Non ci sono più dubbi di sorta. I fondi di investimento alternativi italiani ed europei, cosiddetti FIA, possono investire in crediti di aziende italiane ed erogare direttamente credito alle stesse aziende. Lo scrive oggi MF Milano Finanza, precisando che la norma è contenuta nel testo del Decreto varato dal governo lo scorso 10 febbraio, che contiene “Misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio”. Il Decreto legge n. 18 del 14 febbraio è stato pubblicato lunedì 15 febbraio in Gazzetta Ufficiale ed è in vigore da martedì 16.
L’art. 17 del nuovo Decreto, infatti, introduce due nuovi articoli il 46-bis (Erogazione diretta di crediti da parte di FIA italiani) e il 46-ter (Erogazione diretta di crediti da parte di FIA UE in Italia) al Testo Unico della Finanza, con il primo che nel dettaglio recita: “I FIA italiani possono investire in crediti, a valere sul proprio patrimonio, a favore di soggetti diversi da consumatori (…)” e il secondo che specifica che “1. I FIA Ue possono investire in crediti, a valere sul proprio patrimonio, a favore di soggetti diversi da consumatori, in Italia nel rispetto delle seguenti condizioni: a) il FIA Ue è autorizzato dall’autorità competente dello stato membro d’origine a investire in crediti, inclusi quelli erogati a valere sul proprio patrimonio, nel paese di origine; b) il FIA UE ha forma chiusa e lo schema di funzionamento dello stesso, in particolare per quanto riguarda le modalità di partecipazione, è analogo a quello dei FIA italiani che investono in crediti; c) le norme del paese d’origine del FIA UE in materia di contenimento e di frazionamento del rischio, inclusi i limiti di leva finanziaria, sono equivalenti alle norme stabilite per i FIA italiani che investono in crediti (…).
Una norma esplicita che estendesse ai fondi di investimento europei la possibilità di erogare credito non era ancora stata scritta, sebbene già il Decreto legge 91/2014, convertito in legge nell’agosto 2014, avesse aperto la strada in maniera implicita alla possibilità per gli enti creditizi, le assicurazioni, i fondi specializzati e i veicoli di cartolarizzazione (spv) di erogare direttamente credito alle imprese.
In quell’occasione una norma fiscale aveva anche previsto che i fondi di investimento che non facessero ricorso alla leva finanziaria costituiti in Paesi Ue fossero esentati dalla ritenuta alla fonte del 26% sugli interessi e i proventi derivanti dai finanziamenti a medio-lungo termine, così come già accadeva per i soggetti italiani.
L’Investment Compact la scorsa primavera ha poi corretto il tiro, prevedendo che l’esenzione dalla ritenuta fosse applicata anche ai fondi di credito che lavorano a leva. E questo, aveva spiegato il governo nel comunicato stampa diffuso allora, “al fine di consentire alle imprese italiane di beneficiare di tutti gli strumenti finanziari di cui beneficiano i loro competitor europei, allineando al contempo la normativa italiana a quella di altri Paesi europei (quali Germania e Francia)”. Si precisava, quindi, che questa norma “tende innanzitutto ad ampliare l’esenzione della ritenuta a tutti i proventi percepiti dai fondi che possono fare credito diretto alle imprese, eliminando la limitazione che prevedeva l’esenzione solo per i fondi che non facevano ricorso alla leva finanziaria” e questo perché il fatto che” i fondi non debbano utilizzare la leva finanziaria riduce notevolmente l’accesso alla liquidità presente a livello internazionale dato che la maggior parte dei credit funds si finanziano anche con il debito per ottimizzare la propria struttura del capitale”.
Con quest’ultimo Decreto, poi, il governo ha deciso di prevedere chiaramente il credito diretto per i fondi alternativi europei. «Si tratta di una grande novità», hanno commentato a MF Milano Finanza Giuseppe De Palma e Ferdinando Poscio partner dello studio legale Clifford Chance (che ha appena pubblicato un client briefing sul tema), spiegando: «Sinora, infatti, nonostante l’esistenza di norme dalle quali si poteva dedurre la possibilità per i fondi alternativi Ue di erogare credito direttamente, nessuno si era ancora avventurato su questo terreno, perché mancava una norma che dicesse chiaramente che l’attività di erogazione del credito non è più riservata solo a banche e intermediari finanziari. L’art. 106 del Testo Unico Bancario, infatti, non fa alcun riferimento a questi fondi nell’elenco dei soggetti autorizzati all’erogazione del credito». Tuttavia, hanno aggiunto gli avvocati. «resta il fatto che questa norma lascia fuori dal mercato tutti i soggetti extra-Ue, che sono tanti e che sono tradizionalmente interessati a finanziare aziende italiane nell’ambito della sindacazione di grandi prestiti in pool. E’ un peccato, viste le ampie disponibilità finanziarie di questi soggetti. Parliamo tipicamente di veicoli di CDOs o CLOs».