In occasione dell’Ottobre musicale a Tunisi, quest’anno andato in scena in streaming, l’Istituto Italiano di Cultura ha proposto un concerto del Gran Duo italiano con la Sonata in la minore per violino e pianoforte di Francesco Santoliquido, un musicista pressoché sconosciuto e non citato neppure nei testi specialistici degli Anni Venti e Trenta del Novecento. Non ha scritto capolavori ma è interessante per raccontare il vissuto della comunità italiana di allora e per esplorare il dialogo linguistico e musicale tra le due rive del Mediterraneo che offre suggerimenti curiosi.
Abbiamo raggiunto al telefono a Tunisi, Rosy Candiani, studiosa del melodramma e della musica da opera, soprattutto esperta dei librettisti, milanese che si divide tra l’Italia e Tunisi, per farci raccontare questo personaggio che ha riportato alla luce e sul quale sta lavorando per una pubblicazione che uscirà a breve su Dialoghi mediterranei.
Com’è nata la tua attenzione per questo personaggio?
“Ho studiato storia della musica e ho sempre avuto interesse dal punto di vista culturale in senso ampio per il periodo del Ventennio del Novecento, che è stato troppo spesso rimosso per ragioni politiche. Santoliquido in realtà non l’ho trovato citato neppure nei testi più importanti del periodo ma mi ero imbattuta nel suo nome facendo un lavoro di ricognizione sull’Archivio della Società Dante Alighieri di Tunisi. Avevo trovato delle carte che avevano destato la mia curiosità, anche perché era un personaggio tutto da esplorare, e mi ero riproposta di approfondirlo. Poi quest’anno per l’Ottobre musicale a Tunisi, tradizione consolidata di una manifestazione che finora si è tenuta all’Acropolium di Cartagine, l’Istituto italiano ha proposto un concerto con musicisti e musiche poco noti italiani tra cui alcuni brani di Francesco Santoliquido. Il concerto del Gran Duo Italiano si è purtroppo tenuto solo on line e così c’è stata la proposta di valorizzarne il contributo con uno studio.”
Che tipo di personaggio è Santoliquido?
“Un personaggio abbastanza discutibile e discusso, del quale non si sa quasi nulla in termini di vita personale se non che fosse di famiglia benestante tanto che poteva pagarsi la pubblicazione delle partiture; non solo ma in Tunisia è vissuta quasi senza lavorare, o almeno non risultano incarichi ufficiali. Presso Casa Ricordi, con la quale ha collaborato, esiste un carteggio inedito dal quale risulta che nel 1938 sposò il Fascismo e il regime più intransigente, fu allontanato da Tunisi e anche in Italia rimase emarginato, malgrado la sua voglia di farsi spazio”.
Perché riscoprirlo e ascoltarlo oggi?
“Non sono una musicologa e non mi avventuro in giudizi critici di merito se non che posso dire che non siamo in presenza di un musicista raffinato e originale ma di un personaggio testimone di un vissuto ricco per quanto concerne la comunità italiana a Tunisi; che ha conosciuto e studiato la musica tunisina – dotata di poche partiture e quindi affidata molto all’ascolto – colpito in particolare dalle percussioni usate in occasioni di feste popolari ed ha assimilato la lingua come si evince dai libretti, da lui stesso scritti, punteggiati di termini della lingua locale. Non solo, ma sposa il dialogo tra occidente e oriente, o meglio tra lo stile europeo e in particolare italiano, nella lingua, nei contenuti e nella musica, con una tendenza che al nostro orecchio appare orientalista, in particolare per le ambientazioni e alcune inserzioni musicali della musica popolare. La scelta è il linguaggio melodrammatico alto, magari con alcune ingenuità, richiamando una tendenza allora italiana di superamento del Verismo, senza per questo rinunciare al realismo. D’altronde la canzone tunisina per esempio con Hédi Jouini si è rinnovata inserendo e attingendo melodie e tradizioni internazionali e quindi evidentemente anche Santoliquido ha risentito di un certo fermento generale.”
Guardando più da vicino Santoliquido, ci racconti la sua storia?
