Se la passione muove il diritto verso la musica e il gusto, tra impresa e mondanità
Un’impresa dove la cultura sposa il piacere, questo potremmo dire dell’attività di Alessio Lini, un percorso di studi classici e la scelta di seguire la musica nella sua attività professionale di avvocato, così come di portare creatività non senza qualche sfida e azzardo nell’azienda di famiglia che produce vini.
Di sé scrive “Mi alleno ad oltranza, leggo da anni un libro a settimana, scrivo (tendenzialmente di emozioni), racconto e vendo il vino di famiglia LINI910, tutelo gli artisti, studio sempre, suono male il pianoforte, vivo rock’n roll e amo il cantautorato, sono mondano, sono solitario, sono certo che il grande amore esiste.
Leggo di tutto, ma filtro i vini con una maglia sottile e indulgente insieme. La letteratura diventa un dono che ha il colore del privilegio, ricevuto senza mio merito, da condividere con impegno mio. Sono avvocato, ma non troppo.”
Il personaggio si annuncia impegnativo quanto curioso e abbiamo deciso di cominciare dagli inizi, o meglio dagli studi.
Laureato in giurisprudenza, dopo due anni di praticantato ha fatto l’esame di Stato diventando avvocato dell’ordine forense di Reggio Emilia. “Il mio corso di studi è stato normalissimo – racconta Alessio Lini detto Pibe perché, da giovane giocava a pallone nelle giovanili della Reggiana ruolo centrocampista dietro le punte, il classico numero 10 mancino come si deve. Nel frattempo, mentre stavo diventando avvocato, poco prima e poco dopo al conseguimento del titolo, stavo preparando il concorso notarile a Napoli collaborando con uno studio emiliano”.
Ma poi qualcosa ha cambiato la direzione di marcia, verso la musica, senza dimenticare il vino.
La tua vita e la tua attività sembra fatta di scelte dettate da passione senza dimenticare di ‘incardinarle’ in modo proficuo, qual è il segreto?
“Il mio centro di gravità permanente è l’amore, a costo di sembrare banalissimo.
Se mi guardo attorno, avverto una povertà profonda di bene e di benevolenza, amore se preferisci.
L’amore che non si dimostra, per me, non esiste e io vorrei che fosse il basso continuo su cui costruire le armonie (e disarmonie) della vita: solido, fluido, ininterrotto, pavimento delle mie azioni.”
Cominciamo dal soprannome “Pibe” che svela una passione per il calcio, che se non sbaglio però è rimasto un hobby. Ci racconti com’è andata?
“Ad oggi la passione è per lo sport in generale che pratico quotidianamente.
Se poi penso che, in estate, ci saranno le Olimpiadi…
Mi chiamano Pibe da sempre; sì, per quella cosa lì del sinistro.
Per me non è un soprannome ma è diventato parte del mio nome, perché aggiunge qualcosa alla definizione della mia identità.
Sognavo da ragazzino, e senza neanche essere così originale, di “diventare calciatore”, alla ricerca di un’identità che fosse possibile e auspicabile; e, a quell’età, non si sogna di lavorare con la famiglia, ma di diventare un fantasista della vita. Sognavo in grande, speravo ancora più in grande.
Anche grazie a quel meraviglioso viaggio verso la seria A, purtroppo mai raggiunta, quel ragazzino di qualche anno fa oggi può dire di avere imparato proprio lì a costruire i suoi sogni scovando, dietro alle sconfitte, malcelati doni della vita.
Forse per questo che ancora mi perdo a sognarmi, perché in quello spazio vuoto e siderale dell’immaginarsi altrove, a volte, si intravedono le vie per arrivare se non lì, dove ci si sogna, là dove neppure ci si aspettava di arrivare.”
Come nasce l’idea di unire l’attività legale a quella musicale?
“Correggio è un paese in cui finiscono i talenti, ma in cui ancora si è amici. Tutto è nato da un’amicizia, a seguito della quale Marco Ligabue (fratello di Luciano e anche lui cantautore ndr) mi ha proposto di seguirlo. Il mio titolo di studio, la nostra amicizia, la mia passione per la musica e i tanti anni di pianoforte e l’ukulele gli sembravano un cocktail perfetto. Ovviamente assisto gli artisti sia sotto il profilo contrattuale sia sotto quello strategico – aggiunge Lini. Contrattuale vuol dire seguire i rapporti con gli sponsor, con le case discografiche e, in sostanza con l’apparato commerciale. Strategico significa gestione della strategia, quindi uffici stampa, uffici promozione Tv, agenzie live. Concertare, insieme all’artista, il lancio di quello che è il prodotto musicale”.
