Tra il 2016 e il 2021 startup e scaleup di matrice italiana, cioé con sede in Italia oppure all’estero, ma con founder italiani, hanno raccolto oltre 5,1 miliardi di euro di cui circa 2,9 miliardi raccolti da aziende italiane con sede in Italia e 2,2 miliardi da aziende con sede all’estero, ma fondate da italiani. Lo ha calcolato BeBeez nella sesta edizione del Report sul venture capital prodotto per P101 (si veda qui il comunicato stampa e qui i report precedenti).
Il report evidenzia anche che nel solo 2021, invece, l’importo complessivo raccolto da startup e scale up a matrice italiana è stato di 2,9 miliardi per 534 operazioni suddivise in 341 round di venture capital veri e propri, 171 campagne di equity crowdfunding e 23 round raccolti da veicoli di investimento diversi (si vedano qui il Report Venture Capital 2021 di BeBeez e qui il Report Venture Capital Q1 2022 di BeBeez (disponibile agli abbonati di BeBeez News Premium e BeBeez Private Data). Il totale era stato di 780 milioni per 306 operazioni lo scorso anno e 605 milioni nel 2019 distribuiti su 244 operazioni.
Si tratta di una accelerazione che non dà segno di rischiare battute d’arresto dal momento che i primi mesi del 2022 sono iniziati con una raccolta record: Scalapay, scale up con sede in Italia, specialista nel buy-now-pay-later, che ha incassato un round da 497 milioni di dollari in febbraio (si veda qui altro articolo di BeBeez) e che poi a inizio maggio ha visto l’ulteriore coinvolgimento di Poste Italiane, che ha sottoscritto un ulteriore tranche del round per 27 milioni di dollari (si veda altro articolo di BeBeez).
A parte il salto quantico nel valore della raccolta catalizzata dalle startup e scaleup nel 2021, il report BeBeez-P101 sottolinea il fatto che gran parte dei quasi 3 miliardi raccolti 2021 è andata a sole 20 società che hanno incassato un totale di 2,05 miliardi di euro. Un buon numero di queste scaleup sono società fondate da italiani che hanno creato all’estero, in particolare USA o UK, startup dal modello di business globale più facilmente sviluppabile fuori Italia.
La scaleup al top della classifica ne è l’esempio più evidente: Sysdig è una società informatica di San Francisco (California) fondata dall’italiano Loris Degioanni, che nell’aprile 2021 ha chiuso un round di serie F da 188 milioni di dollari, al quale ne è seguito un altro di Serie G da 350 milioni di dollari a metà dicembre. Doppia raccolta nell’anno anche per ScalaPay, come già detto specializzata in soluzione di pagamento Buy Now Pay Later, fondata da Simone Mancini e Johnny Mitrevski, affiancati da Raffaele Terrone, Mirco Mattevi e Daniele Tessari, che ha chiuso un round da 48 milioni di dollari a gennaio e poi un nuovo round da 155 milioni di dollari a settembre. Infine al terzo posto, c’è TrueLayer, scaleup con sede in Regno Unito, fondata dagli italiani Francesco Simoneschi e Luca Martinetti e specializzata nello sviluppo di APIs (Application Programming Interfaces), anch’essa con due round chiusi nell’anno, di cui uno in aprile da 70 milioni di dollari e l’altro in settembre da 130 milioni.
È una storia che si ripete: il concentrarsi della maggior parte della raccolta dell’anno su un numero ristretto di società lo si registra anche ampliando l’ottica agli ultimi 6 anni. Se si considera il periodo 2016-2021 sono state 40 le scaleup che hanno realizzato la raccolta più importante: 3,7 dei 5,1 miliardi complessivi andate a tutte le startup e scaleup mappate. Di queste 40 scaleup, 16 fondate da italiani all’estero sono state quelle che hanno raccolto la fetta maggiore degli investimenti: 2,4 miliardi.
Al di là dei grandi round, nel corso del 2021 sono stati 173 gli investimenti di dimensioni comprese tra uno e 20 milioni: un buon numero dei quali raccolti con campagne di equity crowdfunding. In totale, secondo i dati di CrowdfundingBuzz (edito da EdiBeez srl, come BeBeez), lo scorso anno le piattaforme hanno raccolto 171,9 milioni di euro di capitali, in netto aumento dai 103 milioni di euro del 2020 e ancora di più rispetto ai 65 milioni del 2019. Di questi 173 milioni, 42 milioni sono stati i capitali raccolti dalle piattaforme specializzate nel finanziamento di progetti di real estate (23), contro i 29,3 milioni del 2020 per 19 progetti. Al netto del real estate, dunque, le piattaforme hanno raccolto nel 2021 circa 130 milioni di euro distribuiti tra startup, pmi e veicoli di investimento, con ben 29 campagne che da uno o più milioni di euro per un totale di oltre 50 milioni di raccolta.
