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Il progetto a quattro mani tra il Centro Matteucci e i Marchesi Antinori: la famiglia e la città, dai Macchiaioli alla modernità
La famiglia, l’amore per la città di Firenze, l’eredità dei Macchiaioli, la versione italiana dell’Impressionismo francese, l’arte raffinata e salottiera come il naturalismo di Zola nel canto del cigno di Telemaco Signorini, che alla fine della sua vita trovava la poesia nelle cose umili, sono i temi di una mostra ricca e raffinata a Palazzo Antinori, in programma dal 19 Settembre al 10 Novembre 2019 (visitabile dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18), frutto della collaborazione tra il Centro Matteucci di Viareggio e i Marchesi Antinori.
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L’occasione dell’esposizione, con il progetto e la curatela di Elisabetta Matteucci e Silvio Balloni – realizzata con il contributo di Same Deutz-Fahr Italia Spa, Intesa San Paolo, media partner Radio Monte Carlo – è stata la scoperta del carteggio inedito tra Telemaco Signorini, il padre Giovanni e il fratello minore Paolo, che ha riaperto i giochi dopo la mostra a Palazzo Zabarella a Padova del 2009. Il tratto di marcata “fiorentinità” che caratterizza la mostra, unito all’indubbio spessore storico-critico, è tra le ragioni che hanno spinto la famiglia Antinori a realizzare il progetto con l’Istituto Matteucci che per la prima volta ospita in casa propria un’esposizione. Come ha sottolineato accogliendo la stampa Chiara Antinori il tema della famiglia, la Firenze dell’Ottocento e l’attenzione per la campagna che sono passioni condivise e caratteristica, quest’ultima della nobiltà fiorentina, sono stati elementi che hanno favorito la scelta; in particolare il ritrovamento di un carteggio con Egisto Fabbri, artista a sua volta, dimenticato, il primo ad aver scoperto il talento di Cézanne e amico della bisnonna di casa Antinori.
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La sede di Palazzo Antinori è pertanto particolarmente apprezzata e, al di là della consonanza storica e culturale, rappresenta una cornice estetica straordinaria per l’ambientazione. Per la prima volta con la mostra promossa dal Centro Matteucci affianca le opere di quella che, nel clima culturalmente fecondo di menti brillanti come Giovan Pietro Vieusseux, Pietro Giordani e Niccolò Tommaseo, Diego Martelli e Carlo Lorenzini, si è imposta come una vera e propria dinastia pittorica. Una mostra importante quindi anche sotto il profilo storico che ben si sposa con la filosofia del Centro Matteucci. Grazie all’intuizione di Giuliano Matteucci nacque una quarantina d’anni fa un archivio dell’arte tra Ottocento e Novecento, punto di riferimento per appassionati, studiosi e addetti ai lavori, con oltre 250 mila schede, diecimila artisti, senza considerare la collezione di autografi.
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Lo spunto per accendere un focus su Giovanni Signorini (1808-1864), soprannominato per le qualità di vedutista prediletto da Leopoldo II di Lorena “il Canaletto fiorentino”, e sul figlio Telemaco, dando conto del ruolo determinante di Firenze, città gioiello, nel definirsi delle rispettive personalità, è stato, come accennato, il fortunato recupero di un importante carteggio Il figlio Egisto, maggiore di tre anni di Telemaco, al quale il padre pensava di destinare l’eredità dell’attività pittorica, morì purtroppo a soli 17 anni, facendo sì che fosse il secondogenito a raccogliere il testimone del padre, con una parabola personale e artistica articolata che disegna ad un tempo non solo la biografia di un artista significativo, quanto l’evoluzione di una città, di una mentalità, della cultura artistica, a partire dall’evoluzione della pittura di paesaggio in Toscana, dalla raffigurazione tardo romantica, secondo i modelli di Claude Lorrain e Nicolas Poussin, alla moderna estetica figurativa del periodo di maggior combustione della macchia, di cui Telemaco appunto è stato tra gli sperimentatori più audaci, promuovendone un’inedita interpretazione, anticipatrice dell’aggiornamento della cultura figurativa del XIX secolo.
