di adeguarsi volontariamente al regime obbligatorio per le sgr più grandi.
Sono questi i concetti chiave emersi dal webinar organizzato nei giorni scorsi da BeBeez sugli effetti della direttiva AIFM, al quale hanno partecipato Fabio Brunelli, dello studio tributario Di Tanno e Associati, ed Enzo Schiavello dello studio legale Legance (la registrazione è visibile qui (ma anche su Youtube e su Google+).
Ricordiamo che In Europa i fondi di investimento possono essere ricondotti a due macrocategorie: i fondi armonizzati ai sensi della Direttiva Ucits e i fondi non armonizzati (non Ucits). Mentre i primi rispettano le regole definite dalla Direttiva 2009/65/CE, la caratteristica comune dei fondi non armonizzati (i FIA) è la non conformità a questa direttiva. Per il resto i FIA rappresentano un insieme molto disomogeneo, composto hedge fund, fondi di private equity e venture capital, fondi di private debt, fondi immobiliari, fondi infrastrutturali e commodity fund.
Nel 2011 è stata adottata quindi la Direttiva 2011/61/Ue sui gestori dei fondi di investimento alternativi (AIFMD) per stabilire un quadro regolamentare e di vigilanza armonizzato, utile a definire un approccio uniforme ai rischi connessi all’operatività dei FIA e al loro impatto sugli investitori e sui mercati nell’Unione. Di fatto, sono state create le condizioni per un passaporto europeo in forza del quale i gestori di FIA potranno gestire e commercializzare FIA nei confronti di investitori professionali in tutta l’Unione europea, qualora si conformino alle regole e ai requisiti previsti dalla Direttiva AIFM, e abbiano ottenuto l’autorizzazione da parte dell’autorità competente del proprio Stato membro di origine.
Il tema è particolarmente caldo in Italia in questi giorni, perché, se è vero che è stato emanato ormai poco più di un anno fa il Decreto Legislativo n.44/2014 che modificava il Testo Unico della Finanza per adeguarlo alla direttiva AIFM, la modifica era consistita soltanto nella trasposizione delle disposizioni di applicazione generale contenute nella direttiva stessa, demandando, ove possibile, alla regolamentazione secondaria della Banca d’Italia e della Consob la disciplina di dettaglio degli aspetti tecnici delle materie oggetto di vigilanza da parte delle Autorità. Regolamentazione secondaria che è stata resa nota nei testi definitivi soltanto lo scorso gennaio (si veda altro articolo di BeBeez).
Nel frattempo la disciplina relativa alla definizione della struttura dei fondi comuni di investimento contenuta nel vecchio art. 37 del TUF è stata quindi oggetto di modifiche ed è stata trasposta nel nuovo art. 39 del TUF. Al riguardo, il MEF ha poi condotto una consultazione pubblica sullo schema di regolamento attuativo dell’art. 39, concernente la determinazione dei criteri generali cui devono uniformarsi gli organismi di investimento collettivo del risparmio italiani, all’esito della quale sarebbe stata definita la cornice all’interno della quale si sarebbero iscritti i regolamenti di competenza della Banca d’Italia e della Consob. I regolamenti in questione sono poi stati pubblicati sui siti web di queste Autorità prima del regolamento attuativo del MEF, che ancora non si è visto.
Ciò detto, veniamo ai dubbi che le nuove norme hanno sollevato tra gli addetti ai lavori e che sono stati ben identificati nel corso del webinar di BeBeez.
Innanzitutto c’è il tema delle investment company. Brunelli ha chiarito che “sebbene le norme contenute nella direttiva AIM siano di tipo regolamentare, la loro applicazione comporterà delle conseguenze importanti sul fronte fiscale”. E questo perché, “le investment company si dovranno trasformare in SICAF, cioè soggetti vigilati, e in quanto tale dovranno sottostare al regime fiscale previsto per gli Oicr, che prevede l’esenzione in capo al fondo, una ritenuta sui proventi distribuiti, ed una tassazione del 27,5% in capo agli investitori italiani corporate. Per questa categoria di investitori si tratta di un incremento pesante, se si pensa che sinora le investment company hanno beneficiato del regime della participation exemption, che prevede per i dividendi e le plusvalenze relative ad azioni o quote di partecipazioni in società o enti l’esclusione dal reddito imponibile per il 95% del loro ammontare, con la conseguenza che su quei redditi l’investment company paga solo l’1,375% di imposte (appunto l’aliquota Ires del 27,5% sul 5% imponibile) e con l’investitore italiano corporate che a sua volta paga un altro 1,375% sui dividendi ricevuti. La sostituzione della participation exemption con un prelievo pieno del 27,5% rappresenta quindi per questa tipologia di investitori un aggravio particolarmente significativo e del tutto imprevisto”.
