Il venture capital italiano ha raccolto 595 milioni di euro nel 2020 (in linea con i 597 milioni del 2019, si veda altro articolo di BeBeez), distribuiti su 234 operazioni. Queste ultime sono quindi cresciute del 58% rispetto al 2019, nonostante la pandemia da coronavirus. Lo rileva il rapporto di ricerca Venture Capital Monitor (VeM), nato nel 2008 dalla collaborazione tra Aifi (Associazione Italiana Private Equity, Venture Capital e Private Debt) e Liuc – Università Cattaneo e realizzato grazie al contributo di Intesa Sanpaolo Innovation Center ed E. Morace & Co. Studio legale e al supporto istituzionale di Iban (Italian Business Angel Association) e Cdp Venture Capital sgr (si vedano qui il comunicato stampa e qui la presentazione completa).
Secondo i dati preliminari di BeBeez Private Data, le startup e le scaleup italiane o fondate da italiani hanno raccolto dagli investitori di venture capital ben 780,5 milioni di euro da inizio anno in 306 round. Il dato si confronta con quello di 605 milioni del 2019 e 244 round (si veda qui il Report di BeBeez sui deal di venture capital del 2019) e di 510 milioni e 179 round del 2018. La stima del 2020 è superiore ai quasi 600 milioni di raccolta calcolati dal VeM, in quanto BeBeez comprende nel conteggio gli investimenti condotti da parte di fondi di venture capital, holding di investimento, corporate venture capital, business angel e crowd delle piattaforme di equity crowdfunding, ma anche da fondi di venture debt e altri finanziatori, banche comprese (si veda qui il Report sul venture capital e venture debt 2020, riservato agli abbonati a BeBeez News Premium e BeBeez Private Data (scopri qui come abbonarti).
Tornando ai dati del VeM, se si guarda solo ai nuovi investimenti (initial), in Italia sono stati 200 rispetto ai 121 del 2019. Le operazioni follow-on sono salite a 34 rispetto alle 27 del 2019. E’ aumentato l’ammontare investito negli initial, passando da 436 a 489 milioni, mentre è sceso da 161 milioni a 106 milioni di euro quello nei follow on. Stabili i deal di startup e later stage, mentre sono saliti gli investimenti seed, grazie anche ai fondi Italia Venture II Imprese Sud e al Fondo Acceleratori di Cdp Venture Capital sgr, ha sottolineato Giovanni Fusaro, collaboratore dell’ufficio studi e ricerche di Aifi. Come per gli anni passati, a livello di investimenti iniziali, la Lombardia è la regione in cui si concentra il maggior numero di operazioni (83) e che continua a crescere coprendo il 42% del mercato (era il 37% nel 2019), anche se sono in crescita rispettivamente del 5% e 9% gli investimenti nel centro e sud Italia.
Seguono Lazio (11%) e Campania (9%). Dal punto di vista settoriale, l’Ict monopolizza l’interesse degli investitori di venture capital, rappresentando una quota del 46%. L’Ict è costituito per un 30% da operazioni su startup nel comparto dei digital consumer services, e per il 70% su società con focus sulle tecnologie a supporto dell’impresa. A seguire, il 12% degli investimenti iniziali è stato diretto verso servizi finanziari (con un crescente interesse per il fintech) e il 10% verso healthcare.
Il totale degli investimenti in TT (trasferimento tecnologico, il passaggio dalla pura ricerca all’industrializzazione) dal 2018 al 2020 è stato pari a 258 milioni di euro su 101 operazioni. Questi risultati sono arrivati grazie al lancio nel 2018 dei fondi della piattaforma ITATech, che a oggi hanno raccolto complessivamente 285 milioni di euro realizzando dal 2018 62 investimenti per un ammontare totale superiore a 75 milioni di euro (compresi i co-investitori).
Per quanto riguarda il corporate venture capital, si è confermato il trend di una notevole presenza di imprese nei round di venture capital. In particolare, è stata registrata la partecipazione delle aziende negli investimenti a supporto delle realtà imprenditoriali nascenti o nella fase di primo sviluppo in oltre 40 round, in linea con il 2019. Complessivamente venture capital e corporate venture capital hanno investito 270 milioni su 126 round.