Cosa si aspetta da te un artista e quali sono i nodi più complessi?
“La musica ha il suo aspetto romantico, ma a certi livelli è un lavoro anche scientifico e richiede grande cura e una certa scientificità di pensiero.
Un’impresa come tante da mandare avanti. Da un lato serve il buon canto, le melodie e le parole giuste in metrica per risarcire i sogni di chi ti ascolta, dall’altro si vende un prodotto che è, per definizione, sempre aleatorio.
Ripeto spesso, quando mi si chiedono consulenze legali, strategiche o artistiche che è bello credere in quello che si fa, ma è straordinario e decisivo poter fare quello in cui si crede.
Semplicemente ho come motto un gioco linguistico, da p(a)ssione a p(rofe)ssione: lo scontro di una sillaba al posto di due contiene un mondo interiore e modifica in modo irrevocabile la navigazione.
Voglio dire che, alla lunga, la verità e l’autenticità di un prodotto o di progetto artistico sono sempre la scelta che preferisco.
Poi non sempre è la più vincente, quantomeno a prima vista o a breve termine.”
Un altro binario della tua vita corre lungo i filari dei vigneti.
L’attività familiare, fondata dal bisnonno Oreste nel 1910 e oggi giunta alla 4’ generazione, produce bollicine di Pinot Nero o Lambrusco e aceto balsamico tradizionale.
Ad oggi è il tuo impegno più importante: il tuo compito è più legato alla professione di avvocato o alla parte creativa?
“Non faccio contenziosi e non frequento cancellerie. Faccio strategie insieme a mia sorella Alicia e a mio cugino Alberto condividendole con la terza generazione.
In generale penso che un avvocato d’affari debba essere un giurista attento al mondo delle imprese, alla comunicazione e al cambiamento repentino dei vari codici con le più svariate specializzazioni che il mercato stesso richiede.
Diventa decisivo rimanere aggiornati oltre che avere visione e una capacità di giudizio, in termini legali, economici ma anche in termini sociali: come per la musica, allo stesso modo, raccontare il vino, le bollicine e l’aceto balsamico tradizionale oggi è certamente diverso rispetto a 5, 10 o 20 anni fa.”
Il vino in Italia è sinonimo di storia e cultura, non solo di buon vivere, il divino stile di vita cambiano. La tua scelta come si muove in tal senso?
“Sono nato da una famiglia che ha una cantina da 110 anni in un paese della bassa reggiana. A settembre si vendemmia, per le strade il traffico viene rallentato dalla processione dei trattori che vanno e vengono dalle cantine col loro carico di uve spiccate dalle squadre di vendemmiatori, che sono sempre dei circoli della fortuna e della felicità di anime di tutte le età.
Non c’è ragazzo che non abbia fatto almeno una stagione di vendemmia per racimolare due solidi per l’inverno. Io vengo da qui, anche se ora la nostra realtà riceve premi e riconoscimenti da tutto il mondo e di cui sono fiero.
Siamo come un cappotto di buona fattura: si va a scegliere la stoffa, si fa qualche sacrificio perché è più costosa del previsto, si decide un colore che non passi di moda, perché deve durare, un taglio che stia bene, al massimo nel tempo si farà qualche aggiustamento se il corpo cambia, si decide di azzardare scegliendo dei bottoni che il nonno Brenno non avrebbe scelto, ma in sostanza noi siamo questo: un buon cappotto caldo e durevole. La sostanza, la verità e la tradizione vincono sulla moda.
Quello che cambia, negli anni, è, come si dice oggi, lo storytelling ma, sia chiaro: una bella foto su instagram ha senso, se ci pensiamo bene, solo se quel brindisi è stato prima davvero condiviso, anche emotivamente, nella nostra taverna, davanti al tramonto del mio mare a Forte dei Marmi o di ritorno all’alba in bicicletta dalla Capannina.”
In particolare tu e la tua famiglia avete scommesso di produrre uno spumante metodo classico e metodo antico, a proposito del quale mi piacerebbe ci raccontassi qualcosa, in una zona non tradizionalmente vocata. Qual è la tua idea e come sta andando?
“Fabio, mio papà, mi ha insegnato che il vino si fa seguendo il proprio gusto del farlo e del farlo bene. Le mode passano: il vino è antico quanto l’uomo e va fatto con rispetto e dedizione. Per questo siamo molto felici perché, nonostante la zona non sia tradizionalmente vocata, dall’altra noi esistiamo dal 1910 e, da sempre, facciamo bollicine metodo charmat e metodo classico.
Siamo stati tra i primi a spumantizzare in Italia andando a specializzarci anche in Champagne.
