“A breve annunceremo una serie di operazioni con altre banche, oltre a Unicredit e Intesa Sanpaolo , a dimostrazione del fatto che siamo in grado di trovare un’intesa anche con istituti di taglia minore”, ha anticipato a MF Milano Finanza (in edicola da sabato 5 marzo) John Davison, a capo di Pillarstone Italy, oltre che ceo e coinvestitore di Pillarstone Europe. E Davison si riferisce ad altre operazioni oltre a quelle già note in arrivo, come l’operazione su Sirti (si veda altro articolo di BeBeez) o quella sulla compagna armatoriale quotata a Piazza Affari, Premuda (si veda altro articolo di BeBeez).
Sembra quindi che Pillarstone Italy, il veicolo di turnaround dedicato al mercato tricolore e capitalizzato appunto dal colosso statunitense del private equity Kkr, dopo un lungo periodo di incubazione sia riuscito a trovare l’approccio giusto nelle trattative con le banche italiane per comprare i crediti di aziende in difficoltà. Intanto, al momento la posizione dell’amministratore delegato di Pillarstone Italy, Andrea Giovanelli, non è ancora stata definita ufficialmente (si veda altro articolo di BeBeez).
Davison ha un passato alla guida della struttura che in Royal Bank of Scotland ha messo mano al monte di crediti deteriorati nei confronti di aziende che sulla carta valeva almeno 100 miliardi di sterline, ma che a seguito della crisi del 2008-2009 si era trasformato quasi in carta straccia. Negli anni precedenti infatti Rbs era stata una delle banche europee più attive sul fronte del finanziamento delle operazioni di leveraged buyout e quindi era rimasta coinvolta in un numero molto elevato di default. In quel portafoglio si trovavano crediti di gruppi del calibro di Ferretti, Samsonite o Endemol. “Molte di quelle aziende le abbiamo salvate, mentre in altri casi, rappresentati perlopiù da imprese di minori dimensioni, non ci siamo riusciti, ma ci abbiamo provato”, ha ricordato Davison. “L’approccio era il seguente: prendevamo il controllo delle società trasformando il credito in equity, cercavamo di ristrutturarle e rilanciarle per rientrare dell’esposizione. Quando sono uscito da Rbs il monte dei crediti deteriorati si era ridotto a soli 4 miliardi di sterline”.
Si tratta del classico approccio anglosassone, che però è diverso da quello che si può adottare in Italia. “Qui le banche tendono a evitare una partecipazione diretta nelle aziende, soprattutto in quelle che vanno male, e quindi è difficile che una banca decida di occuparsi direttamente della ristrutturazione delle imprese-clienti in crisi”, ha fatto presente Gaudenzio Bonaldo Gregori, partner di Pillarstone Italy.
“Piuttosto, la banca interviene nelle fasi precedenti, con una rinegoziazione delle condizioni, ma poi cerca altre strade rispetto alla conversione del debito in equity o all’immissione di nuova finanza. Allo stesso tempo le banche italiane non vogliono cristallizzare in bilancio perdite ingenti ed è per questo che un accordo con veicoli tipo Pillarstone potrebbe rappresentare la quadratura del cerchio”. Peraltro, ha aggiunto Bonaldo Gregori, «gli stessi imprenditori sembrano accogliere molto bene il nostro ingresso in campo. Mi è capitato di recente che un imprenditore ci portasse a incontrare i propri fornitori per rassicurarli del fatto che ora le cose sono cambiate e che l’azienda ha davanti una prospettiva di crescita”.
Resta il fatto che ovviamente le banche e Pillarstone devono prima di tutto trovare un’intesa sul valore dei crediti deteriorati in ballo. “Per ogni azienda debitrice dobbiamo accordarci con tutte le banche creditrici sul prezzo a cui acquisire i crediti comuni”, ha aggiunto Davison. “E non è un compito semplice; basti pensare che per trovare un’intesa con due banche su sei crediti ci abbiamo messo ben un anno e mezzo. Ma adesso la macchina è partita, la struttura è testata e quindi confido nel fatto che d’ora in poi si possa lavorare a ritmo più spedito. Peraltro l’Italia sta facendo da apripista per il resto della struttura Pillarstone Europe, tant’è che sono ormai pronte a partire Pillarstone Greece e Pillarstone Germany. E non finirà qui, perché ci sono altri tre Paesi in cui stiamo per avviare l’attività”.
La struttura studiata da Pillarstone non prevede la cosiddetta derecognition dei crediti per i bilanci delle banche, perché gli istituti finanziatori si riportano a casa, a fronte di ciascuna cessione di un credito, un titolo cartolarizzato relativo a quello stesso credito corporate, ma meno rischioso dell’esposizione originaria in quanto nel frattempo l’azienda debitrice è stata ricapitalizzata da Pillarstone. “In questo modo la banca riesce a limitare la svalutazione di quei crediti sui propri libri e in ogni caso una struttura simile permette di essere flessibili in ottica di apertura della piattaforma ad altre banche e ad altri crediti”, ha concluso Davison.