“È un italiano a Tunisi, non un italiano di Tunisi, dato che nasce a San Giorgio a Cremano nel 1883, si diploma al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, e con una rapida carriera musicale, riesce a far rappresentare a Milano al Teatro Dal Verme una sua opera nel 1910. Nel frattempo prende contatto con la prestigiosa casa editrice musicale Ricordi per la stampa delle sue composizioni. Nel 1914 lo troviamo in Tunisia, ad Hammamet, dove soggiornerà a lungo, fino al 1921 e poi ancora dal 1926, anche se non conosciamo le ragioni di questo viaggio e del trasferimento. È da notare che è lo stesso anno in cui compiono un viaggio iniziatico i pittori Auguste Macke e Paul Klee, quest’ultimo fino ad allora incerto se dedicarsi alla musica o alla pittura, che proprio in Tunisia, folgorato dalla luce, scopre la sua passione per il colore. Anche in Santoliquido il paese lascia tracce profonde nell’ispirazione fin dai titoli come Acquarelli, suite sinfonica del 1918, Il crepuscolo del mare e il profumo delle oasi sahariane. Il vento ad un certo punto cambia e rientrerà in Italia, ad Anacapri, dal 1933, subendo il destino di molti altri che si sono trovati estranei ed estraniati sia sulla sponda sud sia sulla sponda nord del Mediterraneo.”
Quando raggiunge l’apice della notorietà?
“Nel 1926, l’anno in cui la Società Dante Alighieri si trasferisce nella Palazzina déco, tra l’altro esempio eccelso delle maestranze italiane a Tunisi, in rue Ibn Khaldoun, oggi sede della Casa della Cultura, dove c’era l’Istituto Giuseppe Verdi e una collezione di 300 strumenti musicali di cui resta solo il catalogo perché la collezione fu trasferita presso il Baron d’Erlanger a Sidi Bou Said. È l’anno nel quale Santoliquido fonda la Società Amici della Musica per promuovere la musica da camera e l’esecuzione della sua Sonata riceve recensioni internazionali, ad esempio anche su Il Mattino. Nell’estate dell’anno successivo però i rapporti con il direttore del Conservatorio Tito Aprea, che lui stesso aveva chiamato, cominciano ad incrinarsi e la situazione diventa difficile. Santoliquido rientrerà in Italia dove tra l’altro a Roma contribuisce alla nascita della Società del Quartetto su modello di quanto aveva creato in Tunisia.”
Il mélange delle due culture appare chiaramente nell’opera Ferhuda. Ce la racconti in questa chiave?
“È tra l’altro l’aspetto più interessante, non essendo un capolavoro ma una metafora dell’incontro impossibile tra due mondi che anche linguisticamente e musicalmente il compositore cerca di far dialogare. La storia, come ogni opera di tradizione italiana che si rispetti, vede al centro una storia d’amore fuggevole e infelice, destinata ad infrangersi di fronte alle convenienze sociali. L’ambientazione è quella della medina popolare, del souq el-Attarine, dove Sergio un europeo ‘assimilato’ incontra la popolana Ferhuda, madre di un bambino e moglie di un uomo partito per compiere il pellegrinaggio alla Mecca. L’amore naufraga – anche quando il marito, dopo aver fatto ritorno, muore, perché la protagonista è risucchiata nel gorgo dei personaggi femminili e delle convenzioni nelle quali si abbandonerà al proprio destino di vedova, chiusa nella sua casa ‘come una rondine prigioniera’. L’ambientazione dei tre atti è ben circostanziata perché Santoliquido che risiedeva all’hotel Eymon, all’ingresso della Medina a Bāb el-Baħri, nota anche come Porte de France (palazzo appartenuto al Barone Raffo), conosceva bene questi luoghi.
L’atmosfera delle prove di dialogo e del contrasto tra due mondi non sono pittoresche o un’esperienza turistica ma attingono a un’esperienza diretta e maturata da parte del compositore che inserisce molti termini tunisini nel libretto soprattutto per indicare abiti come il tradizionale sefserī e i luoghi, gli arrendi come il šoundouq, il baule. Le melodie non sono banali anche se consuete e, seguendo la scia della musica contemporanea italiana che si allontana dalla tradizione ottocentesca, inserisce canti e musiche popolari come il malouf.”
a cura di Ilaria Guidantoni