Da qualche anno, con grande soddisfazione esportiamo le nostre bollicine anche in Francia. Di fatto esportiamo un po’ in tutto il mondo; il mercato Italiano e quello degli Stati Uniti sono i più importanti per noi.
Da tutta questa storia nasce così una bollicina incorporata, fine, persistente in vini sempre secchi e con grande rotondità grazie al tempo. Vogliamo continuare a conservare la tradizione e metterla in comunicazione con l’innovazione. Vogliamo vedere crescere l’azienda ma con lei vogliamo crescere anche noi e fare in modo che il racconto di quello che siamo e facciamo sia seducente non perché sia un infingimento, ma perché nulla è più seduttivo della verità che si assapora in un bicchiere.”
Ci racconti qualcosa di più di LINI910.IT?
“Vogliamo portarvi nella nostra terra, nel borgo della tradizione del Lambrusco. La Cantina è stata fondata – come si evince su ogni nostra etichetta – nel 1910, dal bisnonno Oreste a Correggio, nel cuore dell’Emilia. Più di 100 anni di storia che hanno visto ogni cambiamento nel mondo del vino, in particolare del Lambrusco, che in questi anni sta
vivendo una rinascita. La nostra Cantina ne ha voluto fare un vino d’eccellenza, elaborandolo sapientemente attraverso il Metodo Classico, da sempre una passione di famiglia.
Tra i riconoscimenti internazionali, importantissimo, Wine Spectator inserisce la nostra storica Cantina emiliana tra le 100 migliori d’Italia premiando, dopo anni di ricerca e sperimentazione enologica, il nostro “Metodo Classico Rosso Millesimato”. Un altro grande nostro orgoglio è l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP, spillato dalle Acetaie di famiglia che contano 1000 botti di questo rarissimo nettare. I nostri Spumanti 100% Pinot Nero oltre ai Lambruschi Scuri e Rosati. Oggi alla conduzione della Cantina troviamo ancora la nostra famiglia e la quarta generazione si è presa l’impegno e l’onore di portare in giro per il mondo una fiera emilianità.”
Un’altra tua passione è la Versilia.
“La Versilia, nel tempo, è diventata la mia Itaca e ci passo gran parte dell’anno; durante la bella stagione (che amo) ma anche in inverno.
Le giornate privilegiate del “Forte” sono rincorrere il ricordo, inseguire il senso di appartenenza, la debolezza di ambire a un nido. E’ nido perché ci siamo stati da bambini e ancora prima perché lì sono stati i nostri genitori bambini; perché permette in lieve fluidità di stare in un tempo senza tempo e nel tempo, non rincorre ma si lascia seguire con trascurata eleganza, e ancora perché nella bambagia del nido si irrobustiscono le ali, dal nido si compie il primo volo ed al nido si ritorna adulti ma con i sogni rimasti, nella loro più limpida purezza, bambini. Forte dei Marmi è una scelta sentimentale. Può essere solo questa. Al “Forte” mi ricostruisco interiormente perché nella mondanità, dove si evade, mantengo una dimensione domestica e nella solitudine, dove si legge, ho il silenzio della pineta che sussurra consigli”.
Cosa c’è all’orizzonte?
“L’orizzonte è una linea tesa davanti agli occhi. Racchiude tutto e sconfina nel tutto.
Walt Whitman scriveva: 0Do I contradict myself?
Very well then I contradict myself, (I am large, I contain multitudes)’.
Ecco, all’orizzonte vedo questo, la possibilità di fare l’avvocato, il manager, il vinificatore, il contadino, il sognatore, il cialtrone, l’intellettuale, il giovane, il vecchio, correre sul lungomare, leggere, parlare, stare in silenzio, meditare, barricarmi (come un vino), aprirmi (come una bottiglia).
In una sola parola, vorrei diventare il risultato del mio futuro, di quello che immagino, sogno.
Il passato ci forma, ci forgia, ci modella, ci ammacca e ci accarezza, ma non è più, se non nelle cicatrici e nelle rughe (pochissime!) che portiamo.
Anche solo pensare il futuro, per quanto sia una piccola illusione perché anche quello non è nelle nostre mani, dà spessore e profumi al presente, che così nasce e rinasce continuamente nelle nostre mani.
C’è un sostanziale differenza tra l’essere ingombranti e l’essere soffocanti.
Io vorrei essere ingombrante nella mia stessa vita e nella vita di chi mi circonda, avere cioè peso specifico, anche se ridotto ingombro fisico.
Viaggiare leggero, tenere un diario minimo, deviare dalla rotta, mantenendo la meta.
In una parola amo competere, ma amo ‘competere’ in senso etimologico cum-petere:, andare insieme nella stessa direzione.”
a cura di Ilaria Guidantoni