di Angelo Visco e Massimiliano Bettoni,
soci fondatori Studio Legale M.A.B.E.
Il Decreto Rilancio all’art. 115 ha previsto la costituzione di un fondo per assicurare la liquidità dei pagamenti dei debiti commerciali certi, liquidi ed esigibili degli enti territoriali con una dotazione di 12 miliardi di euro per il 2020, un intervento che era stato chiesto a gran voce dalle imprese (si veda qui l’Insight View di BeBeez sull’analisi del Decreto, ndr).
Il ritardo nei pagamenti come noto genera effetti gravi per le imprese, soprattutto per le pmi, le quali sono costrette a ricorrere al credito bancario per onorare le obbligazioni assunte con altri soggetti sul mercato. Si viene a creare, in questo modo, una spirale senza fine che nel medio-lungo periodo genera giocoforza un rallentamento dell’economia.
Si spera che la misura introdotta dal Decreto Rilancio aiuti a sbloccare davvero la situazione, ma quello che è importante è che le aziende siano in grado di dimostrare che i loro crediti siano appunto certi, liquidi ed esigibili. Anche perché in questo caso ci sarebbero tutti i presupposti per recuperare anche liquidità sommersa, cioé interessi da ritardato pagamento, che sono piuttosto alti. Gli interessi, in caso di ritardato pagamento, sono infatti sempre dovuti, senza necessità di messa in mora, e il creditore avrà diritto a un ristoro pari al tasso d’interesse base Bce più 7 o 8 punti percentuali, a seconda che la transazione sia avvenuta prima o dopo il 2013 (entrata in vigore della normativa di riferimento). Dopo aver ottenuto il titolo esecutivo, si potrà scegliere la strada della procedura esecutiva oppure quella amministrativa volta alla nomina di un commissario ad acta che provveda alla liquidazione.
Più nel dettaglio, il D.Lgs. n. 231/2002 così come modificato dal D.Lgs. 192/2012 ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano alcune importanti regole circa i termini di pagamento e le conseguenze del mancato rispetto di questi in merito alle fatture emesse nelle transazioni commerciali, intese come i contratti tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni che comportano la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo.
La regola che si desume dalla normativa è che il creditore ha sempre diritto alla corresponsione degli interessi moratori sull’importo dovuto, senza che sia necessaria la costituzione in mora del debitore.
Con particolare riferimento ai rapporti commerciali fra imprenditore e pubblica amministrazione, gli interessi moratori decorrono dal trentunesimo (ipotesi normale, regola) ovvero sessantunesimo giorno (il raddoppio è previsto per le amministrazioni pubbliche che sono tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza di cui al D.Lgs. n. 333/2003 e per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tale fine) successivo al ricevimento della fattura da parte dell’ente pubblico.
L’indicazione di un termine massimo, fissato appunto in 30/60 giorni, per il pagamento delle prestazioni e l’inasprimento delle sanzioni applicate in caso di ritardo trovano applicazione per i contratti stipulati a partire dal 1° gennaio 2013. Per i contratti stipulati precedentemente a tale data rimangono però in vigore le vecchie modalità di calcolo degli interessi. Questo comporta, soprattutto nel settore pubblico, il timore che i pagamenti relativi a contratti stipulati dopo il 1°gennaio 2013 diventino prioritari rispetto a quelli precedenti in virtù delle nuove norme più penalizzanti per i debitori, cosicché i “vecchi” debiti restano aperti.
La normativa, che stabilisce quindi rigorosi termini per la decorrenza degli interessi dequibus nelle transazioni commerciali, è stata accolta favorevolmente dal mondo imprenditoriale, e ciò soprattutto in considerazione delle lunghe tempistiche processuali per l’esecuzione ai danni della Pubblica Amministrazione. In definitiva, l’interesse di mora è un interesse da applicarsi al mancato pagamento di una fornitura o prestazione di servizi che scatta automaticamente allo spirare del termine del previsto pagamento In definitiva, l’interesse di mora è un interesse da applicarsi al mancato pagamento di una fornitura o prestazione di servizi che scatta automaticamente allo spirare del termine del previsto pagamento
Se allora è chiaro il quadro normativo, non ci resta ora che comprendere quali siano i rimedi e le strategie processuali adottabili dai creditori. In altri termini, cosa si può fare se la pubblica amministrazione non paga il proprio debito?
Sono possibili diverse strade. La più veloce e semplice è sicuramente la richiesta della certificazione del credito: chi vanta un diritto di credito commerciale nei confronti della Pubblica Amministrazione può richiedere alla stessa di certificare, in modo totalmente gratuito, eventuali crediti relativi a somme dovute per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali. Una volta certificato il credito è possibile attendere il pagamento della somma da parte dell’amministrazione debitrice, effettuarne la cessione ovvero compensare la somma (anche parzialmente) presso l’Agenzia delle Entrate. Il creditore può altresì adire il giudice civile per ottenere un decreto ingiuntivo in forza del quale agire esecutivamente o mediante giudizio di ottemperanza.
Focalizzando l’attenzione sui rimedi processuali, nell’ambito dell’esecuzione forzata nei confronti della Pubblica Amministrazione, il procedimento dettato dal codice di procedura civile, subisce rilevanti modifiche. Secondo il disposto dell’art. 14, 1° comma, del d.l. n. 669/1996 (come modificato dall’art. 147 L. n. 388/2000), le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici hanno un termine di 120 giorni dalla notificazione del titolo esecutivo per completare l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali che li obbligano al pagamento di somme di denaro. Prima di tale termine, in base all’espresso divieto di cui alla suddetta disposizione, il creditore non ha diritto di procedere ad esecuzione forzata, né di porre in essere atti esecutivi, ivi compresa dunque la notifica del precetto. Conseguentemente, alla PA debitrice dovrà essere notificato il titolo esecutivo come dispone l’art. 479 c.p.c., ma non sarà possibile notificare contestualmente il precetto, il quale, a pena di nullità dovrà notificarsi, invece, non prima dello spirare del termine dilatorio di 120 gg. Solo una volta decorso il termine previsto dalla legge, se l’amministrazione è inadempiente potrà procedersi con la regolare notifica dell’atto di precetto e, dunque, avviare, trascorsi i dieci giorni fissati dall’art. 480 c.p.c., l’esecuzione forzata.
A ben vedere, il creditore può scegliere liberamente di agire in sede di esecuzione civile oppure in sede di giudizio di ottemperanza, con quest’ultimo che è uno strumento indispensabile per garantire l’effettività della tutela giurisdizionale nei confronti della Pubblica Amministrazione. E’ un giudizio avente carattere prevalentemente surrogatorio, in quanto consente al giudice, o per esso al commissario ad acta, di sostituirsi, con cognizione estesa al merito, all’amministrazione inadempiente. A riguardo è ormai pacifico nella giurisprudenza amministrativa che le azioni sostitutive poste in essere dal giudice o dal suo ausiliario per eseguire il giudicato possono anche esulare dal rispetto delle ordinarie procedure cui è tenuta l’amministrazione nell’ambito della sua azione, e quindi anche in ipotesi concernenti il pagamento di somme di denaro.In tali casi, le pmi potrebbero autofinanziarsi con crediti che non sanno di aver diritto di vantare.