Un film del 2017 (in competizione al Festival di Cannes) non è una notizia, ma in questo periodo di rallentamento forzato può essere uno spunto per vedere una pellicola piacevole e ben interpretata da Vincent Lindon, alias Auguste Rodin (ritratto qui a sinistra), il grande e discusso scultore francese del quale negli ultimi anni si è parlato soprattutto per la sua relazione con l’allieva, poi modella e musa, quindi amante, Camille Claudel, interpretata da Izïa Higelin. Il film è ben girato con una profondità interpretativa credibile, dosato nei tempi e porta alla luce un lato diverso o meglio più sfumato della relazione. Camille Claudel è vittima certamente della storia con Rodin, della sua posizione di ambiguità per certi aspetti sentimentale anche se travolto dalla passione, ma più ancora dei preconcetti sociali ed emerge una figura tutt’altro che fragile anche se vittima. Una donna che sembra volere l’esclusiva in amore per conquistare però una sua posizione professionale riconosciuta e riconoscibile. Tutto lecito certamente, ancora oggi non scontato, che però ci apre un varco verso il suo bisogno di riconoscimento di donna e artista più che di amante ‘usata’.
Camille Claudel si allontana per poter insegnare, per diventare in qualche modo autonoma e anche rivale di Rodin, per affermare il diritto di una donna a realizzare dei nudi. Emerge dalla parte di Rodin una figura contraddittoria, a tratti egocentrica, autoritaria, un po’ di tirannica ma anche fragile sentimentalmente, che non riesce a scegliere e per questo ferisce. Rispetto anche ad alcune realizzazioni teatrale questo film riequilibra le parti. Chi conosce la storia si avvicina allo schermo con l’idea di parteggiare per Camille Claudel ma incontra un fascinoso Vincent Lindon che inspiegabilmente è legato a una certa Rose, della quale non riconosce il figlio, che non sposa che tradisce ma che non lascerà mai, anch’ella ex allieva, dall’aria popolare, matura, sfiorita, dall’aspetto molto materno, che diventa una sorta di governante. La giovane amante non seduce, è volitiva, indipendente, disinibita; non ha nulla dell’immagine di una dolce fanciulla ingenua e il regista, Jacques Doillon, che firma anche la sceneggiatura, non è indulgente con lei. Dopo la sua iniziale modestia e umiltà, sembra star vicino al maestro più per carpirne i segreti, per rivaleggiare, e per ottenere una posizione di rispettabilità – comprensibile per altro – di donna sposata, che pronta a sacrificare tutto per amore. Per certi aspetti una donna di oggi come molte vorrebbero essere. Lo stesso Rodin non ha vita facile. Il film inizia a Parigi, nel 1880, quando lo scultore riceve la sua prima commessa statale, per la realizzazione de La Porte de l’Enfer che lo renderà famoso, composta, tra l’altro, dai noti Baiser e il Pensatore. La giovane allieva irrompe nel momento di svolta e la passione struggente durerà 10 anni per terminare con una rottura dolorosa. Dopo la separazione Rodin realizzerà un ritratto di Balzac che farà scandalo e segnerà la storia dell’arte e che comporterà una lunga gestazione, prova di banco della determinazione e della passione dell’artista che conforterà anche uno scoraggiato Cézanne, a riprova che il talento spesso non si accompagna al successo, almeno non in vita. Il film è stato girato a Parigi, Chartres e nella vera casa dello scultore a Meudon, la villa des Brillants, nella sua camera da letto e nella sala da pranzo. Il Cristo spagnolo in legno è realmente quello della collezione dello scultore. Le atmosfere discrete, scure, sofferenti palpitano con il rigore di un regista di calibro che non mette l’accento sulla grandezza del personaggio pubblico o sui tratti forti del carattere ma sui chiaroscuri, sulle sfumature. Come ha scritto correttamente Nicolas Azalbert nei Cahiers du cinéma, se il film fosse una scultura non sarebbe La porte de l‘Enfer ma La femme cambrée, stupenda figura inarcata appunto che modella guardando il corpo nudo e sensuale di Camille.
a cura di Ilaria Guidantoni