I minibond sono stati celebrati come strumento alternativo al credito bancario a disposizione delle imprese per finanziare lo sviluppo, ma uno studio condotto da CSE-Crescendo, boutique milanese di consulenza strategica, dimostra che le 15 piccole e medie imprese che alla data di metà dello scorso febbraio avevano emesso minibond (considerati tali per valori massimi di 25 milioni per emissione) e li hanno quotati sul mercato ExtraMot Pro di Borsa Italiana, nella realtà il progetto di sviluppo non l’hanno mai raccontato agli investitori. Lo studio (clicca qui per l’intero rapporto e qui per il post sul gruppo Linkedin di BeBeez) è stato condotto analizzando gli unici documenti pubblici relativi a questo tipo di operazioni e cioé il “Documento di Ammissione” richiesto da Borsa Italiana (l’elenco dei link dai quali scaricare i 15 documenti è in appendice in fondo al rapporto di CSE-Crescendo).
Ebbene, commenta Luciano Martinoli partner di CSE-Crescendo e uno degli autori della ricerca (si veda il commento pubblicato sul blog di Crescendo), che nei documenti a disposizione degli investitori, “della cultura della progettazione strategica (quella che si occupa della descrizione dello sviluppo delle imprese) non vi è traccia. O meglio, in genere si intende per essa una descrizione burocratica di un soggetto statico, l’azienda, e i pericoli (Rischi) che corre (manco tutti) nel mare burrascoso del mondo di oggi (concorrenti, congiuntura, mercato, contenziosi, ecc.). Ironicamente questi rischi dipendono proprio dalla mancanza di un progetto: il vero rischio principale, non citato, è la sua assenza”. E continua Martinoli: “Non esiste non solo un progetto, ma nemmeno una pallida immagine, della futura identità strategica (e i flussi di cassa che abiliterà a generare), che pure le risorse raccolte dovrebbero servire a realizzare. Ma non esiste neanche la ben più prosaica descrizione della restituzione del debito contratto e del pagamento dei relativi interessi”.
Il parametro di riferimento adottato da Crescendo per valutare quanto le recenti emissioni promettono di generare lo sviluppo delle imprese che le hanno emesse è la generazione futura di cassa. Più precisamente Crescendo si è chiesta se e di quanto aumenterà la capacità di generare cassa delle imprese che hanno emesso minibond grazie proprio alle risorse che queste emissioni hanno fatto entrare nelle casse delle imprese.
Per cercare di capire quale sarà la capacità futura dell’impresa che ha emesso i minibond è necessario consultare e poi valutare il business plan della società emittente. Lì si dovrebbero trovare scritte le previsioni della società sull’andamento futuro della sua capacità di generare cassa. Ma dall’analisi dei documenti a disposizione del pubblico (richiesti dalla normativa o suggeriti da Borsa Italiana) emerge che il business plan non c’è. Certamente viene richiesto e utilizzato dalle società di rating. Ma allo stakeholder è accessibile sono il rating (qualora pubblico), ma non il business plan che contiene le previsioni sulla capacità di generare cassa nel futuro dell’impresa emittente a seguito del denaro raccolto con l’emissione.
Nella documentazione pubblicamente disponibile esiste, però, una analisi dei rischi, che a quel punto Crescendo ha deciso di utilizzare per cercare di rispondere, sia pure indirettamente e indiziariamente, a quelle che sono le domande fondamentali e ineludibili che regionevolmente dovrebbero porsi le imprese emittenti, le istituzioni che sottoscrivono, gli organi di controllo e gli enti che gestiscono il mercato. E cioé: le risorse che affluiscono alle imprese saranno usate per fare aumentare la loro capacità di cassa? Quanto è probabile che questo accada?
Uno sguardo d’insieme alla tabella riassuntiva più sopra pubblicata, rivela che la documentazione disponibile agli stakeholder racconta di imprese che sanno descrivere decentemente quello che fanno (il punteggio medio 2,4 su un massimo di 5, alla definizione del business), indicano quali sono le azioni che vogliono mettere in atto (il punteggio medio di 2,4 al piano di azione), ma non danno alcuna indicazione su ambiente, qualità del business in cui operano, impegno verso il futuro. Non sono disponibili neanche previsioni quantitative sull’impatto che l’afflusso di risorse che accedono alle imprese avranno sulla generazione di economics.
Il rapporto si conclude con una domanda provocatoria, ma alquanto legittima: “è possibile che un qualsiasi sviluppo, in assenza di una traccia di progetto, possa accadere come dono di un fato benigno, una volta identificati gli eventi negativi che potrebbero impedirlo?”.
Certo, si potrebbe obiettare agli autori della ricerca, è possibile che gli emittenti in questione abbiano in realtà poi stilato un business plan, che hanno consegnato, olte che alle agenzie di rating, anche agli investitori istituzionali che hanno sottoscritto i loro minibond, visto che i titoli sono sì quotati, ma che si tratta per il momento di una formalità, perché le trattative preliminari vengono condotte fuori mercato tra le due controparti. Ma se l’obiettivo prospettico delle istiituzioini è quello di creare un mercato secondario efficiente e l’obiettivo delle imprese è quello un domani di ampliare la platea degli investitori, allora il fatto di pubblicare un business plan dovrebbe diventare una prassi.