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La rassegna, articolata in otto sezioni con oltre sessanta dipinti – provenienti da prestigiose collezioni private e dalla Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti – tra i più celebri dei due Signorini affiancati da attenti confronti, fanno rivivere una delle stagioni più fertili della cultura toscana, che tanto ha contribuito a conferire a Firenze quell’“immagine ideale” di città europea.
Il viaggio comincia dalle origini familiari, una famiglia di artisti, con la sessione dedicata a I ritratti dove sono esposti due ritratti inediti di Telemaco degli anni Ottanta dell’ottocento quando già lo precedeva una fama internazionale. Aveva infatti preso il vezzo di vestirsi all’inglese e spesso era scambiato per tale, fatto sul quale amava giocare. La seconda sezione è dedicata a Firenze, allora considerata dalla comunità anglo-americana il Paradiso terrestre: è il periodo del Granducato illuminato e alle visioni con una luce analitica, tipica del nord e un impressionismo scientifico gradualmente si vanno sostituendo quelle con una luce struggente e malinconica che regala scorci indimenticabili di una città da sogno. Al primo periodo all’approccio più fotografico Telemaco antepone un intento politico propagandistico che documenta la vita della città e i suoi appuntamenti, in particolare le feste, come Berlingaccio in piazza Santa Croce, che vediamo con la vecchia facciata non ancora rivestita e i fuochi d’artificio per San Giovanni, patrono della città, sul Ponte alla Carraia.
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Un microcosmo fuori le mura racconta il vento della modernità dopo l’elezione a Capitale del Regno nel 1865 che trova la massima espressione nel quarto capitolo, Da città a Capitale. Interessante l’evoluzione di Telemaco Signorini, nell’attenzione a Il salotto: vita di società e anima mondana, unico tra i Macchiaioli a inserirsi nell’entourage Parigino dove fece un primo viaggio a 26 anni nel 1861. Lì visitò lo studio del pittore Corot che divenne fondamentale, segnando la fine della sperimentazione en plein air. E’ del 1867 il ritratto inedito di Maurizio Angeli, fondatore con Diego Martelli e lo stesso Signorini del Gazzettino delle Arti del Disegno, l’organo del naturalismo fiorentino. In questo periodo la sua pittura si fa più raffinata e la figura del Dandy emerge chiaramente.
La scoperta della luce, VI tappa della mostra, evidenzia la propensione alla sperimentazione di Signorini che introduce con regolarità il ‘cosiddetto specchio nero’ o Claude glass, in quanto adoperato per la prima volta da Claude Lorrain, per dare un’incisività particolare alla luce e ai colori. Le opere di questo periodo rivelano anche la sensibilità personale del pittore, al di là del suo lato mondano, ai cambiamenti della città, moderna, che il piano regolatore degli anni Ottanta trasformò con un programma di demolizioni quale una parte di Via dei Bardi. Lo stesso avvenne per il ghetto ebraico e per il mercato vecchio che Signorini con un occhio fotografico e meticoloso intende documentare per la memoria, come mostra il capitolo La città gioiello. E’ la Firenze moderna capitale, città internazionale dove la modernità incontra l’industrializzazione e
dove all’arte e al bello si uniscono gli affari, come illustrano anche le vedute di due suoi allievi, Ruggero Panerai e Luigi Gioli o il delizioso quadro di Antonio Puccinelli.
Un giro in carrozza sui colli ci permette una passeggiata in campagna, così fusa e intrecciata con il mondo della città nel caso di Firenze, che cattura l’attenzione dell’ultima produzione di Signorini. In questo periodo il pittore è attratto dai soggetti umili, come mostrano le opere dedicate a Settignano e sembra attuare la ricerca della poesia nelle cose semplici promossa da Émile Zola che, conosciuto a Parigi, incontrerà a Roma dov’è invitato dallo scrittore verista e amico Luigi Capuana.
Lasciamo la mostra guardando un’opera del 1890, Limite sull’Arno, un dipinto quasi bidimensionale, sfumato, delicato, pervaso da una sospensione, una sottile vena malinconica che sembra quasi un testamento dell’artista che si allontana dalla città tanto amata, dopo aver partecipato al fermento della vita e dei cambiamenti, quasi un omaggio a Claude Monet al quale doveva molto come scrisse lui stesso.
a cura di Ilaria Guidantoni