Detto questo, al momento di alternative non se ne vedono. Se un’investment company italiana vuole investire, il regime fiscale è quello. “Un altro problema”, ha aggiunto Brunelli, “riguarda la tassazione delle plusvalenze maturate al momento della trasformazione. Nel momento in cui una investment company farà il passaggio a SICAF potranno emergere delle plusvalenze maturate sul portafoglio che, così come stanno le cose, andrebbero tassate come se gli asset in portafoglio fossero già stati ceduti e le plusvalenze incassate”.
“AIFI sta lavorando affinché il MEF intervenga su questi problemi, lasciando possibilmente invariato il regime fiscale della participation exemption per le investment company già costituite e applicando il regime degli OICR alle sole nuove investment company. E questo perché si potrebbero aprire scenari drammatici, con investitori che potrebbero chiedere il recesso dai veicoli di investimento nei quali avevano investito in precedenza, quando il quadro normativo era diverso. Questo potrebbe portare ad un rischio di liquidazione di alcuni veicoli”, ha prospettato Brunelli.
Infine, più in generale, le aziende corporate italiane che sinora hanno investito indirettamente tramite le investment company, a loro volta godendo della participation exemption, saranno scoraggiate a farlo col rischio che scompaia così un’intera categoria di investitori. Le aziende corporate infatti avranno un vantaggio a investire soltanto direttamente e non tramite gli OICR. A questo riguardo al fine di rafforzare il ruolo del risparmio gestito non sarebbe illogico domandarsi se sia il caso di estendere normativamente il regime della participation exemption anche ai soggetti italiani corporate che investono in OICR alternativi (fondi e investment company)” .
“In generale “, ha concludo Brunelli, “per le sgr italiane l’attuazione della direttiva non comporta particolari novità sotto il profilo fiscale, salvo un’apertura internazionale grazie al regime del “passaporto”. A oggi la raccolta di capitali esteri da investire in Italia può essere fatta in modo fiscalmente lineare e vantaggioso attraverso un fondo italiano, mentre l’impiego di veicoli esteri si presta a qualche rischio legato ai requisiti di territorialità della tassazione. Nell’ottica della direttiva e di un pieno funzionamento del regime del passaporto tali differenze dovranno venire meno anche per non incorrere in forme illegittime di discriminazione tra strumenti e operatori provenienti da paesi membri diversi”.
L’altro grande tema, si diceva, è quello delle sgr più piccole, cosiddette sotto soglia, cioé con asset in gestione al di sotto del limite dei 500 milioni nel caso di assenza di leva e di 100 milioni in presenza di leva, che non sono obbligate ad adeguarsi agli standard previsti dalla direttiva stessa. In questo caso, ha spiegato Schiavello, “i gestori sono esentati dalla disciplina della direttiva AIFM e per questi gestori la direttiva consente agli Stati membri di prevedere un regime di mera registrazione piuttosto che di autorizzazione (in realtà in Italia si è scelto di mantenere l’obbligo di autorizzazione)”.
Tuttavia, nel caso in cui le piccole sgr non decidano per l’adeguamento (cosiddetto “opt in”), che ha l’effetto di fornire ai gestori il passaporto europeo, avranno una grande difficoltà a fare quello che prima, in assenza della direttiva, potevano fare e cioé raccogliere capitali presso gli investitori nei vari Paesi Ue in base ai rispettivi regimi nazionali di collocamento privato. Parallelamente al recepimento della direttiva AIFM, infatti, molti legislatori nazionali hanno stretto le maglie di questi regimi o li hanno addirittura eliminati.
A proposito di sgr sotto soglia, ha spiegato ancora Schiavello, “questi gestori devono essere autorizzati dalla Banca d’Italia, pur beneficiando di un regime di vigilanza che prevede alcuni sconti rispetto a quello applicabile ai gestori di maggiori dimensioni o che hanno esercitato l’opt-in. Sono gestori sotto soglia anche i gestori di fondi EuVECA, ossia di Oicr destinati essenzialmente all’investimento in pmi europee nel rispetto di alcuni requisiti sulla composizione del portafoglio previsti dal Regolamento (UE) n. 345/2013“.
In base a questo Regolamento, direttamente applicabile in tutti i Paesi Ue, Schiavello ha precisato che “questi gestori, pur essendo sotto soglia, godono di un passaporto per la commercializzazione dei propri fondi EuVECA in ambito Ue nei confronti, non solo degli investitori professionali, ma anche di ogni altro soggetto disposto ad assumere un impegno di investimento pari ad almeno 100 mila euro. A tal fine, i gestori di fondi EuVECA devono rispettare alcune regole organizzative e operative previste dal Regolamento anzidetto, molto semplificate rispetto a quelle introdotte dalla AIFMD (ad esempio, non è necessaria la nomina di un depositario)”.