Nel corso del 2021 è inoltre emerso un altro trend: una serie di fondi (oicr) e di altri veicoli di investimento dedicati a investimenti di venture capital o private equity hanno condotto la loro raccolta utilizzando piattaforme di equity crowdfunding e chiesto quindi capitali a investitori privati retail. Più nello specifico nel 2021 sono stati 21 e hanno raccolto circa 40 milioni. Se si aggiunge a questo il fatto che dal 30 marzo 2022 è entrato in vigore il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha portato a 100 mila euro la soglia minima di investimento nei fondi di investimento alternativi riservati, rispetto ai 500 mila precedenti, sembra essere in corso un’apertura verso una maggiore accessibilità dell’asset class.
Ad aprire per primo il venture capital alla categoria degli investitori retail è stato il gruppo Azimut nel 2019, lanciando il progetto Azimut Libera Impresa, con l’obiettivo di raccogliere 10 miliardi di euro di masse da investire in private asset nel giro di 5 anni, anche attraverso veicoli aperti al retail con ticket di ingresso di 5 mila euro. È nell’ambito di questo progetto che è stato lanciato il fondo di venture capital ITA500, gestito in delega da P101 sgr, con una dotazione di 40 milioni.
In sostanza nel corso dell’ultimo anno c’è stata una accelerazione verso una democratizzazione dell’investimento in venture capital (analogo trend anche nel private equity e private debt). Sono cresciuti e diventati sempre più numerosi, infatti, i veicoli di investimento e i fondi aperti agli investitori privati retail: allargando la platea finora aperta ai soli investitori istituzionali, family office o High Net Worth Individual (HNWI).
Il 2021 è stato in generale l’anno in cui numero e una varietà crescente di investitori sono entrati in questo mercato: accanto ai fondi specializzati, strutturati da sgr, anche holding di investimento, corporate (più o meno dotate di strutture di corporate venture capital), business angel, crowd delle piattaforme di equity crowdfunding, incubatori e acceleratori hanno preso parte attiva nel mercato del venture.
D’altra parte, secondo l’ultima analisi messa a disposizione da Preqin (società specializzata in analisi di dati finanziari e informazioni sul mercato degli asset alternativi), a livello globale la strategia di venture capital è quella che per l’undicesimo anno consecutivo si è dimostrata avere la performance più alta tra tutte quelle di private capital. A tre anni, i fondi vintage 2017 nel 2020 avevano generato un Irr mediano netto del 18%, mentre a fine 2021 i fondi vintage 2018 nello stesso periodo di tre anni erano arrivati a un Irr netto mediano del 25,3%, ben al di sopra del 24,4% segnato dai fondi di fondi e al di sopra del 23,2% dei fondi bouyout, rispettivamente secondi e terzi nelle classifiche.
Detto questo, l’anno appena passato non è riuscito invece a segnare il passaggio del corporate venture capital a una fase matura: si è assistito a un timido sviluppo ma, nella maggior parte dei casi, al di fuori di una logica strutturata: le aziende stanno via via investendo di più in startup/ scaleup ma sono pochi i casi in cui questo avviene attraverso specifici veicoli, o divisioni aziendali, deputate all’open innovation all’interno dell’azienda.
Infine, sempre nel 2021 si è accentuato il processo di internazionalizzazione del mercato, in ambo le direzioni: startup e scaleup italiane (inteso anche come fondate da italiani con sede all’estero) crescono di dimensioni e attraggono investitori internazionali. Allo stesso tempo i venture capital domestici crescono di dimensioni e investono in modo più sistematico anche su aziende fuori dai confini italiani.
“Il mercato dell’innovazione inizia ad esprimere, a livello domestico e all’interno del sistema a matrice italiana, dimensioni e track record inimmaginabili una decina di anni fa”, ha commentato Andrea di Camillo, founder e managing partner di P101 sgr, che ha aggiunto: “A colpire è la dimensione sempre più crossborder con cui il sistema dell’innovazione del nostro Paese si sta misurando. Ritengo che la dimensione, finora limitata, dei fondi a disposizione sia stata tra gli ingredienti chiave: in grado di dar vita e sviluppare società che grazie a economics corretti e business model sani si stanno facendo apprezzare da investitori internazionali. Un sistema in grado anche di esprimere investitori attenti e capaci di accompagnare e guidare la crescita delle società oltre che di sostenerle economicamente. Ho sempre considerato impropria la distinzione tra VC italiani e internazionali: l’innovazione è crossborder per definizione”.