Lucca. Una mostra itinerante sul legame tra arte e follia il “Museo della follia” a cura di Vittorio Sgarbi, realizzata da Cesare Inzerillo, Sara Pallavicini, Giovanni Lettini e Stefano Morelli, è al Museo della Follia di Lucca nell’ex Cavallerizza, appena restaurata fino al 18 agosto: un percorso attraverso i turbamenti e i disturbi di vari artisti dove creatività e follia si uniscono nell’indelebile rappresentazione della parte più oscura della mente umana. Un allestimento unico che ospita alcuni capolavori dei grandi della storia dell’arte internazionale, che appartengono a prestigiose collezioni private e da importanti musei italiani e internazionali. Si tratta di un vero e proprio labirinto emozionale dove ammirare oltre 200 opere tra dipinti, sculture, fotografie,
installazioni interattive, con opere di Silvestro Lega, fortemente provato dalla morte prematura dell’amata; Antonio Mancini, che già fragile nel periodo parigino ebbe vere e proprie crisi legate alla difficoltà di adattamento all’ambiente tanto che tornò a Napoli; Antonio Ligabue, fantasioso ‘folle’ ritenuto quasi uno scemo del villaggio, dall’esuberante fantasia; e ancora Fausto Pirandello, indagatore, insieme a Francis Bacon, della psiche umana contemporanea e delle sue derive. Il fil rouge di tutte le opere della mostra, già presentata in altre città, è proprio il legame tra arte e follia, il vacillare della mente di uomini come Van Gogh e Ligabue, artisti che però sono stati capaci di trasformare i loro problemi in veri capolavori. Sorprendente l’allestimento, a tratti claustrofobico, che ci
conduce in un percorso labirintico, fino ad entrare in alcune celle, con panneggi neri e un’illuminazione di grande irruenza tutta centrata sulle opere che sembrano uscire dal buio, dal buio della mente al quale spesso la società costringe chi non si conforma alle regole e ai comportamenti usuali. Non è da molto tempo infatti che l’arte è considerata una terapia per i disturbi mentali o il prodotto migliore delle menti dissonanti, del quale la poesia di Alda Merini è un fulgido esempio.
La tappa lucchese offre particolare attenzione agli artisti toscani. Nell’allestimento lucchese in particolare ci sono anche degli spazi dedicati alla figura di Mario Tobino e dell’ex ospedale psichiatrico di Maggiano, occasione per parlare della Follia da un punto di vista storico, toccando il delicato tema dei manicomi e della Legge Basaglia per far capire a tutti che “il malato mentale non sia uno scarto dell’umanità […], bensì una persona, che nella sua temporanea o cronica debolezza conserva – come ogni altra persona […] – piena dignità”. Tobino fu primario del Manicomio di Maggiano dal 1942 al 1980 e scelse di vivere proprio lì, insieme ai suoi oltre 1040 matti, per dividere con loro i respiri, la vita e i sogni.
I “matti” di Maggiano – come quelli di tutti gli altri manicomi italiani – erano spesso semplicemente persone che, a causa della propria lontananza da un modello di normalità diffuso in un determinato momento storico, venivano allontanate dalla società, perché considerate scomode, deboli, inutili. E così gli stravaganti, i libertini, i malinconici, i nubili poco inclini ai doveri del focolare domestico, i giovani ribelli all’ordine familiare costituito, finivano sepolti tra le mura dei manicomi e il più delle volte senza via di ritorno. Tra questi, fu senza ritorno anche il viaggio di Fidia Palla, lo scultore di Pietrasanta entrato a Maggiano nel 1924 e lì rimasto fino alla morte. Vent’anni di “croce incredibile e vera”, come lui stesso definì la propria condizione. Croce che trova oggi finalmente la sua espiazione fuori da quelle mura e dentro
questo museo, in un mosaico di lettere e disegni. Alda Merini scrisse della sua condizione come di una Palestina, dove i matti erano considerati ebrei e farisei.
Una sezione fondamentale del progetto include un repertorio di documenti, oggetti e testimonianze della storia dei manicomi in Italia e dei suoi protagonisti, come i ricordi dolorosi documentati anche da filmati atroci alcuni dei quali raccontano lo stato di strutture contemporanee, come quella visitata dall’ex sindaco di Roma Marino: un’intervista con i ‘detenuti’ choccante, dove si evidenzia come la tutela della società, reale o presunta, non possa mai essere portata avanti a detrimento della dignità della singola persona.
La mostra dopo la stanza dei ricordi, dolorosi, e della griglia, si apre lo spazio del Centro Studi & Archivio Antonio Ligabue di Parma, presieduto da Augusto Agosta Tota con l’esposizione dei due casi cardini del museo della follia, quello appunto di Antonio Ligabue e di Pietro Ghizzardi.
Dopo una carrellata di figure di respiro internazionale, prosegue poi con gli Stereoscopi: supporti magici attraverso i quali il visitatore viene trasportato nell’ex ospedale psichiatrico di Mombello. Qui ha trascorso diversi anni della sua vita l’artista Gino Sandri, le cui opere si alternano in un corridoio di emozioni. Lo accompagnano le esperienze di altri artisti che, come lui, dentro ai manicomi hanno vissuto, scolpito e dipinto: Tarcisio Merati, Fiore, Pier Paolo Pierucci e Carlo Zinelli, i cui coloratissimi dipinti sono in dissonanza con le opere più intime e spirituali di Venturino Venturi, e insieme compongono un coro di voci giocose e al contempo tragiche, a metà strada tra fiaba e turbamento.