Ma, sottolinea Schiavello, “il fatto che in Italia sono soggetti ad autorizzazione anche i gestori sotto soglia, compresi quindi i gestori di fondi EuVECA, pone questi gestori in condizioni di evidente svantaggio competitivo rispetto alle loro controparti costituite in Paesi Ue in cui i gestori sotto soglia sono soggetti a un regime di mera registrazione: i gestori di fondi EuVECA di detti Paesi Ue godono infatti di condizioni di accesso al mercato, compreso quello italiano (in virtù del passaporto Ue), assai più semplici e veloci di quelle applicabili ai gestori di fondi EuVECA italiani”.
Qui di seguito, le risposte di Schiavello alle domande poste dagli ascoltatori nel corso del webinar.
1) Come si concilia la gestione collettiva con il fundraising rivolto a un ristretto numero di soggetti istituzionali?
“La circostanza che l’offerta di quote o azioni di Oicr sia rivolta solo a investitori istituzionali, o comunque a un ristretto numero di soggetti, non è un elemento determinante per escludere che l’iniziativa rientri nell’ambito della riserva di attività relativa alla gestione collettiva del risparmio. Il servizio in questione, infatti, presuppone che lo stesso sia esercitato nei confronti di una platea indeterminata di soggetti e tale requisito non è incompatibile, per sua natura, con il carattere istituzionale o il numero ristretto dei potenziali investitori. Diverso è il caso, ad esempio, degli schemi di investimento che nascono dall’iniziativa di un gruppo di futuri soci-investitori, che provvedono a costituire il veicolo societario attraverso il quale svolgere in comune l’attività di investimento convenuta, senza previsione di offerta delle relative azioni a terzi”.
2) Si ha gestione di un patrimonio anche in caso di commitment seguito da successive capital calls?
“L’assunzione di impegni finanziari richiamati dal gestore secondo le esigenze di investimento o di copertura dei costi dell’Oicr è un tratto caratterizzante dei FIA riservati. Questo elemento è quindi compatibile con la nozione di gestione collettiva del risparmio anche se, considerato isolatamente, non è sufficiente a dire se lo schema di investimento ricada o meno nell’ambito della riserva”.
3) Dall’estero come si investirebbe? La modalità tipica della società locale di advisory che fa consulenza al fondo estero che investe dal Lussemburgo è ancora ammessa ?
“Non mi è chiaro se la prima domanda ponga un tema di commercializzazione o di altra natura. Nel primo caso, la commercializzazione può avvenire secondo le regole previste per il passaporto UE, che come detto sono diverse per i GEFIA sopra soglia ovvero che hanno esercitato l’opt-in, da un lato, e per i gestori di fondi EuVECA, dall’altro. In ambito extra UE la commercializzazione presuppone una comunicazione alla Banca d’Italia e il rispetto delle disposizioni vigenti nell’ordinamento del paese ospitante. La possibilità, invece, per un gestore italiano, di fare affidamento su ipotesi di reverse enquiry rispetto a investitori esteri va valutata caso per caso, in considerazione delle regole che vigono nel paese dell’investitore interessato e delle circostanze di fatto-
Quanto alla seconda domanda, l’AIFMD non preclude ai GEFIA (in ipotesi lussemburghesi) di valersi della consulenza di società locali di advisory per investimenti in altri paesi. Regole particolari vigono invece per la delega di gestione”.
4) Un bando di gara italiano mirato alla selezione di soggetti al fine di gestire di FIA italiani riservati, che preveda che i soggetti abilitati siano GEFIA Ue e sgr, include tra le sgr anche quelle sottosoglia? E se si presentasse un problema di concorrenza (visto che verrebbero escluse le sgr sottosoglia di altri Paesi)?
“La risposta alla prima domanda va data sulla base delle regole del bando, che non conosco. A buon senso direi che, in assenza di esclusioni specifiche, possano partecipare anche le sgr sotto soglia. Non mi è chiaro che tipo di problema di concorrenza potrebbe porsi, visto che i gestori Ue sotto soglia che non esercitano l’opt-in non potrebbero valersi del passaporto per gestire fondi in Italia.
5) Il regime offerto dal regolamento EuVECA riguarda solo la commercializzazione e non invece la gestione?
“Il regolamento EuVECA detta regole di favore per la commercializzazione di questi fondi in ambito Ue sul presupposto che il gestore rispetti talune regole organizzative e operative nella gestione degli stessi”.
6) Possono le sgr sottosoglia di rilevanza gestire un FIA in un altro paese Ue al di fuori della Direttiva AIFMD (quindi non optando per l’opt-in)?
“Le norme italiane non precludono alle sgr la prestazione in altri Paesi Ue di attività per le quali sono autorizzate in Italia (inclusa quindi la gestione di fondi). In assenza di passaporto, peraltro, tali attività sarebbero sottoposte alle disposizioni vigenti nel paese ospitante, che potrebbe anche vietarle. La verifica va dunque effettuata caso per caso, con riferimento ai singoli Paesi Ue interessati”.