La mostra organizzata dalla Galleria Continua ha ancora circa dieci giorni di vita settimane di vita – fino al 14 ottobre – e rilancia il duo dell’arte contemporanea di grande respiro internazionale con il catalogo dedicato, pubblicato da Maretti Editore – nato nel 1999 da un progetto editoriale del giornalista e scrittore Valerio Riva in collaborazione e in amicizia con Carlo Ripa di Meana, oggi collaboratore delle grandi istituzioni, musei e fondazioni d’arte contemporanee in Italia (dal Macro di Roma al Mambo di Bologna, al Museo Pecci di Prato o la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico ma anche il Centro Cultural Borges a Buenos Aires) – che è stato presentato a San Gimignano sabato 22 settembre, in una sorta di pre-finissage, alla presenza del francese Daniel Buren. Il catalogo, elegante, sobrio e con un formato maneggevole, racconta la mostra con una grande capacità immersiva e i testi in inglese illustrano idealmente il dialogo tra due artisti, molto diversi, come ha sottolineato nella sua conferenza il francese Daniel Buren, accomunati da una ricerca legata all’intersezione tra spazio e tempo. Opere che si inseriscono nello spazio, lo attraversano, superando la mera staticità di un’opera da guardare. Sono realizzazioni da vivere, nelle quali ad esempio specchiarsi, attraverso le quali passare o intorno alle quali muoversi. Nasce così l’idea di una realizzazione che sia legata allo spazio nel quale ci si inserisce, una Galleria che è un ex cinema e teatro con una parte dove un tempo c’era la platea da “occupare” e un palcoscenico, mentre lateralmente corrono le gallerie. Non si tratta pertanto solo di uno spazio-contenitore dove esporre opere ma un luogo che vive dell’interazione con le opere. In questo caso la scelta non è semplicemente di accostare due artisti ma di metterli in relazione tra di loro e ancora di vivere la relazione con San Gimignano, tipico paesino toscano dal volto medioevale, un tempo tappa della via Francigena, immutato nel tempo, ma rimando di dimensioni lontane, chiasmo di popoli: qui passava la via della seta e una galleria contemporanea in questo luogo crea un dialogo e una rottura al contempo spazio-temporale spingendo verso l’originalità. Della mostra e del lavoro dei due artisti avevamo parlato già in un articolo del 29 maggio scorso, all’indomani dell’inaugurazione. Nasce così “A sei mani’”, opera di progettazione congiunta in rete metallica che occupa la platea dell’ex teatro. In effetti per entrambi lavorare a San Gimignano esprime la possibilità di sperimentarsi in opere che non portano immediatamente ricavi, coraggiose che neppure i grandi musei accolgono più per mancanza di fondi e forse non solo. Questo non significa però rincorrere la provocazione come obiettivo. Buren ha sottolineato come in tal senso provocare per definizione sia stupido anche se a volte un’opera risulta provocatoria, ma questa è un’altra storia. Un articolo uscito su Il Sole 24 Ore, scritto da Marilena Pirrelli, titolato non a caso, “Il coraggio a sei mani” e riportato nel catalogo – redatto unicamente in inglese – illustra bene il senso della mostra, lo spirito di San Gimignano e il lavoro di questi due artisti che si conoscono da 25 anni. L’idea stessa di presentare un catalogo come un evento all’interno della mostra indica come la dimensione del dialogo e il “dietro le quinte” sia altrettanto importante rispetto all’opera stessa. Proprio la diversità, come accennato, per Buren rappresenta la possibilità di fare un lavoro in dialogo. “Se i lavori si assomigliassero sarebbe ben più difficile”, ha dichiarato l’artista e il risultato – che Buren ritiene l’aspetto più interessante – è che non si ha né un lavoro veramente di Anish Kapoor né suo. Anche Anish Kapoor ha evidenziato l’approccio originale di ognuno nell’affrontare l’arte sebbene il valore dato al colore e l’esaltazione della forma – in particolare rispetto alla forma primaria del cerchio utilizzata molto da entrambi – rappresenti un terreno di dialogo che, allorché diventa un gesto pubblico – l’esposizione in una galleria – assume una connotazione politica, come Buren ha evidenziato, anche se passassero solo tre visitatori nello spazio. E, d’altronde, lo spettatore stesso, secondo Kapoor, non è meramente passivo, ma nel suo “emozionarsi” di fronte all’opera è coinvolto e in qualche modo ‘impegnato’, sia con un moto di repulsione o di attrazione o di qualsivoglia sensazione.
Il catalogo rende bene questa dimensione senza porre troppa distanza con lo spettatore e il lettore, anche perché non si sceglie la formula tipica dell’inserimento del saggio critico o di più contributi, preferendo invece brani di articoli giornalistici e interviste con un tono colloquiale. Una sfida non facile per una mostra di opere di grandi dimensioni con una forte componente di spazialità e dinamicità, come in particolare nel caso della grande struttura di rete metallica o delle opere riflettenti, che la carta di un libro avrebbe potuto appiattire eccessivamente.
A cura di Giada LUNI