Riguarderà al massimo una ventina di casi aziendali per un valore complessivo nominale lordo di crediti incagliati e ristrutturati (quindi non in sofferenza) e di strumenti partecipativi di circa 2 miliardi di euro. Questo il succo del progetto di quasi-bad bank allo studio di Intesa Sanpaolo e Unicredit con il supporto di Alvarez & Marsal (A&M), specializzata in ristrutturazioni aziendali, e di KKR, il colosso del private equity Usa focalizzato sui turnaround. Lo scrive oggi MF-Milano Finanza, precisando che sono queste le caratteristiche del portafoglio sul quale stanno lavorando Intesa e Unicredit, che per la prima volta ieri, assieme agli altri due partner del progetto, sono uscite ufficialmente allo scoperto con un comunicato congiunto e molto stringato (scarica qui il comunicato), confermando le indiscrezioni che circolano da un paio di mesi sul mercato (si veda altro articolo di BeBeez).
La nota annuncia la firma da parte dei quattro interessati di un «memorandum of understanding» per sviluppare e realizzare insieme «una soluzione innovativa finalizzata a ottimizzare le performance e massimizzare il valore di un selezionato portafoglio di crediti in ristrutturazione attraverso la gestione attiva degli asset e l’apporto di nuove risorse finanziare». La notizia del fatto che ieri le due banche, KKR e A&M sarebbero usciti con un comunicato ufficiale era stata intercettata nella serata di lunedì 21 aprile dal Financial Times, che sottolineava il fatto si tratta di un raro esempio di banche europee che fanno fronte comune con alcuni dei tanti private equity e hedge fund in cerca di opportunità per accaparrarsi asset messi in vendita dagli istituti di credito.
Più nel dettaglio, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, le due banche stanno identificando nel loro portafoglio crediti un numero selezionato di esposizioni comuni verso società industriali e di servizi (non sono coinvolti quindi crediti verso il settore real estate o verso holding finanziarie) e classificate tra i crediti incagliati e ristrutturati, che messe insieme raggiungano una dimensione dell’esposizione tale da poter incidere sulla governance delle società debitrici e quindi da imporre adeguate strategie di ristrutturazione industriale, supportate da nuova finanza.
A operare il turnaround saranno Kkr e Alvarez & Marsal (supportati sul fronte legale da Paul Hastings), tramite una newco che verrà capitalizzata da entrambi per un valore complessivo inferiore a 500 milioni, ma con un intervento molto più corposo da parte del fondo di private equity (la proporzione potrebbe essere 90/10). Al capitale della newco potrebbero partecipare anche le due banche (ma sul punto le parti stanno ancora trattando).
Sia Intesa sia Unicredit cederanno alla newco le proprie posizioni (costituite da crediti senior, crediti junior ed eventuali strumenti partecipativi del capitale) e otterrà in cambio due titoli rappresentatitivi di quelle posizioni (una per i crediti senior e una per i crediti junior) più una piccola parte di cash.
La newco subentrerà quindi alle banche nel ruolo di creditore nei confronti di ogni società e si occuperà di attuare un adeguato piano industriale di ristrutturazione e sviluppo, che richiederà l’impiego di nuove risorse finanziarie e manageriali (queste ultime anche di diretta emanazione di Kkr e Alvarez & Marsal).
Non si tratterà quindi di una cartolarizzazione di un portafoglio ristretto di crediti, perché le note emesse dalla newco saranno tutte direttamente riconducibili a ogni singola esposizione e a ogni singola banca. Tale soluzione permetterà in futuro di inserire nel portafoglio gestito altre esposizioni vantate dalle due banche verso altre società ed esposizioni vantate da altre banche nei confronti delle società già presenti nel portafoglio crediti apportato alla newco inprima battuta da Intesa e Unicredit. Inoltre i crediti non usciranno dai bilanci delle banche, ma, essendo incorporati nelle note emesse dalla newco, che a sua volta inietterà nuova finanza nelle società a valle, avranno un merito di credito migliore. Tutta la struttura potrebbe essere operativa dopo l’estate.
Entrambe le banche italiane, in occasione della presentazione dei loro conti 2013 e dei piani industriali per i prossimi anni, avevano messo nero su bianco la volontà di isolare nei propri libri contabili i crediti deteriorati. Unicredit lo scorso marzo ha precisato (scarica qui il comunicato) che “il Piano strategico 2013-18 prevede un reporting distinto del portafoglio non core italiano, che si programma di ridurre del 63% entro il 2018. Il Portafoglio non core comprende circa 87 miliardi di euro di crediti lordi, comprendente sia crediti in bonis (33%) sia crediti deteriorati (67%) dei quali più dell’80% originato prima del 2009. UniCredit è la prima banca italiana a istituire e rendere pienamente operativo un portafoglio segregato e ad assicurare una totale trasparenza sul processo di riduzione con cadenza trimestrale”. Quanto a Intesa Sanpaolo, uno dei pilastri del Piano d’impresa 2014-2017 (scarica qui il comunicato) è la costituzione di una “Capital Light Bank, Business Unit” per la riduzione delle attività non-core, che gestirà “un portafoglio chiuso per un totale di circa 46 miliardi di euro di valore lordo a fine 2013 (soprattutto crediti, ma anche qualche partecipazione azionaria, ndr), in riduzione del 50% a circa 23 miliardi entro il 2017”.