Le attività di sindacato tra venture capital, corporate venture capital e business angel hanno fatto registrare investimenti pari a 325 milioni di euro su 108 operazioni. I soli business angel hanno investito 51 milioni in 96 round. Il totale di queste attività ha portato la filiera dell’early stage a investimenti per 646 milioni spalmati su 330 round, in linea con i 650 milioni complessivi del 2019.
In proposito, Paolo Anselmo, presidente di Iban, ha commentato: “Il 2020 è stato un buon anno per l’angel investing, anche grazie agli incentivi fiscali previsti dal Decreto Rilancio. Le operazioni in sindacato con i fondi di venture capital sono più che raddoppiate, arrivando a un valore di 325 milioni di euro, a cui si aggiungono i 51 milioni investiti dai business angel senza i fondi. Nel 2020 più della metà degli investimenti di venture capital realizzati in Italia hanno coinvolto i business angel e mi aspetto che la crescita proseguirà nel 2021. I business angel sono tipicamente uomini HNWI, laureati, imprenditori o liberi professionisti. In questo contesto la percentuale di business angel donne è scesa dal 18% degli anni scorsi all’11%: un livello che può e deve crescere nei prossimi anni. Iban sta spingendo in tal senso”.
Innocenzo Cipolletta, presidente di Aifi, ha osservato: “Il dati del VeM mostrano come si possa fare innovazione mettendo a fattor comune tutte le opportunità presenti nel nostro Paese: tech transfer, business angels, sistema pubblico e privato, corporate e venture capital; tutti soggetti che hanno permesso, lavorando insieme, di far crescere questo segmento. Questa strategia è vincente e se ne vedono già i primi risultati: l’innovazione è uno dei driver imprescindibili per la crescita dei Paesi industriali perché permette di restare competitivi e fungere da stimolo per nuovi investimenti e nuovi consumi”. Anna Gervasoni, professoressa alla Liuc – Università Cattaneo e direttrice generale di Aifi, ha aggiunto: “Il 2020 ha visto un rallentamento delle operazioni nel primo semestre, dovuto all’emergenza pandemica che ha visto gli operatori concentrarsi sul portafoglio; la seconda parte, al contrario, ha mostrato una accelerazione dell’attività, chiudendo l’anno con 200 deal initial e un incremento pari al 65% rispetto al 2019. Questo dimostra come l’attività di venture capital non si è fermata”.
Guido de Vecchi, direttore generale Intesa Sanpaolo Innovation Center, ha dichiarato: “Anche in un anno molto particolare, abbiamo contribuito con continuità al raggiungimento dei risultati riportati dal VeM: i venture capitalist partecipati da Intesa Sanpaolo e da Neva sgr (ex Neva Finventures, che nel gennaio scorso ha raccolto 150 milioni di euro al primo closing del suo primo fondo, Neva First, sottoscritto anche CRIF, ndr) e Indaco sgr hanno incrementato complessivamente il numero e il controvalore degli investimenti (40 milioni nel 2020 tra round initial e follow-on); i percorsi di accelerazione quali Techstars Smart Mobility e Startup Initiative sono stati completati come da programma in una rapidissima trasformazione digitale, che ha consentito l’accesso di nuovi investitori extraeuropei; inoltre la collaborazione industriale con BackToWork (partecipata da Intesa Sanpaolo dal settembre 2020, ndr) ha realizzato a inizio anno l’operazione record in Europa, superando i 7 milioni di euro di raccolta (grazie alla campagna di Fin-Novia, ndr)”.
A proposito del ruolo del regolatore, Pierluigi De Biasi, partner dello studio legale E.Morace & Co., ha commentato: “E’ positivo che il legislatore italiano abbia predisposto semplificazioni giuridiche per gestire le imprese, ma il problema è la giustizia indietro e tecnologicamente arretrata. La pandemia ha consentito di fare progressi sul profilo tecnologico, ma non basta ancora. Il differente scenario può offrire la possibilità di innovare e le startup, per loro natura, sono i soggetti più adatti per creare il nuovo, senza retaggi mentali derivanti da un passato”. Sempre sul tema dell’innovazione, Cipolletta ha concluso: “Bene che Governo e Cdp in particolare abbiano investito molto in innovazione in Italia. Ora è importante che si aggiungano i capitali privati e che si finanzi bene il sistema universitario, finora lasciato da parte, altrimenti si concentrerà solo sulla didattica con i pochi fondi a sua disposizione e questo a differenza degli investimenti in ricerca di base non porta crescita di carattere innovativo”.