Fabrizio Sclocchini ci introduce invece nelle stanze dell’ex-manicomio abbandonato di Teramo, attraverso una serie di fotografie dal titolo Gli assenti, immagini poetiche, che riportano in vita quei luoghi oggi abbandonati e sospesi in un tempo che non c’è più. Testimonianze preziose, come la sezione delle Lettere mai spedite. Sono parole di dolore e poesia scritte dai pazienti ai loro cari che non le hanno mai ricevute, e recuperate oggi dagli autori della mostra presso alcuni ex-manicomi abbandonati. A tale riguardo di grande suggestione, struggente e dolorosa, l’installazione che ricorda l’ospedale psichiatrico di Palermo dal quale proviene una lettera mai arrivata a destinazione del 15 ottobre 1972, scritta da una donna al proprio uomo. Sono righe strazianti di invocazione perché la venga a prendere dal quel luogo dove il suo cervello “si sta squagliando” e dove sarebbe dovuta restare solo un mese. Il percorso espositivo comprende alcune video installazioni, tra cui i monologhi di Raffaele Morelli “La follia ci difende dal diventare aridi” e di Paolo Crepet “Arte Libertà Follia Dolore. Da Mario Tobino a Franco Basaglia”; e altri interessanti documentari, tra cui “O.P.G”, un estratto dell’inchiesta condotta dal Senato della Repubblica sugli ospedali psichiatrici giudiziari.
Tra le novità di questa edizione c’è una imponente opera che porta la firma di Cesare Inzerillo: il titanico Calcio Balilla dal titolo U.S.L. Unione Sportiva Lucchese dentro il quale si può camminare, a testimonianza della principale attrazione ludica presente nella maggior parte dei manicomi abbandonati. «E ci rivedevamo in quei pupazzi. Come noi erano prigionieri, come noi erano consumati, e come noi rimangono solo divise e numeri» (Museo della Follia).
L’altra scultura di Inzerillo è un colossale Apribocca – realizzato su modello del vero presente in mostra utilizzato per l’assunzione forzata dei farmaci – posto in relazione al celebre dipinto L’adolescente di Silvestro Lega del quale sembra romperne il silenzio.
Assume dimensioni colossali anche la Griglia – la celebre installazione del Museo della Follia realizzata da Cesare Inzerillo – nella quale vengono mostrati i ritratti recuperati dalle cartelle cliniche di alcuni pazienti di ex manicomi circondati da stridenti luci al neon. Gli autori, per Lucca, hanno ideato un accecante corridoio di specchi come anticamera alla Griglia per far provare al visitatore il temporaneo abbaglio causato dal sovradosaggio degli psicofarmaci. Un taglio agli occhi capace di ferire anche l’anima.
La mostra di Lucca si arricchisce di nuove presenze legate alla storia dell’arte internazionale come la pittrice italiana Juana Romani, protagonista della Parigi bohémienne di fine Ottocento, morta poi in un manicomio francese nel 1923.
Entrano nel museo anche illustri autori toscani tra cui Lorenzo Viani con una drammatica Deposizione, Alberto Magri e Filippo Dobrilla. Si conferma inoltre la presenza di alcuni artisti esposti nelle precedenti edizioni tra cui Agostino Arrivabene, sublime artefice di incubi e meraviglie, con uno stile surrealista che sembra attingere agli incubi più che ai sogni, ed Enrico Robusti autore del grande affresco a olio raffigurante una imbarcazione in preda alla tempesta, a bordo della quale i visitatori incontreranno la vertigine psicologica tipica della sua pittura.
La mostra continua con una selezione di opere d’arte sulla tematica della follia eseguite dal 1700 ai giorni nostri. Tra gli autori: Tranquillo Cremona, Cesare Tallone, Antonio Mancini, Michele Cammarano, Filippo Cifariello, Vincenzo Gemito, Lorenzo Alessandri, Giovanni Macciotta, Ottavio Mazzonis, Vincenzo Claps, Pietro Ghizzardi, Raimondo Lorenzetti, Gaetano Pesce, Ernesto Lamagna, Luca Crocicchi, Luigi Serafini, Alessandro Papetti, Marilena Manzella, Vincenzo Baldini, Sandro Bettin, Nicola Sferruzza, Gaspare Palazzolo, Gianni Lucchesi, Ulderica Da Pozzo, Eliana Petrizzi, Studio Azzurro – e ancora tanti autori, e tante opere che avrete modo di incontrare in questo viaggio, pensato per chi ha voglia di lasciare da parte la ragione per ritrovare, finalmente, la follia.
«Nella storia dell’arte, anche prima dei casi clamorosi di Van Gogh e di Ligabue, molti sono gli artisti la cui mente è attraversata dal turbamento, che si esprimono in una lingua visionaria e allucinata. Ognuno di loro ha una storia, una dimensione che non si misura con la realtà, ma con il sogno» dichiara il curatore della mostra Vittorio Sgarbi.
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A cura di Giada Luni.