Bene gli investimenti, molto bene i disinvestimenti, male la raccolta. È la pagella 2014 dei fondi di private equity in Italia, presentata venerdì 20 marzo a Milano da Innocenzo Cipolletta e Anna Gervasoni, rispettivamente presidente e direttore generale di Aifi, l’Associazione italiana del private equity e del venture capital (si veda qui altro articolo di BeBeez e l’intera presentazione dei dati).
I dati elaborati da PwC per Aifi mostrano che l’anno scorso i fondi hanno investito complessivamente 3,53 miliardi di euro di equity (poco di più dei 3,43 miliardi del 2013), spalmati su 248 aziende target (dalle 281 del 2013) tramite 311 diverse operazioni (da 368). Il dato eclatante però è che ben 1,9 miliardi di euro sono stati investiti da fondi internazionali, con un aumento del 39% degli impegni rispetto agli 1,37 miliardi dell’anno precedente.
Quanto ai settori di investimento, va sottolineato che il 24% del totale investito, cioè ben 856 milioni di euro, è stato incanalato nel settore della moda. Come riferito da MF Fashion lo scorso sabato 21 marzo, l’aggregato, che comprende le imprese del tessile, dell’abbigliamento e del lusso ha infatti attratto ben di più dei comparti dei beni e servizi industriali (che vale il 19% del totale con 663,3 milioni investiti), dell’alimentare (15% degli investimenti, con 529,6 milioni), dei servizi finanziari (11% con 529,5 milioni) e di energia & utilities (5% con 173,1 milioni).
Anche considerando unicamente il lusso senza il tessile, come da classificazione tradizionale delle statistiche Aifi, il lusso guida la classifica davanti al secondo classificato beni e servizi industriali, con 679,5 milioni investiti e un’incidenza sul totale del 20%.
L’annata 2014, rivelano ancora le statistiche, ha contemplato 12 operazioni nel segmento lusso e cinque nel tessile. L’operazione principe del 2014 è rimasta quella perfezionata nei primi mesi dell’anno che ha coinvolto Versace, con il 20% del gruppo della Medusa rilevato dal fondo Blackstone a fronte di un investimento di 210 milioni di euro, un investimento che da solo vale quasi un quarto dell’importo investito dai fondi nel settore (si veda altro articolo di BeBeez).
Per quanto riguarda la tipologia di investitori, le sgr generaliste hanno realizzato il maggior numero di investimenti (33%), seguite dagli operatori regionali-pubblici (32%) e dalle investment company (18%).
Il segmento del turnaround anche nel 2014 ha mantenuto un ruolo defilato, con otto investimenti realizzati dai cinque dell’anno precedente, mentre l’ammontare è cresciuto in modo significativo, passando da 3 a 97 milioni. Su questo tema Claudio De Vincenti, viceministro allo Sviluppo Economico, ha sottolineato che il governo intende favorire lo sviluppo di un mercato di questi soggetti e parallelamente sta predisponendo in questi giorni il decreto attuativo dell’articolo 7 dell’Investment Compact, che introduce la figura della spa promossa dal governo per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese italiane in temporanee difficoltà patrimoniali e finanziarie ma con buone prospettive industriali ed economiche (si veda altro articolo di BeBeez).
«Ci stiamo concentrando sulla definizione di una società che opera secondo i principi di economicità e convenienza propri degli operatori privati di mercato», ha aggiunto De Vincenti, «e stiamo mettendo anche a punto i dettagli della garanzia statale che potrà essere richiesta dagli azionisti in possesso di particolari categorie di azioni».
Un bel salto nei dati aggregati si è invece registrato nei disinvestimenti: ben 2,63 miliardi di euro (su 147 società partecipate e tramite 174 operazioni) rispetto agli 1,93 miliardi del 2013 (119 società e 141 operazioni), con una crescita del 36,2%. È il segnale che il mercato delle cessioni si è riaperto. In particolare, è emerso l’interesse all’acquisto da parte degli operatori industriali: ben il 44% dei disinvestimenti in termini di valore (dal 27% nel 2013) e il 38% (dal 48%) in termini di numero di operazioni sono rappresentati dai cosiddetti «trade sale». Per contro il valore delle cessioni ad altri investitori finanziari è diminuito: 25% del totale contro il 38% dell’anno precedente. In lieve aumento anche i disinvestimenti tramite ipo, mentre sono risultate in leggero calo le svalutazioni totali o parziali a seguito di crisi aziendali.
Raccolta indipendente al palo. Scenario nuovo nel 2014 sul fronte della raccolta; i fondi italiani privati non-captive hanno incamerato 1,35 miliardi di euro, oltre il doppio rispetto ai 623 milioni dell’anno precedente. Il dato però non tiene conto della quota di raccolta dei fondi esteri destinata a investimenti in Italia, stimata in 600 milioni, mentre incorpora anche la raccolta del Fondo Strategico Italiano, che, come noto, ha incassato ben 500 milioni di euro dal fondo sovrano del Kuwait, con cui ha strutturato una complessa operazione per coinvestire in aziende italiane. Insomma, senza il contributo del Fsi il dato di raccolta scenderebbe a 848 milioni. Considerando invece anche i 129 milioni di euro di raccolta captive, si arriva a 1,48 miliardi. Di questo totale, però, ben 922 milioni (68%) sono di provenienza estera (evidentemente il lavoro di Aifi di sensibilizzazione degli investitori stranieri sta funzionando).
Chi manca all’appello? Come al solito, i fondi pensione italiani. Per cercare di sbloccare la situazione Aifi sta dialogando con il Mefop e con il ministero dell’Economia affinché il credito d’imposta previsto dalla Legge di Stabilità 2015 per i fondi pensione e per le casse di previdenza che investono in attività economiche in ottica di medio-lungo periodo si allarghi anche agli investimenti in fondi e in fondi di fondi alternativi che investano prevalentemente in aziende italiane (si veda altro articolo di BeBeez).